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Illuminarsi da Mauro Uliassi, storia di un pranzo stellato

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A Senigallia c’è uno dei migliori cuochi italiani. Capace di grande leggerezza e sapori forti. Un’esperienza illuminante.

<<Da quanto tempo ci conosciamo Carletta?>> Quando è fra amici Mauro Uliassi ha un irresistibile accento senigalliese. <<Lasciamo perdere. Michele, mio figlio ora 30enne, aveva 6 anni e venivamo da te a mangiare, come diceva lui, il pesce fritto senza spine>>.

Un invito da Uliassi non si rifiuta mai. Mi aspetto un pranzo formale. Conosco poco i miei gentili ospiti. Dopo il primo magnum di Don Perignon 2004, una semplice base (alla faccia!), otto bottiglie dalla Borgogna annaffiano questo piacevole e goliardico conviviale. Che si scalda in maniera esponenziale.

Il wafer, per me sarà sempre frou frou, con il foie gras è una solida garanzia, la cialda di nero di seppia scrocchia ma non si sbriciola. L’oliva è una delle cose più curiose che abbia mai mangiato in questi ultimi tempi. Cominciamo con gamberi crudi e cetrioli. Cominciamo bene. Il burro francese ed i pani di Mauro contagiano l’allegra brigata. Continuano gli antipasti! Con il bagnasciuga scende un mistico silenzio. Le cialde di alghe, i bianchetti e i ricci creano al naso, alla masticazione ed al palato, il ricordo di passeggiate dove il mare incontra la sabbia. Un cortometraggio perfetto che non dimentica le piacevoli “puzze” del mare. Mauro è capace di leggerezza e sapori forti. Come le cicale, canocchie o panocchie come volete chiamarle,mbriache. Un piatto che sa di antico.

La seconda grande emozione (la prima è stata il bagnasciuga, la tocchiamo con il classico pane burro e alici. Il boccone è realmente irresistibile. Poi è tutto un crescendo di piatti indimenticabili come rane, lumache e misticanza. Mauro ci segue premuroso. Siamo il tavolo più “caciarone” della giornata.

Siamo in aria di cacciagione! Io sono golosa e assaggio tutto. Poco ma tutto. Tagliatelle al ragù di lepre e tartare di lepre. Riscende il silenzio. Ormai va così. Arriva una beccaccia al forno divina. Le patate luccicano di sapore. Continuiamo con il brodetto che ha ordinato uno dei miei ospiti, a sorpresa. Mi prendo una tirata d’orecchi. <<Non ti ci portiamo più. All’inizio sembravi proprio dei nostri bevevi e mangiavi ed ora sul brodetto getti la spugna?>>. Crostini leggermente agliati invitano a fare zappetta. Qualcuno fotografa il fumo/calore/profumo. Commenti: <<Mica stiamo a Identità golose!>> Assaggio la seppia. Se non c’è la seppia, che brodetto è? Mentre ancora si zuppetta arrivano i dolci.

<<Buono questo ghiacciato alle mandorle>>, dico a Filippo, il figlio di Mauro in sala. <<Non sono mandorle – mi spiega – ma foglie di pesca>>. Con cioccolatini e caffè termina il nostro conviviale. Comunicazione di servizio: il cioccolatino bianco a sinistra nel vassoio pre-dessert o pre-caffè (dipende se prendete il dessert o no), va mangiato prima di tutti. E’ ripieno di gelato al gorgonzola.

Se non vi invitano da Uliassi invitatevi voi. Vi farete un regalo.

Carla Latini

Mark Zitti pronto per il decollo di Tyche Live

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Conto alla rovescia per Tyche Live, il nuovo spazio in streaming dalla nostra redazione. La prima è per venerdì 5 giugno alle ore 17. Ecco, durante le prove tecniche, la video intervista con Mark Zitti, cantante e showman di indubbio carisma. E per dirlo alla sua maniera “orgoglioso di saper esportare la musica italiana”
Mark Zitti parte dalla lirica ed arriva allo swing,e poi?
<<l’importante è arrivare al cuore delle persone e per questo internet è una grandissima opportunità>>.
Buon ascolto per l’intervista integrale e scusate per la voce non microfonata fuori campo. Il contenuto ci è piaciuto molto e valeva la pena proporlo. Del resto le prove servono proprio per questo…
Kruger Agostinelli

