Il Festival di Sanremo come le prossime elezioni politiche?
Che surrogato di Italia ho trovato in questo insstabile festival. Già la direzione artistica di Baglioni sembra aver pesato sull’andamento musicale dei brani prescelti, ritmo praticamente assente tranne che in rarissime eccezioni. Poi il terribile rischio ambientale dei protagonisti in gara, gioia di chirurghi estetici senza scrupoli, con plastica a volontà.
Le canzoni? Eh già si tratta di brani che sembrano la metafora politica delle prossime elezioni politiche in arrivo, perlomeno per tre di loro, quelle che ritengo papabili vincitori. Lo Stato Sociale, molto divertenti strizzando l’occhio ad Enzo Jannacci e Rino Gaetano, senz’altro abbinabili allo stile M5S. Il vintage e la tradizione dei bei tempi che furono con un’impeccabile Nina Zilli, in quota centro destra, anche se si libera da questo incubo, nella meravigliosa versione jazzata di Sergio Cammariere . E poi il lamento, apparentemente impegnato, di Ermal Meta e Fabrizio Moro ricorda decisamente il PD alla Renzi, rafforzato dal sospetto di irregolarità. Poi? Tenterei di salvare l’avvolgente e lirico Max Gazzè, intimo e nostalgico Ron (un gigante in coppia con la divina Elisa), elegante Ornella Vanoni grazie a Bungaro e Pacifico onesti testimonial della sana sagra della melodia italiana.
Le delusioni? Qui ci sarebbe da scrivere un’enciclopedia. Al motto di “chi glielo ha fatto fare” primo posto ai vari ex Pooh, che impietosamente non hanno più niente da dire. Poi Luca Barbarossa che sembra aver concepito una canzone melodica di Mannarino, venuta ovviamente male. Gli scoloriti Elio e le Storie Tese. Il tentativo alla Vasco isterico da parte di Noemi. I Decibel sono come l’Inter di Enrico Ruggeri, inutili. Il soporifero Mario Biondi che si vomita addosso il suo vocione. Poi si potrebbe assegnare il premio Spelacchio a Avitabile & Servillo per la musica folk e alle stucchevoli Vibrazioni per la musica rock. Infine Caccamo, Rubino e Annalisa da mandare con raccomandazione a Chi l’ha visto. Ah già e i Kolors? Non ce la faccio proprio a catalogarli fra i cantanti.
Insomma sembra la metafora di questa Italia triste, invecchiata e con rarissimi colpi di genio. Si una patetica vecchietta come quella che ballava con Lo Stato Sociale. C’è chi poi si accontenterà dicendo, se non fosse per Michelle Hunziker (fortunatamente bionda), che almeno erano tutti italiani….
Kruger Agostinelli