Utopia verdicchio riserva di Montecappone premiato da Doctor Wine
Domenica 11 Settembre al Museo del Balì un Convegno, dedicato, ha festeggiato, con personaggi illustri del mondo eno-gastronomico marchigiano, i 20 anni del riconoscimento della DOP del Formaggio la Casciotta d’Urbino. A condurre Marco Menghini, agronomo di fama europea e consulente/volto fisso di Linea Verde, come già anticipato. (vedi qui)
A fare il ‘Pierino’, come si auto definisce lui, Paolo Cesaretti, brand manager del Consorzio. Paolo parla e Marco Menghini, in questo prologo, gioca a fargli da spalla. Stiamo aspettando che una parte del pubblico finisca la visita ‘privilegiata’ al Museo del Balì con il Presidente della Fondazione Alighiero Omicioli. In pochi minuti arrivano tutti. Nel frattempo Menghini e Cesaretti toccano, in ‘pillole’, gli argomenti che saranno i contenuti di questo incontro. Primo fa tutti l’aggregazione, il fare gruppo fra agricoltori e allevatori. La sala è piena. La prima parola va a Gino Traversini, Presidente della 2° commissione del Consiglio Regionale. Qui in duplice veste. Duplice perché Traversini è di Cantiano. Quindi del pesarese anche lui. Si riallaccia al concetto gruppo e aggregazione. Al significato di fare cooperativa. Ci spiega quanto si stia lavorando in Regione per tutto ciò. Prima, Cesaretti, insieme a Menghini, ci avevano spiegato il senso sociale delle DOP. Non solo un marchio, un bollino da attaccare ad un prodotto. Un disciplianare che a volte può anche penalizzare il produttore. Ma un valore aggiunto importante per dare pregio al lavoro di chi, realmente, sta sulle montagne e alleva pecore e mucche in condizioni assolutamente disagiate. Menghini introduce il Presidente del Consorzio della Casciotta, Gianluigi Draghi. Con il suo narrare inizia la favola introdotta da Cesaretti. Nel grande schermo, alle spalle dei relatori, c’è fissa la pagina della storia della Casciotta d’Urbino. C’è il volto giovane ed entusiasta del Dottor Benedetti che credette in questa DOP. Nel 1996 divenne ufficiale. Ma perché Casciotta? Chiede Menghini. “Caciotta è generico” risponde Draghi. Tutte sono caciotte. Con il nome caciotta la DOP non avrebbe avuto il meritato riconoscimento. Così, racconta sempre Draghi, una ricerca storica li ha portati fino, addirittura, a Michelangelo. Nell’archivio della Parrocchia di Urbania vengono trovate notizie riguardo il fatto che era proprietario di molti ettari nel Montefeltro e si faceva portare i ‘casci’ a Roma dal suo mezzadro, mentre lavorava alla Cappella Sistina,. Da ‘Casci’ a ‘Casciotta’ il passo è breve. E premiato anche oggi. Per utili informazioni del consumatore finale il latte è ovino e di mucca. 70 per cento ovino e 30 per cento mucca. L’80 per cento della produzione avviene nello stabilimento di Montemaggiore al Metauro. Il resto in stabilimenti, nelle zone limitrofe, che seguono lo stesso disciplinare.
Le notizie, gli aneddoti sono tanti ed i relatori che si alternano, molto ben condotti da Menghini, puntano su un solo nobile concetto: l’aggregazione, la condivisione. Questa DOP, da sola, ha dato sostegno e lavoro a tanti produttori in zone disagiate e lontane dal ‘giro quotidiano’. Ne è convinto Antonio Centocanti, presidente di IME (Istituto Marchigiano Enogastronomico). Un professionista che ha dedicato alle cooperative vitivinicole tanto tempo della sua vita. Si parla di Food Brand Marche. Ve ne ho già scritto qui direttamente da Vinitaly.