#TycheLive

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Errico Recanati, chef stellato, e lo spiedo di nonna Andreina

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Questa estate la parola d’ordine di Andreina a Loreto sarà alleggerire la cucina dei ricordi. Che diventa più attuale grazie alle tecniche ed alla fantasia di Errico. Qui si trova lo spiedo più antico delle Marche. Nonna Andreina tirava la sfoglia, faceva gli gnocchi, curava lo spiedo con la dedizione delle donne di un tempo. Errico Recanati, il nipote , figlio di Mamma Ave, marito della bella Ramona Ragaini, nonché papà di Rachele e Riccardo,  ha dato una svolta personale al locale che è meta di tutti i bon-vivant bazzicanti le Marche. Freschi di stella, lui e Ramona non trovano un momento per fermarsi a pensare. Travolti dall’inevitabile popolarità che la Michelin regala a chi la merita. Abbiamo gustato la cucina di Errico alla Trattoria Gallo Rosso a Filottrano durante una cena a quattro mani e due teste. Una cena in cui è riuscito a sintetizzare al meglio il contenuto delle prime righe. Soprattutto con due piatti: la Spugna di foje strascicate, ottenuta con lievito madre, è una pallina verde di mollica alle erbe soffice e deliziosa, e la Faraona in olio di cottura semi e fiori, un piatto “simulato” nel senso che i semi tostati intorno al cilindro di faraona simulano una grigliatura che la carne non ha subito. Stesso sapore. Tenera come i fiori che la circondano.

Ramona ci racconta che i ravioli con pollo in potacchio subiranno una trasformazione tecnica senza abbandonare il sapore, unico, che li ha resi così famosi. Stesso procedimento, anzi forse più spettacolare, per i vincisgrassi, composti al tavolo con quel rito magico e coinvolgente che vede il maitre, o il cameriere, finire il lavoro del cuoco. Questi vincisgrassi si chiamano “Secondo noi”. Ramona porta in tavola i pezzi di sfoglia all’uovo lessati, la carne marchigiana macinata, dei pomodori confit e della besciamella bollente. Monta lo scacco di vincisgrassi per ogni commensale, lo “nevica” di parmigiano e lo fa gratinare con il cannello da cucina. Bello da vedere e trait d’union perfetto fra cucina e sala. Domandiamo dello spiedo. Quello c’è e ci sarà sempre. Anzi ci sono delle idee nuove ma non posso anticiparle. Allo spiedo piccione, maialino e agnello. Affumicati per antipasto. Con Errico, il Ristorante Andreina si è avvicinato al pesce. Il mare è a due passi ma carni e cacciagione hanno sempre avuto la meglio. Ora c’è un nuovo piatto a menu che celebra il pesce e rende omaggio alle Marche. E’ un risotto con crema di peperoni rossi, alici di San Benedetto e panna montata. Cromatismi golosi e intensi. Il rosso in cucina ha sempre un suo perchè e la panna è candida. Panna e alici. Meglio del burro.

Azzardo e chiedo a Ramona: un vegetariano da voi cosa mangia?

<<Ci siamo organizzati molto bene. Le convinzioni delle persone vanno rispettate. Errico fa un eccellente carciofo fritto prima marinato nel verdicchio, un flan di pecorino di fossa con pere caramellate e dei ravioli a sorpresa ripieni del classico “fricandò”. A sorpresa perché in qualche raviolo capita la patata, in altri la melanzana, in altri peperone e zucchina. Sono molto apprezzati anche da chi poi si lascia andare con lo spiedo>>.

Ci piace molto questa naturale evoluzione e questa contaminazione di sapori che con pazienza Errico ha inserito nell’ingessato e classico (sempre verde e apprezzato) menu di Nonna Andreina. Tranquilli amanti della tradizione: gnocchi, tagliatelle, griglia e spiedo non mancano mai! Ramona, seguendo le orme professionali di Ave, vi stimolerà con etichette marchigiane che meritano di essere stappate. Per lei un percorso formativo da sommelier interrotto, un paio di volte, dal ruolo principale di mamma di Rachele e Riccardo. E fuori, nel dehors, questa estate passerete piacevolissime serate a lume di candela. Carnivori, vegetariani e vegani tutti. Durante la serata al Gallo Rosso la giovane coppia si è poi sottoposta alla domanda di Tyche, cioè la mia: Candido che ti fa pensare? Nel video potete ascoltare le loro risposte.

