Giorgio Grai, immenso ricercatore di odori: “L’olfatto ci ha salvato la vita”
Nella vita, così come nelle “viti”, basta poco per capire. Giorgio Grai è un puro. Lo era da giovane, figuriamoci ora che è un elegante e acuto “rivoluzionario sempre”. Uno che con l’intuizione ragionata e la passione innamorata ha creato il Verdicchio. E che gli altri dicano quello che vogliono.
Venerdì 19 febbraio, siamo al teatro Tiberini di San Lorenzo in Campo. Un emozionato Massimo Biagiali introduce e spiega perché Giorgio Grai è lì sul palco a raccontare di sé. Un mito. Chi si occupa di enologia o è solo un appassionato di vino sa che non sto esagerando. Madre Natura gli ha donato un naso ed un palato unici perché facesse diventare dei vitigni da proteggere dei grandissimi vini. Dopo Biagiali la parola va ad Alberto Mazzoni, direttore dell’istituto marchigiano Tutela Vini, che ci presenta le nostre Marche con tutti i plus che meritano di essere segnalati. Giorgio Grai è accanto a chi pensa con la sua testa, cammina con le sue gambe e lotta per sé per salvare e conservare quello che c’è su questa terra. È pungente il suo eloquio quando tira in ballo Ampelio Bucci, seduto in seconda fila. L’immagine del loro primo incontro è una vignetta a tinte forti. Così come le parole che si scambiarono in cantina. Giorgio ricorda il primo consiglio: <<Pulizia! Le botti devono essere pulite>>. Da lì in poi inizia la storia del Verdicchio marchigiano. Il vino bianco italiano più conosciuto nel mondo. <<Ho capito subito che bisognava ricominciare tutto da capo quando ho visto Ampelio stappare due bottiglie e versare il suo primo Verdicchio. L’ho visto dal colore, poi ci ho messo il naso e ho capito che strada dovevamo percorrere>>.
Giorgio parla di come madre natura uccide, massacra e mantiene in vita le sue creature. Un mondo paragonabile a nessun altro mondo, il suo. Giorgio si pone vicino alle vigne. Alla loro altezza. Le ama, le segue, assaggia le uve e comprende quale vino sarà. Ma ci vuole tempo. Tanto tempo e pazienza.
Sono incantata ed estasiata dalle sue parole. Riconosco nei suoi messaggi tanti pensieri che mi appartengono. Che con lui riprendono un senso logico importante. Parte da lontano quando ci rende semplice capire il difficile: <<L’odorato ci ha salvato la vita. Ci ha insegnato a sfuggire dagli odori cattivi e a preferire quelli buoni. Poi ci sono le sfumature ed una acidità può anche essere dolce. Basta interpretarla>>. In sala dietro Ampelio c’è Cino Tortorella. Un gastronomo illustre nel panorama di media stampa e tv. In difesa del vino e del comune amico Gualtiero Marchesi, Cino esorta Giorgio a leggere la lettera aperta inviata al maestro circa il vino. Nelle righe che legge Massimo, emozionato come all’inizio, c’è tutto l’affetto per un amico vero al quale si perdona un’esternazione spontanea senza dimenticare le tante bevute fatte insieme. Pochi sanno che il naso ed il palato di Grai si sono formati prima delle vigne, dell’uva e del vino. Figlio di albergatori, i primi passi li ha fatti dietro i fornelli di una cucina professionale. Giorgio Grai cuoco? Ebbene sì. Bello rammentare le tante vite passate e progettare quelle future. Il segreto sta nello svegliarsi la mattina sempre con una nuova sfida, un traguardo da raggiungere. Lo dimostrano i suoi bianchi da invecchiamento.
Prima della conclusione partono domande a raffica da un pubblico fatto di esperti, sommelier, ristoratori. Riconosco Simone Baleani del Molo di Portonovo e amici come Paolo Cesaretti, che è qui in veste di coordinatore del consorzio di tutela della Casciotta di Urbino (un’altra eccellenza marchigiana). Ma ci sono, soprattutto, tutti gli amici di Elio Palombi (vi ho già scritto di lui circa il Premio Città di Senigallia a Portonovo a Marchesi) che è stato il gancio/complice fra San Lorenzo in Campo, rappresentato dal sindaco Davide Dellonti, colto gourmet, e da Massimo Biagiali. A spettacolo finito andiamo al giardino dove ci aspetta un buffet tutto marchigiano ed una cena idem. Si berrà benissimo. Ne sono sicura. In mezzo a Giorgio e Ampelio ricordo la festa dei miei “primi” 40 anni. Con Edoardo Raspelli e la troupe di Mela Verde. Avevo stappato una cassa di Villa Bucci 1992. Ed era il 2001. Con noi Alessandro Scorsone (anche di lui ho già scritto su Tyche per la verticale nell’azienda Montecappone) aveva decantato il vino, la scommessa dell’invecchiamento, il coraggioso produttore e il geniale enologo Giorgio Grai. Mi giro e Giorgio è scomparso. Poi sento il mio nome e mi avvicino ad un gruppetto, circa 4-5 persone privilegiate. Dietro il bancone del bar Giorgio sta stappando una bottiglia. Non leggo l’etichetta. Ci versa, sempre solo a noi privilegiati, un vino bianco brillante e vivace. Ci metto il naso. Mi arrivano profumi. Definiti. Li riconosco. Mi permetto di parlare per prima: <<E’ un pinot bianco?>> Lo è. Mi congratulo con me stessa. <<Avete visto l’annata?>>, dice Biagiali. 2001. Un pinot bianco del 2001 firmato Giorgio Grai in etichetta. Porto il calice al mio tavolo. E sorseggio questo miracolo della natura per tutta la cena. Giorgio si alza, saluta e ringrazia tutti. Viene verso di me e mi interroga con gli occhi. Non mi importa di sembrare scontata, al limite della stupidità e gli dico che sono commossa, che in poche ore ho arricchito la mia mente ed il mio cuore. Posso confermare a me stessa che non sto sbagliando. <<Raccontami>>, mi dice sempre con gli occhi. E mi prendo un altro privilegio buono quanto il suo pinot bianco che, intanto, continua a comunicare la sua storia e i suoi profumi.
Tornerà nelle Marche Giorgio Grai? <<Dipende da quanto un mio amico avrà voglia di ricominciare>>.
Carla Latini