Alla fine del Convegno è prevista l’apertura dell’Orcio. Con Paolo Petrelli, Paolo Cesaretti ha messo in opera un esperimento storico. Quindici forme di pecorino canestrato, già stagionato 60 giorni, sono state collocate dentro un orcio, in una delle cantine del Museo del Balì, fra un pesto di foglie d’ulivo e foglie d’ulivo. All’apertura esce della sana muffa bianca buona. Mentre Cesaretti estrae le piccole forme che poi assaggeremo Draghi ci regala nozioni gastronomiche tipo che il formaggio non va mai mangiato freddo (lo sapevate?). Centocanti ne decanta l’abbianamento ‘storico’ con il vino. Fabiani, il Presidente di Cooperlat Tre Valli chiude l’incontro. A onor del vero anche due signore sono state protagoniste di questa divertente kermesse (grazie Marco Menghini e grazie Paolo Cesaretti). Sono Daniela, solo Daniela, Presidente della Croce Rossa Italiana di Fano che ha ringraziato per il sostegno e ci ha messi al corrente della situazione dei nostri terremotati e Rossana Turina per il progetto Quidanoi che per questa Festa è diventato “Quidanoi è già Natale”. Mentre assaggiamo alcuni bocconi del pecorino uscito dall’orcio (buonissimo) Draghi ci svela il perché della ricetta della Casciotta. Copiata dai mezzadri/allevatori che con i latti vaccini e ovini facevano il ‘cascio’ per loro. Erano forme piccole perché il latte era poco. Così come è ora la Casciotta. Menghini ci rende edotti che il primo DOP della storia italiana risale al 1200 ed era il formaggio Castelmagno.
Insomma fra il Museo del Balì (merita la visita che siate grandi o piccini), fra le presenze colte e interessanti, fra il ‘colpo di scena dall’orcio’ si è conclusa questa festa. Lo scopo? Ridare dignità e storicità ad un formaggio che è sempre sulle nostre tavole. La prossima volta che mangiate uno spicchio di Casciotta D’Urbino spero vi ricorderete le queste mie semplici parole.
Carla Latini
Marco Menghini, l’agronomo di Linea Verde, Rai1, ci racconta i suoi 11 anni ‘sui campi’. Marco sarà il moderatore del Convegno organizzato dalla Festa del Formaggio Marchigiano per i 20 anni della DOP della Casciotta d’Urbino al Museo del Balì, a Montemaggiore, la prossima Domenica 11 settembre alle ore 10.
Lo vedrò al Balì così sarò in grado di spiegarvi meglio il significato delle DOP e la loro importanza fondamentale a livello europeo. Il modo di ‘moderare’ di Marco è più vicino ad un brillante conduttore televisivo che ad un ‘serio’ agronomo quale in realtà è. Marco Menghini è un libero professionista che fa da anni questo mestiere non solo in tutta Italia ma nell’Europa intera. Va dove è necessario il suo sapere. L’avventura Linea Verde comincia per puro caso. Tramite un amico. Quando lo chiamano dalla Redazione fa come fece Patrizio Roversi (l’attuale conduttore di Linea Verde) ad una telefonata dell’allora vice direttore Rai Maria Pia Ammirati. Incredulo pensò ad uno scherzo e mise giù il telefono. Da quel giorno inizia la collaborazione di Marco, come consulente agronomo. Corre l’anno 2005 e c’è la conduzione Brosio/Vissani. L’incarico doveva durare solo per 5 puntate ed invece Marco è ancora lì. E lo vedremo per tutto il 2017. Il suo ruolo, i primi tempi, è di pura consulenza in agricoltura. Terreni, produttori, coltivazioni, rotazioni, nozioni, tecniche, biodiversità ecc… Linea Verde è sì un programma popolare ma deve dare informazioni precise. Deve educare lo spettatore ad apprezzare i frutti provenienti da una filiera controllata e certificata. Linea Verde nobilita l’agricoltura italiana. Durante le stagioni condotte da Massimiliano Ossini qualcuno capisce che il suo contributo funziona anche in video. La sua prima volta è con Veronica Maio. Un allevatore non riesce, emozionato!, a spiegare concetti indispensabili. Ossini invita Marco. E Marco aiuta l’allevatore, con tatto ed eleganza, a toccare contenuti importanti per la puntata. Da qual momento Nicola Sisto, il regista, comprende quanto sia fontamentale la presenza del consulente esperto in video. Poi Marco è simpatico. La sua faccia buca lo schermo.