Carla Latini

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Vincanto, nei calici di Anna Ripani la magia del vino

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San Benedetto, via Romagna angolo viale De Gasperi, giusto due anni fa l’inaugurazione di Vincanto. Un’enoteca classica nata dalla passione di Anna Ripani, 43 anni di bellezza mediterranea. Da dieci nel mondo del vino; da due in questa avventura nella sua terra. Una marchigiana pentita, tornata all’ovile dopo otto anni di vita milanese. Vincanto è un’enoteca luminosa impreziosita da due grandi vetrate e dall’ampia entrata. E’ attiva tutto l’anno. Ho scritto classica perché qui non si degusta, non si fanno aperitivi/apericena, non ci sono stuzzichini. C’è Anna e la sua competenza.

Etichette marchigiane, italiane, internazionali. Intelligente assortimento di champagne di pregio, dal Don Perignon al Krug, spiriti da ogni parte del mondo e chicche di contorno che Anna usa per coccolare i clienti. Nessuno esce dal Vincanto senza portare a casa un ricordo goloso. Che sia un cioccolatino o una confettura mignon. Gobino, Venchi, Baratti Milano, solo per scrivere qualche nome di cioccolatai indimenticabili, una volta assaggiati.

Ho sentito Anna. Sono curiosa delle valenza del vino marchigiano in confronto alle tante etichette regionali che affollano i suoi scaffali. Mi confessa che i marchigiani sono apprezzati di più dai turisti e da chi passa nelle Marche per qualsiasi altro motivo. Vista la zona, vanno per la maggiore Passerina e Pecorino, Rosso Piceno e Rosso Piceno Superiore. Anna nomina Le Caniette e Velenosi. Le chiedo del mio amato Verdicchio. Che unisce e divide gli animi ‘alcolici’. Mi parla di Garofoli, Umani Ronchi, Bucci, Belisario, Antonucci, Montecappone. I suoi clienti preferiscono Matelica a Jesi. Ognuno ha i suoi gusti. Quando le chiedono se è migliore il Verdicchio di Matelica e quello di Jesi, Anna, appunto risponde, <<ognuno ha i suoi gusti>>. Non solo grandi marchi a Vincanto. Anna mi parla de “Il Pollenza” di proprietà del Conte Brachetti. Fa un ottimo marche rosso. Indago. Tachis sovrintende la cantina. A buon intenditor… Per soddisfare la San Benedetto estiva, a breve in enoteca Anna avrà a disposizione un frigo professionale dove rinfrescare i bianchi e le bolle. Pronti per essere portati a casa e stappati. E siccome dopo l’estate il Natale è alle porte, lo stesso frigo farà tesoro di formaggi francesi, salmoni selvaggi e caviale italiano. Da abbinare a quello che preferite.

Per chiudere, le chiedo ti darmi almeno un paio di motivi per scegliere Vincanto. <<Dicono che abbiamo i prezzi buoni. Facciamo un ricarico giusto. Coccoliamo i clienti che per me sono tutti uguali. Ma dai buoni agli ottimi, le coccole aumentano. Cerco di consigliarli con competenza senza deluderli>>.

Vincanto è la prima delle enoteche marchigiane di cui mi farà un gran piacere raccontarvi. Ho voluto cominciare con lei per premiare il coraggio che l’ha spinta ad aprire e ad affrontare questo mercato e questo settore in un momento che è quello che conosciamo tutti. Brava Anna!

Carla Latini

Tre giorni con Marina Malvezzi tra bellezze e sapori delle Marche

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Marina Malvezzi è una nota giornalista enogastronomica. Tre giorni marchigiani per lei fra arte, natura ed enogastronomia. Io la sua guida.

Ma quanto sono belle le Marche?

