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Roberta Schira, con sette regole vi aiuta a riconoscere dove si mangia bene

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Paolo Paciaroni Roberta Schira Carla Latini Tre giorni con la Schira. Sembra il titolo di un film. “Le Schiriadi” è il titolo del suo nuovo programma televisivo in onda il 12 Agosto sulla rete Blastingnews.com e poi, a settembre, sui canali tradizionali. Epocali punti di vista da Schira. Si comincia con Expo. Ma ora torniamo nelle Marche. Roberta Schira è con me per tre giorni. Paolo Paciaroni (ricordate il mio cuoco felice di Tolentino?) le ha trovato un luogo, chiamarlo location sarebbe offensivo, per presentare il suo libro “Mangiato bene? Le 7 regole per riconoscere la buona cucina”. Siamo a San Marcello, a cavallo fra verdicchio e lacrima. Vigne, girasoli e ulivi. Aria fresca e tramonto prenotato. Non credo che Roberta abbia mai avuto palcoscenico più bello. Non credo che Roberta abbia mai avuto la traduzione simultanea in tedesco. A Tenuta San Marcello, Massimo e Pascal producono Verdicchio da 9 anni. Durante prima e dopo la presentazione assaggiamo le annate, prima per caricarci e dopo fra un piatto e l’altro di Paolo Paciaroni. La cena si intitola: il Verdicchio incontra il tartufo. Ed è sold out da giorni. Roberta Schira, per chi ancora non la conoscesse, è una delle scrittrici italiane più lette tra quelle che si occupano di critica eno-gastronomica. “Mangiato bene?” è il suo decimo libro. Un’idea geniale, come lei stessa ammette, applicabile a qualsiasi business al di là di cibo e vino. In un mondo in cui tutti ormai si sentono sicuri del proprio palato, prenotano i ristoranti consultando guide e tripadvisor, cucinano per gli amici e criticano conti e prezzi dei vini, come facciamo a capire se abbiamo mangiato bene oppure no? Il sole sta tramontando e ci tinge tutti di arancione. Chef Paolo è con me e Roberta sul prato. Di fronte a noi più di 40 persone. 12 sono stranieri per cui una bella cameriera aiutata da un signore olandese che poi scopriremo chiamarsi Daniel, traduce in tedesco. Affrontiamo subito il concetto di buono. <<Per affermare che questo verdicchio è buono – dice Roberta – devo almeno averne assaggiati altri 10>>. Paolo conferma la versione di Roberta. Il palato va esercitato. Così come l’olfatto e l’odorato. Nel libro mi piacciono molto le pause di riflessione che la Schira ci obbliga a fare. A non oltrepassare l’ostacolo. Insomma, bisogna cominciare il gioco e finirlo. La prima regola è la materia prima. Non esiste ristorante o qualsiasi altro esercizio commerciale che non investa nella materia prima. Che sia ricca o che sia povera deve essere fresca e di buona qualità. Seconda regola è saperla manipolare. Saper usare la tecnica. Nel rispetto della sua tradizione. Diffidate da un pasta scotta, da un risotto mal mantecato, da una carne troppo cotta e tagliata male. Fin qui dice Paolo ci siamo. Poi ecco la regola numero tre. Il Genio con la G maiuscola. Il cuoco che va al di là e crea una nuova strada. Genio è Gualtiero Marchesi. Genio è Ferran Adria. Massimo Bottura. Al numero quattro si parla di equilibrio e armonia. Facile a dirsi. Difficile da mantenere. Roberta, che prima di scrivere di cibo è andata a scuola di cucina da un grande che si chiama Claudio Sadler, ha imparato a riconoscere gli ingredienti in un piatto solo guardandolo. Bastano 3 ingredienti principali che siano in equilibrio e armonia. La regola del 3 di Riccardo Agostini. Il punto cinque ci trova tutti d’accordo. Intanto la giovane cameriera aiutata da Daniel traduce e diverse sono le interruzioni e le domande. Il punto cinque è l’atmosfera che è fatta da sedie comode, non troppo caldo non troppo freddo, né troppa né poca luce, musica in equilibrio e armonia con l’ambiente. Cameriere presente ma non insistente. Insomma la sfera che ci circonda quando siamo in un ristorante od anche in un semplice frutta e verdura che cucina per noi. E magari cucina verdure recuperate nella memoria e segna anche la storia.

Perché il punto numero sei è, come dice Paolo quando lavora i prodotti della sua terra maceratese, il progetto. Nascondere dentro un piatto la storia della terra che si vive, il rilancio o anche il lancio di prodotti locali, nella stima e nel rispetto del lavoro degli altri. Come fa Paolo quando utilizza la zafferanella o come Alex Atala che ci cucina il platano in tutte le sue sfaccettature. La settima regola è quella che ci permette di riconoscere il food cost del piatto, la scelta delle materie prime, la ricerca che c’è dietro quel piatto, il servizio e la cura che si mette nel ricevere. Ho speso il giusto è la risposta che dovremmo riuscire a darci. Potremmo dilungarci ancora un po’ ma la cena ci aspetta. E così in 42 seduti ad un tavolo imperiale godiamo delle delizie che Paolo Paciaroni ha creato per noi con il tartufo nero fresco. Cominciando con un bignè di bufala affumicata, un carpaccio di carne di vitello, un uovo pochè con crema di patate, continuando con i trucioli di Gualtiero Marchesi e tartufo nero, la carne di vitello arrosto con timo selvatico e rosmarino e il semifreddo alla vaniglia con tartufo strezeul alla nocciola. Avevo promesso a Roberta che le avrei fatto vedere le Marche, quelle vere. Il giorno dopo per andare a Tolentino da San Marcello passiamo nell’interno. Qualche curva di troppo ma che meraviglia. ‘Sono innamorata delle Marche.’ Roberta lo dice anche al fraticello che ci accompagna durante la visita alla Basilica di San Nicola a Tolentino. Una delle meraviglie della nostra terra. Da visitare appena potete. Un po’ di Marche anche nelle Schiriadi? Chissa?

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