Con Patrizio Roversi ha creato una coppia consolidata. Roversi che studia molto prima di ogni puntata e approfondisce ogni dettaglio, fa finta di essere ignorante e Marco fa perfettamente solo se stesso. Le ‘vignette’ che sanno inventare sono dei veri e propri camei che rimangono in testa e che, in questo modo, rendono più semplice l’apprendimento. La redazione è composta da persone preparate, attente. Prima di ogni puntata numerose riunioni danno vita a scambi di opinioni, idee, spunti. Con Marco, prezioso tassello insostituibile. Lo ascolterò volentieri la prossima domenica a Montemaggiore. Vi aspetto alle 10 al Museo del Balì. Preparate le domande…
Carla Latini
Un’idea originale legata ad uno dei prodotti Dop più famosi delle Marche e ad una festa, la Festa del Formaggio
Un’idea originale legata ad uno dei prodotti Dop più famosi delle Marche e ad una festa, la Festa del Formaggio Marchigiano, che si svolgerà dal 10 all’11 settembre a Montemaggiore, in provincia di Pesaro Urbino. I “Casciottgon” (richiamo ai Pokemon) avranno la forma e l’immagine della celebre Casciotta d’Urbino che in quei giorni festeggia i 20 anni di Dop.
Mi ha incuriosita e sto cercando di capire meglio cosa succederà. La festa ha un programma ambizioso e divertente. Che abbraccia un bacino d’utenza trasversale. Giovani, famiglie, bambini, anziani, sportivi, ragazzi, gourmet, turisti, amanti dell’arte, della tradizione e della storia. Insomma tutti. Il momento Casciottgon sarà domenica 11 settembre all’interno e all’esterno del celebre Museo del Balì e in tutto il territorio di Montemaggiore. A breve ci sarà una cartina scaricabile dal sito www.casciottadurbino.it che fungerà da mappa strategica indicando i potenziali posti dove si potranno avvistare i Casciottgon. Comincia alle 8 e finisce alle 20.30. Il Balì, da quando è nata la mania Pokemon funge anche da ‘ricarica’. Chi conosce il gioco bene sa cosa voglio dire. Molti sono i misteri e le favole che circondano i Pokemon. Ce ne saranno tanti anche intorno ai Casciottgon. Sarà una ‘caccia’ fotografica. Per un po’ di tempo (quanto?) si materializzarà l’immagine della Casciotta così come la conoscete. Bisognerà essere veloci, attenti. Tempestivi per non farsi scappare il Casciottgon catturato. Ovvio è solo un bel gioco e come tale avrà lo sfondo senza tempo del Balì e lo storico fascino di Montemaggiore. Dove i bambini si divertono ed imparano la matematica, la fisica, l’astrofisica. E a rincorrere i Casciottgon. Scherzi a parte, i due giorni dedicati alla Casciotta più famosa d’Italia (l’unica con la “sc”) e al suo ventesimo compleanno, avranno un ampio respiro culturale e daranno un’identità diversa ad un prodotto, buonissimo, che tutti noi conosciamo e apprezziamo nei banchi frigo dei nostri supermercati. In questi giorni sarà possibile visitare il luogo di produzione a Montemaggiore. Per rendersi conto di persona del percorso che fanno latte di pecora e di mucca per diventare la Casciotta d’Urbino. A questo punto del mio pezzo mi sembra doveroso informarvi sul programma ‘quasi’ definitivo. Perché c’è ancora tanto tempo e altri appuntamenti e personaggi famosi possono aggiungersi per la gioia di tutti. Per informazioni e prenotazioni www.casciottadurbino.it.
Carla Latini
SABATO 10 SETTEMBRE
H. 9.00-10.00 “LA COLAZIONE MARCHIGIANA”
LATTE ALTA QUALITÀ QM TRE VALLI CON CAFFÈ D’ORZO,
BISCOTTI E TORTE DELLA COOPERATIVA “IL BIROCCIO”.
H. 9.30-11.00 “A SCUOLA DI LATTE”
EDUCAZIONE ALIMENTARE AI BAMBINI
ANTEPRIMA 2016/2017 COOPERATIVA “ALIMOS”
H. 11.00 – 11,45 INAUGURAZIONE PUNTO VENDITA QUIDANOI
CON LE AUTORITÀ E VISITA AL CASEIFICIO VALMETAURO (SOLO SU PRENOTAZIONE).
H. 12,00 – 12.30 “QUIDANOI È GIÀ NATALE”. PRESENTAZIONE DEL CATALOGO ONLINE DEI PRODOTTI AGROALIMENTARI
H. 12.30 – 14.00 APERIPRANZO AL FORMAGGIO
CON LE RICETTE DELLA TRADIZIONE MARCHIGIANA.