Primo giorno: Ancona, il Duomo di San Ciriaco. La pietra bianca della Basilica colpisce le mia amica. Più che bianca è bianca e rosa. Accecante, comunque, perché il cielo è limpido ed il sole diretto. Sono le 12. Il porto brilla. Se vi capitano delle ore di attesa al porto di Ancona, abbiate coraggio e salite sul colle Guasco. Vale la pena. Sempre. Cena a Portonovo, moscioli e raguse. Siamo al Laghetto nella Baia, coccolate come due Principesse.

Secondo giorno: Loreto. La “mia” Sala del Pomarancio. Il soprannome dell’artista viene da Pomarance, il paese francese dove è nato Cristoforo Roncalli che a Loreto ha dato il meglio di sé. Andate a vedere il “mio” asinello. Un ciuchino che cerca il tuo sguardo da qualsiasi parte lo guardi. E poi da Andreina. Lo spiedo più antico delle Marche. Nonna Andreina tirava la sfoglia, faceva gli gnocchi, curava lo spiedo con la dedizione delle donne di un tempo. Errico Recanati, nipote di nonna Andreina, figlio di mamma Ave, papà dei piccoli Rachele e Riccardo, ha dato una svolta personale al locale che è meta di tutti i bon-vivant che bazzicano le Marche. Complice la bella Ramona Ragaini, sua moglie, sommelier, anima della sala e delle iniziative che lievitano intorno a loro, dopo che la Michelin li ha celebrati con una stella (su Andreina approfondiremo a breve). Per Marina, fritto misto alla marchigiana: un cartoccio natural/chic con bocconi a sorpresa. Stessa panatura, sapori diversi. C’è anche un pavesino fritto.

Terzo giorno: Pergola. Prima di lasciare le Marche, Marina è voluta tornare nella città dei Bronzi Dorati e del tartufo bianco pregiato. E’ anche sede del Trofeo Galvanina, ideato dall’amica Elsa Mazzolini. Il sindaco ci accompagna in una visita privilegiata. Dopo due anni, sulle bacheche ministeriali ci sono ancora le correzioni che Vittorio Sgarbi ha fatto, indignato. Non sono un’opera d’arte, scrive il Ministero. Vittorio, con un pennarello nero, indelebile, ha cancellato quel non! Il viaggio marchigiano di Marina Malvezzi finisce qui.

Carla Latini

Ascanio Celestini fra dolore e sorriso, un viaggio teatrale che descrive dignità e verità scomode

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Ascanio Celestini Sauro Longhi<<Non c’è bisogno di un teatro per fare del teatro>>. E’ questo in sintesi il senso che un irresistibile Ascanio Celestini ha lasciato intendere prima, durante e poi della sua esibizione nell’Aula magna Guido Bossi dell’Università Politecnica delle Marche. Uno spettacolo che è stato introdotto da un intervento apprezzato del rettore Sauro Longhi, che alla fine si è pure auto censurato. Perché <<quando un docente prende la parola, poi non smette più>>. E concedendosi, come mostra la nostra foto, pure un inevitabile selfie con il protagonista della serata. Il meritato successo di Your Future Festival, merito tecnico anche dell’Amat, ha permesso un visibile tutto esaurito per “Racconti d’estate, storie e contro storie“. Ascanio Celestini si è avvalso, come scenografia, di un semicerchio di lampadine elettriche per terra e tantissima luce. In un monologo frutto del suo dirompente talento.

Non a caso attore e narratore tra i più amati da pubblico e critica non ha deluso ovviamente le aspettative, offrendo un appassionato e fluido spettacolo. Racconta storie di persone, a volte con le tinte fantastiche del sogno, in cui si intrecciano il dolore e il sorriso, la dignità e le verità scomode. Uno spettacolo senza inganni, quello di Ascanio Celestini in cui le emozioni sono abbondanti e si affacciano nella loro disarmante semplicità. “Il pubblico, riconoscente, si incanta, ride, si commuove. E ringrazia”, c’è scritto nella locandina di presentazione dell’evento. Nulla di più vero. E pure le battute sui carabinieri acquisiscono una loro autorevolezza. E quando gli chiediamo di dare una definizione al termino CANDIDO, ci risponde con uno sguardo furbo: <<Mi ricorda il bucato>>.
E ti accorgi che forse lo spettacolo che sta offrendo sta ancora continuando…
Kruger Agostinelli

