Lo vedi da lontano e lo riconosci subito. E’ Andrea Scanzi. Fuori dalle cornici sia televisivi che degli schermi pc e degli smartphone, è disponibile e pronto alla battuta. Lo incontriamo durante lo spettacolo “Fuochi sulla collina” (QUI l’articolo), omaggio a Ivan Graziani con il figlio Filippo. Qui, nell’aula magna del Polo universitario Monte Dago dell’Università Politecnica delle Marche, Andrea Scanzi si sente subito a suo agio. Ed è naturale e piacevole intervistarlo (sotto il video).
Andrea, sei un professionista eclettico giornalista, scrittore e attore su temi vari, dalla musica alla politica, dallo sport alla cucina. Frutto di un animo inquieto e di un irrecuperabile curioso?
<<Entrambe le cose. Sicuramente sono curioso. Sono sempre stato uno che se si innamorava o se si interessava di un argomento poi doveva studiarlo e sviscerarlo. Se mi piaceva un artista dovevo conoscere a memoria tutta la sua discografia; se mi piaceva uno sport dovevo sapere tutta la sua storia e così con il vino, con la politica e con qualsiasi cosa. E’ una maniera per restare attivo. Al tempo stesso probabilmente è anche qualcosa che dipende da me: non riesco a stare per troppo tempo fermo. Sono una persona che si annoia in fretta di tutte le cose e quindi il fatto di cambiare e saltellare da un argomento all’altro mi aiuta molto. Non ce la farei a scrivere soltanto di politica così come soltanto di musica. Aggiungo che sei stato garbato a non aver usato la parola “tuttologo”, un falso problema che abbiamo soltanto in Italia. Cioè è un concetto tipicamente italiano questa idea che un giornalista o uno scrittore debba per tutta la vita parlare di un argomento solo. Ribadisco che, per fortuna, non scrivo solo di politica>>.
In un’epoca in cui si leggono più notizie che libri c’è il rischio che si possa diventare sempre più superficiali nel pensiero?
<<C’è un grande rischio. Quello che secondo me l’Italia ha sempre avuto e anche per colpa di ciò si spiegano tante derive. Non dimentichiamoci che è un Paese che ha sempre letto poco, che non ha mai fatto la rivoluzione e che ha sopportato per anni o per decenni dei politici spesso impresentabili. In questo momento storico che è del tutto particolare, perché abbiamo assistito e stiamo vivendo una rivoluzione tecnologica e anche dell’informazione, c’è un aspetto positivo: grazie alla rete tutti possono informarsi, tutti possono emergere, possono farsi leggere e possono scrivere. Però c’è anche l’altra faccia della medaglia. Ovvero, la sensazione di poter avere tutto spesso si traduce in un “leggo soltanto i titoli”, in un “mi fermo alla superficie, non vado mai alla profondità”. Questa rischia di essere un po’ l’epoca della grande superficialità, del non andare mai a fondo e del fermarsi al “titolone”. Ed è un peccato perché se fai così sei convinto di sapere tutto ma non sai bene niente>>.
Prendendo a riferimento un pensiero di Pessoa, che dice come un’epoca di molti talenti non vale un’epoca di un solo genio. Un’epoca, aggiungo, dove sono nati tanti talenti ma sono diminuiti i geni.
<<Di geni li vedo sempre di meno e, tutto sommato, vedo anche pochi talenti. Li vedo nel cinema, nello sport, nel giornalismo (si spera) ma non li vedo tantissimi nella musica. Qualche talento ancora c’è nel nostro Paese, che è meglio di quanto lo si racconti nonostante quello che vive tutti i giorni>>.
Cosa ti lega alle Marche, intendo come luoghi o persone?
<<Mi legano alcuni amici che ho da anni, per esempio a Civitanova, e mi lega il fatto che io nelle Marche mi sono sempre sentito a casa. Parlo di quella sensazione che mi capita non sempre, ma per fortuna spesso, di trovarmi subito a mio agio. Poi ci sono dei ricordi. Per esempio quando scrissi il secondo libro sul mondo del vino, che si intitolava “Il vino degli altri”, facevo dei viaggi nelle regioni e nel mondo. Uno dei più belli fu legato alle Marche e fu legato ad un produttore di Verdicchio. Fu una grande scoperta. Come piccolo tasto dolente in questi anni nelle Marche a livello teatrale sono venuto pochissimo. Su 240 date credo di averne fatte 4, o comunque non arriviamo a 5. Uno dice, “perché ce l’hai con le Marche?” No, non è così, semplicemente gli spettacoli si fanno dove il teatro e la stagione ti cerca. Evidentemente e del tutto legittimamente (ma non per scelta mia) le Marche mi hanno voluto poco. Forse perché non sono secondo loro interessante o c’è qualcosa che non funziona. La data di Ancona mi riempie di gioia perché finalmente torno in questa regione e spero di tornarci un po’ più spesso>>.
Kruger Agostinelli
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