H. 16.00 – 18.00 “IL PANIERE DEI PRODOTTI
FOOD BRAND MARCHE” DEGUSTAZIONE GUIDATA.
H. 17.00 – 20.30 ESIBIZIONE LANCIO DEL FORMAGGIO
CON FORMAGGIO PECORINO STAGIONATO. A CURA UISP
H. 17.30 – 20.30 ESIBIZIONE DI RUZZOLA
COMPAGNIA DEL VENGA L’OST
H. 17,30 – 18.30 MERENDA MARCHIGIANA
CON FORMAGGI E SALUMI E ALTRE PRELIBATEZZE
H. 19.30 – 24.00 “FORNELLI ACCESI”
CENA CON LE RICETTE A BASE DI FORMAGGIO
DELLA TRADIZIONE MARCHIGIANA,
DALLE H. 22.00 “CASCIOBURGHER” L’INCONTRO FRA
LA CASCIOTTA ED IL MARCHBURGER DI BOVINMARCHE.
H. 22.30 – 00.45 “NOTTE PRIMA DELLA SCUOLA”
MUSICA ED INTRATTENIMENTO PER FESTEGGIARE
IN ANTICIPO L’INIZIO DELL’ANNO SCOLASTICO
DOMENICA 11 SETTEMBRE
H. 08.00 – 12.30 “CICLO RADUNO” ESCURISONE IN MONTAIN BIKE
CON LA “SERVIGOMME CYCLING TEAM”. (CIRCA 35 KM) DI MEDIA DIFFICOLTA’
.
H. 08.00-10.00 “LA COLAZIONE MARCHIGIANA”
LATTE ALTA QUALITÀ QM TRE VALLI CON CAFFÈ D’ORZO,
BISCOTTI E TORTE DELLA COOPERATIVA “IL BIROCCIO”.
H. 08.00- 20.30 “CASCIOTTA GO” GIOCO FOTOGRAFICO ALLA RICERCA DEI “CASCIOTTGON”
H. 10.00 – 11.30 VISITA AL CASEIFICIO VALMETAURO
(SOLO SU PRENOTAZIONE).
H. 10.00 – 11.30 “VENT’ANNI DI DOP UNA INNOVAZIONE
BEN RIUSCITA” CONVEGNO AL MUSEO DEL BALÌ.
AL TERMINE “APERTURA DELL’ORCIO”, STORICO
CONTENITORE DOVE AFFINANO FORME DI FORMAGGIO
AVVOLTE NELLE FOGLIE DEGLI ULIVI DI CARTOCETO.
H. 12.30 – 14.00 APERIPRANZO AL FORMAGGIO
CON LE RICETTE DELLA TRADIZIONE MARCHIGIANA.
H. 15.30 – 22.00 MOSTRA FOTOGRAFICA
A CURA DI 80 ASA CLUB FOTOGRAFICO
H. 16.00 – 17.00 FORMAGGI DOP A CONFRONTO
(DEGUSTAZIONE GUIDATA).
H. 16.00 – 18.30 CASCIOTTA IN STAFFETTA
A CURA DI ASD CALCINELLI RUN
H. 17,30 – 18.30 MERENDA MARCHIGIANA
CON FORMAGGI E SALUMI E ALTRE PRELIBATEZZE
H. 18.00 – 24.00 “FORNELLI ACCESI”
CENA CON RICETTE A BASE FORMAGGIO DELLA
TRADIZIONE MARCHIGIANA ACCOMPAGNATA DA MUSICA.
H. 22.30 – 00.45 “NOTTE FORMAGGIOSA”
MUSICA ED INTRATTENIMENTO PER FESTEGGIARE
I 20 ANNI DELLA CASCIOTTA D’URBINO
SABATO 10 E DOMENICA 11 SETTEMBRE
H. 11.30 – 22.00 MOSTRA MERCATO “QUIDANOI È GIÀ NATALE” (AREA DEL PARCHEGGIO DEL PUNTO VENDITA CASEIFICIO)
H. 15.30 – 22.00 MOSTRA FOTOGRAFICA A CURA DI 80 ASA CLUB FOTOGRAFICO
H. 16.00 – 18.30 “CASCIOTTA IN FLIGHT” VISITA AL CAMPO ULTRALEGGERI, A CURA DEL “ALBATROS ULTRALIGHT CLUB”.
H. 16.30 – 22.00 BABY CHEESE PARK
“GIOCARE CON IL LATTE” LABORATORI PER BAMBINI
H. 16.30 – 18.00 PASSEGGIATA TURISTICA CON GUIDA
A MONTEMAGGIORE AL METAURO.