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Pier Massimo Macchini, il radical grezzo un po’ clown un po’ mimo

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Pier Massimo Macchini redazione Tyche Magazine tabloidQuando lo vedi arrivare da lontano, sulla strada che porta in redazione, Pier Massimo Macchini ricorda un giovanissimo Marco Columbro. Poi tutto sparisce e quando sei a contatto con lui avverti tutta la sua marchigianità del sud, nel suo modo di parlare. Autentico e profondo. E’ dilagante nell’esprimersi e dondola, come su un’altalena, con la sua rassicurante simpatia. PierMa è fatto così, un gentile ascoltatore ma anche un’amabile conversatore.

E’ più facile far sorridere d’inverno o d’estate?

<<Penso d’inverno, d’estate ci si distrae più facilmente: le donne si spogliano, gli uomini sono evanescenti. Scherzi a parte, quando si vuole ridere, si ride sempre. Ogni stagione è buona. Pensate anche alla primavera: quant’è bello ridere in primavera. Poi in questa stagione mi vengono in mente tante idee>>.

Quanti Macchini ci sono, quanti Macchini proponi sulla scena?

<<Sono ancora in continua ricerca. Ho 38 anni ed ancora scrivo qualcosa di nuovo ogni giorno. Cerco di unire diverse tecniche: dal monologo alla visual comedy; dalla magia al clown passando per il mimo. Le mie fonti di ispirazione sono Charlie Chaplin e Buster Keaton ma senza dimenticare la grande tradizione comica francese che, purtroppo, ha avuto poca fortuna in Italia. Come Jacques Tati. Io nasco come mimo nel teatro di strada. Poi, chiaramente, mi adeguo al pubblico che mi trovo davanti: che sia una scolaresca, gli anziani di casa di riposo, il pubblico di un grande teatro>>.

Sei riuscito a portare il “marchigiano” fuori dai nostri confini. Il tema Marche è sempre centrale nei tuoi spettacoli.

<<Ormai il romano o il toscano hanno rotto le scatole. Ci sono poi le tradizioni milanesi, napoletane e genovesi. Mancava quella marchigiana. Io sono il “radical grezzo”, lo sono intimamente. E non è un’accezione negativa perché è un personaggio vero, non contaminato. Il “radical grezzo” abita in una terra magica, tra mare, colline e montagne. Il suo legame con la terra è autentico. È un tutt’uno con la natura che lo circonda. Troppo spesso, però, noi marchigiani tendiamo a nascondere le nostre radici. Ed è sbagliato. Io sono orgogliosamente “radical grezzo”. Ancora oggi, a fine pranzo o a fine cena, io sono tra quelli che spreme il limone servito durante le portate nel bicchiere di acqua gassata>>.

Come nasce il comico Macchini?

<<Sono l’ultimo di sette figli. Mio fratello Massimo è morto quando mia madre mi portava in grembo. Ed è per questo che porto due nomi, Piero Massimo. Cosa poteva fare uno che si trovava nella pancia della madre durante una tragedia, se non portare allegria? A me piace far star bene la gente, mi piace distrarre. Il primo obiettivo e farli evadere, nel senso però di far vivere il presente. Viviamo in un tempo in cui abbiamo tutto ma non riusciamo a goderne>>.

Pier Massimo Macchini  Tyche Magazine Emanuele Michele Kruger FedericoDove potremo vederti quest’estate?   

Ho in programma tantissime date nelle Marche ma anche in Emilia, nel Lazio, in Puglia e una anche in Sicilia. Nelle Marche proporrò una sorta de “il meglio di” con monologhi e personaggi che ho già proposto. Il 30 maggio proporrò un nuovo spettacolo che si chiama “Fuori porta” al teatro di Capodarco insieme al musicista Lucio Matricardi. Invece per Natale sto preparando “Io Provincialotto”, anche questo un lavoro nuovo>>.

Rituale foto di gruppo con la redazione e poi non resiste ad affacciarsi dalla finestra. Pier Massimo sembra divertito e quasi consapevole. E’ vero caro Macchini, faremo di tutto per farti ritornare proprio in occasione degli appuntamenti di “Tyche live”.

