Nikita Sergeev, lo chef russo che esalta le eccellenze marchigiane
Una rivisitazione del piatto fave, pecorino e ciauscolo, apice della tradizione marchigiana, e un dolce che rimanda al soffritto, a base di sedano, carota e cipolla. Sono queste due delle pietanze che hanno fatto ritornare nel nostro territorio il premio “Emergente Centro e Sud 2015”, ghiotta occasione per tutti gli amanti della buona cucina. Importante evento gastronomico organizzato dalla Witaly, condotto dal popolare giornalista Luigi Cremona, ha visto Nikita Sergeev, chef di Porto San Giorgio titolare del ristorante L’Arcade, trionfare nella competizione che si è tenuta a Napoli.
Complimenti Nikita, è andata bene! Ci racconti qualcosa?
<<Sì è andata molto bene, ho vinto! Era la finale per i cuochi del centro e del sud quindi concorrerò il 3, 4 e 5 ottobre a Roma, alle Officine Farneto, per la finale “assoluta”. E’ la seconda volta che partecipo a questa manifestazione>>.
Da quanti anni sei nelle Marche? Ci racconti la tua esperienza?
<<Ho 26 anni e sono qui in Italia da quando ne avevo 13 anni. Venivamo nelle Marche per far visita a dei nostri amici. Il posto ci è sempre piaciuto tantissimo e ad un certo punto ci siamo accorti che trascorrevamo più tempo qui che in Russia. Per quanto riguarda la ristorazione, tutto è cominciato dopo l’università. A Mosca mi sono laureato in Scienze politiche dopo aver fatto anche un Erasmus a Firenze. Una volta laureato però non è stato possibile “convalidare” il titolo in Italia, perché la Russia non è all’interno dell’Unione europea. La mia seconda grande passione era però la cucina, tanto che mi sono buttato su questo campo con tutte le mie forze. Ho seguito corsi, come l’Alma, e sono stato a Parma e in Emilia per fare un po’ d’esperienza. Sono stati diversi gli chef che hanno tracciato il mio percorso personale di vita con la loro filosofia di cucina. Penso ad Alberto Rossetti e a Marco Soldati. Alla fine sono sceso nelle Marche perché in questo territorio mi sentivo e mi sento a casa e ho aperto due anni fa il ristorante. I tempi duri che corrono mi avrebbero consigliato di aspettare prima di intraprendere una mia attività ma si sono legati anche discorsi di tipo burocratici. Per avere il permesso di soggiorno era meglio mettermi in proprio>>.
E’ una bella storia. Una curiosità che ti chiederanno in tanti: nella tua cucina quanto c’è di italiano e quanto delle tue radici.
<<Una domanda che mi fanno spesso. Quando mi dicono “come mai non hai deciso di aprire un ristorante russo” rispondo sempre che sul mio diploma c’è scritto “cuoco professionista di cucina italiana”! Il mio ristorante è italiano ma le mie tradizioni non le ho certo rifiutate. Nei miei piatti ci sono dentro diverse esperienze. Al San Pellegrino Young Chef ad esempio ho portato un raviolo (quindi Italia), all’anguilla (ancora più Italia) con barbabietola di lime. La mia cucina è variegata ed è connessa con il mio percorso. E anche con la mia provenienza. Ad esempio da un po’ nel mio ristorante servo l’aringa con la carota, per parlare dell’eccellenza russa, ma ci sono altri piatti che richiamano alla tradizione francese>>.
E di marchigiano?
<<Al concorso di Luigi Cremona uno dei piatti che ho presentato, davvero apprezzato dai giudici, è stato una rivisitazione (anche se non mi piace questa parola) di fave, pecorino e ciauscolo. Più marchigiano di così… La cucina marchigiana è sempre presente nel mio menu, tanto che cerco di parlare di tradizioni con i ragazzi che lavorano con me e con il personale in sala. L’anno scorso sono andato a mangiare dalla nonna di un mio collaboratore perché ero curioso di sentire i veri gusti rurali>>.
Per te in che direzione andrà la cucina?
<<Spero e credo che la cucina andrà verso la diversificazione della struttura ristorativa. Mi spiego. Una volta esisteva l’osteria, la bottega, il ristorante, la gelateria… Adesso a volte mi capita di vedere scritto sui tendoni dei locali diverse diciture. Secondo me questo è un miscuglio, un’insalata russa che mette in difficoltà il cliente. Una pizzeria deve essere tale e un’osteria è un’osteria>>.
Ci hai descritto un piatto che ti ha fatto vincere. E un altro?
<<Un altro che ha suscitato l’interesse è un dolce, che si chiama “Soffritto all’italiana”. Nella mia cucina non uso praticamente mai il soffritto, perché a mio avviso appesantisce molto, quindi i piatti italiani non ne hanno bisogno. Almeno non tutti. E’ inutile dire che a volte serve, ma non su un risotto o su di un piatto di pasta, perché rovina la centralità della ricetta stessa. Il soffritto è amato in Italia ma di solito si mette all’inizio, prima di preparare una pietanza. Noi invece lo abbiamo collocato alla fine, preparando un dolce con sedano, carota e cipolla. E’ stato complicato spiegare il perché del sapore di cipolla in un dolce. Ma la marmellata di cipolle è un classico italiano, no?>>
Certamente! Un’ultima domanda, quella che noi mensilmente facciamo ai nostri ospiti per filosofeggiare con loro. Se ti dico CANDIDO cosa ti viene in mente?
<<Gelsomino. Un gelato al gelsomino>>.
Perché?
<<Sono qui in terrazzo e vedo queste piante di gelsomino fiorire. Questo profumo mi ha fatto venire in mente come prima cosa proprio il gelsomino. Candido e bianco come il gelsomino>>.
Kruger Agostinelli
Michele Mastrangelo