Kruger Agostinelli

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Lo scatto di Henry Ruggeri a Lou Reed: “E quell’autografo…”

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Henry Ruggeri in mostra a Roma dal 23 maggio al 20 giugno 2015, alla AND Gallery di Via Lorenzo Il Magnifico, 97, con “Rocks and shots, frammenti ed immagini di vita on the road”. Un appuntamento che permetterà di rivivere alcuni momenti salienti sul palcoscenico, grazie ad uno dei più importanti fotografi italiani di musica, da tanto punto di riferimento per Virgin Radio, Hard Rock Cafè e Barley Arts.

Si potranno ammirare non solo scatti, ma anche memorabilia come poster, autografi e locandine di personaggi che sono ormai leggenda. Rolling Stones, Lou Reed, Pearl Jam, Bruce Springsteen, Skunk Anansie, Green Day, Metallica e Slash.

Magnifica la locandina con scatto di Lou Reed al Pistoia Blues del 2011. C’è una ragione precisa?

<<Un mio omaggio a Lou Reed da cui sono legato grazie ad un ricordo davvero simpatico ed indimenticabile. Era l’estate 2003 a Fano e l’artista newyorkese figurava fra i protagonisti de “Il violino e la felce”, la rassegna diretta da Franco Battiato. Insieme a degli altri fans lo aspettavamo fuori, a fine concerto. Ognuno di noi aveva qualcosa da farsi autografare. Gli altri ragazzi avevano un paio di 33 giri, ognuno dei Velvet Underground, mentre io avevo “New York City Man”, proprio il cd del tour che stava presentando, più un poster. Ebbene, finalmente Lou Reed è uscito dal camerino, ci ha squadrato e ha puntato diritto verso di me. Ha firmato tutto il mio materiale, ignorando completamente gli altri e andandosene via. Poi si è girato e mi ha fatto l’occhiolino>>.

Quasi fosse un passato da rinnegare…

Kruger Agostinelli

(Foto Henry Ruggeri)

Lou Reed Pistoia Blues

“Fortini, pirati e antipasti di mare” nella Portonovo di Roberto Perrone

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Roberto Perrone è una firma nota del Corriere della Sera per quanto riguarda lo sport. Gli appassionati di vino e cibo lo conoscono anche per la pagina della domenica che, da anni, dedica alle sue scorribande enogastroturistiche in giro per l’Italia.

marcello nicolini perroneDi tutto ciò ha fatto un libro che si intitola “Manuale del viaggiatore goloso”. Roberto ama la nostra terra. A pagina 31 c’è uno dei capitoli dedicati alle Marche. Si intitola “Fortini, pirati e antipasti di mare“. Tolte le citazioni storiche e i ricordi legati al Fortino Napoleonico, Perrone si concentra su Marcello Nicolini (la foto in basso che accompagna questo pezzo è di Kruger Agostinelli, scattata durante il congresso della Commanderie de Cordons Bleu con il presidente Tony Sarcina). Sul suo passato da idraulico al suo presente da patron del Laghetto. Lo descrive brusco, spigoloso solo in apparenza. Carico di antipasti di mare caldi e freddi. Con moscioli gratinati con mollica di pane che aspettano solo di essere mangiati. Perrone descrive Portonovo come una Portofino senza fronzoli e birignao. Selvaggia al punto giusto ma vicina ad Ancona che, nel bene e nel male, offre comodità degne di un capoluogo di regione.

Carla Latini

 

“Li maccherò de lo vatte”, ricordi bucolici e ricette

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Chi si ricorda dei “maccherò de lo vatte”, ricetta tipica marchigiana, rituale quasi scaramantico che auspicava un buon raccolto di grano? Non si fanno quasi più. Se non in occasioni di ricorrenze, simulazioni storiche, sagre paesane e rimembranze annuali. Oggi la mietitrebbia con l’aria condizionata schizza via come il vento, perché un altro campo l’aspetta. Non c’è tempo per due “maccherò”. I vecchi ricordano “lo vatte” (cioè la mietitura e la trebbiatura) con nostalgia e tenerezza, nonostante fosse un lavoro molto faticoso. I vicini prestavano il loro aiuto a buon rendere, e ilmomento della pausa per il pranzo diventava una festa. Le donne più anziane preparavano il sugo fin dalla mattina presto: in un grande “callerò” facevano soffriggere un battuto di grasso e magro insieme a carota, sedano e cipolla ridotti quasi in poltiglia. Un po’ per volta, a seconda del tempo di cottura di ogni pezzo, univano le rigaglie e i pezzi di pollo, di papera o di oca, aggiustavano di sale e pepe, coprivano di acqua e mescolavano insieme a 4 cucchiai densi di conserva (la conserva era il rimedio di tutti i mali per le nostre nonne!). Il sugo del batte bolliva per più di due ore (e ci credo con tutta quella carne al fuoco!). Il profumo si spandeva per la casa e per l’aia. Qualche donna metteva la maggiorana, qualcun’altra l’alloro. Tutte le carni venivano poi tagliate a piccoli pezzi con il coltello. I “maccherò”, o “moccolotti”, si cucinavo, a volte, direttamente nel sugo bollente, mescolati a lungo, ingolositi da diverse manciate di pecorino grattugiato e portati nei campi dentro i “reali” che erano dei contenitori usati per questa occasione. I mietitori poggiavano la falce, smettevano di legare i covoni e gradivano molto volentieri l’offerta delle donne più anziane. Fermate questa immagine.

Il grasso incorporato dal sugo rendeva questo piatto denso e nutriente. Una botta calorica importante per portare a termine il lavoro della giornata. Che non era solo una. Per mietere un ettaro di grano ci volevano dalle 10 alle 15 persone al giorno. Ed ogni giorno i “macchero de lo vatte” arrivavano puntuali a mezzogiorno.

Se il contadino ospitante era un “contadì grosso”, dopo i “maccherò” c’era il tradizionale coniglio in potacchio. Che cuoceva a fianco de “lo callerò” del sugo, nella sua padella di rame. Il coniglio tagliato a piccoli pezzi, insaporito precedentemente con aromi e vino bianco per eliminare qualsiasi odore di bestia, veniva prima leggermente rosolato in padella con olio o strutto, aglio e rosmarino. Sfumato con il vino bianco e coperto di acqua continuava lentamente la sua cottura. Le donne lo giravano poco, accertandosi solo che fosse tutto coperto di acqua e vino e bollisse piano. A cottura quasi ultimata, un veloce rialzo di fiamma e due cucchiai di conserva, (eccola ancora) gli regalavano un gradevole colore dorato. Sale, pepe e rosmarino fresco per concludere. Questa ricetta è molto attuale e vicina all’idea di leggero e digeribile (evitando lo strutto e le cotture troppo lunghe). Potete farla a casa senza difficoltà. A meno che il coniglio non vi faccia inorridire. Allora potete provare con il pollo. Oppure con una lombata di maiale.

Se “lo contadì era più grosso”, al posto del misero coniglio c’erano oche o papere al forno, cresce, “foje strascicate” e pizze dolci. Un trebbiano misto a malvasia, dell’anno prima, annaffiava il conviviale.

Ma c’era anche la cena. All’imbrunire, i contadini si riunivano sull’aia, finivano gli avanzi (che poi non erano avanzi perché le donne calcolavano le dosi giuste per tutti), bevevano il vino vecchio che cominciava a sapere un po’ di aceto, prendevano a morsi fresche fette di melone e di anguria per pulirsi la bocca, baciavano (se ci riuscivano) la bella di turno che avevano tampinato tutto il giorno fra una spiga e l’altra, e se era l’ultima sera di lavoro la fisarmonica suonava fino a tardi e i contadini ballando scacciavano via stanchezza, malinconia e “maccherò”.

Una domenica, quando siete dell’umore giusto, lanciatevi in un feedback gastronomico agricolo marchigiano e, per prima cosa, non fatevi convincere ad alleggerire il ragù, poi mettete al forno un’oca o una papera con alloro, salvia, rosmarino, aglio e vino bianco, strascinate a parte delle verdure miste, portate a tavola delle cresce tagliate a dadoni e chiudete in dolcezza con una pizza di uvetta e anisetta. Poi, o andate a finire di mietere il grano, o andate a fare una corsetta. Oppure, cosa più auspicabile, colti dall’abbiocco post-prandiale, prendete la strada del divano o, ancor meglio, del letto.

Carla Latini

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