H. 17.30 – 22.00 SPINNING
(SOLO SU PRENOTAZIONE AL 328-3911575)
H. 17.30 – 22.00 GIOCO LANCIO DEL FORMAGGIO
PER INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI
PROLOCO MONTEMAGGIORE AL METURO
www.casciottadiurbino.it
Marco Menghini, l’agronomo di Linea Verde, Rai1, ci racconta i suoi 11 anni ‘sui campi’. Marco sarà il moderatore del Convegno
“Dai su fai la solita battuta sul mio cognome!” Mi attacca subito! Impossibile resistere. La metto additittura nel titolo. Maurizio fa il cuoco da 18 anni sulla costa sud della riviera adriatica. Quindi mare servito nel piatto. Grandi numeri di gran classe. Il posto si chiama il Porticciolo ed è a Cupra Marittina. Benedetta e Stefano sono i titolari. Affezionati alla sue solida tradizione. Ma a volte, ogni tanto e per fortuna nostra, ama divagare.
Divaga sui ricordi e fa della sana provocazione. Si inventa ricette per recuperare quegli scarti che, altrimenti, finirebbero nei primi piatti. Come la sua galantina di tonno. Dove con il tonno mette le uova sode e i pistacchi.
Firma piatti che definiamo insieme ‘blasonati’. Piatti che mettono soggezione al cuoco che li fa. Uno di questi sono gli spaghetti cacio, pepe e cozze. La vicinanza dell’Abruzzo si fa sentire. E il sempre attuale, mare monti, cacio e pesce, risulta goloso e piace a tutti. Ma non voglio scrivere solo delle divagazioni di Maurizio. Dei suoi fiori di zucca ripieni di gamberetti e non di alici, delle sue lumachine e vongole con pecorino.
Al Porticciolo ho assaggiato, finalmente, la versione ufficiale del Brodetto alla sambenedettese. Quello fatto con tante verdure. Pomodori verdi (perché diventavano maturi durante le uscite in barca) peperoni gialli, rossi e verdi. Tutti i pesci del pescato locale. E non mancano mai le seppie. Niente farina e tanto, tantissimo aceto. Che aiuta a sfaldare le verdure e a conservare i pesci. Molti sono i clienti che si fanno chilometri per questo Brodetto. E si fermano anche al mare. Il Porticciolo ha una quarantina di ombrelloni, una spiaggia ben curata e il calore famigliare di Benedetta e Stefano. Lei segue e coordina la sala. Stefano fa la pizza. Per i ‘vacanzieri’ stanziali Maurizio inventa sempre il ‘piatto del giorno’. Spesso un primo che ‘impone’ con gentilezza. Che siano vongole o scoglio. Dalla sua mano potrete gustare intelligenti abbinamenti di verdure, legumi e pesce. Tutto di stagione e locale. In cucina con lui c’è Marco che è il suo secondo. Ha solo 27 anni ma l’esperienza di un cuoco navigato. Poi c’è Andrea, giovanissimo ed alle prime armi. Cresce bene. Maurizio è soddisfatto.
Contento di essere riuscito, durante il caos frenetico di agosto, a tenere fede alla sua promessa.
Grandi numeri di gran classe. In sala due persone aiutano Benedetta. E quando possono si aiutano a vicenda passando dalle pizze di Stefano alle ‘divagazioni a sorpresa’ di Maurizio. Il nostro Digiuni ci tiene a precisare che tutte le paste fresche, gnocchi e ravioli, sono fatti in casa. Insieme ai dolci: bavaresi e semifreddi estivi, panne cotte, zuppe inglesi, sacher. Un paio di dolci al giorno sono il suo trand abituale. “Ancora divagazioni chef?” Provocazioni che è meglio. “Tu non hai mai assaggiato il mio ciauscolo di pesce: calamaro ripieno di ciauscolo tagliato a fettine e servito freddo. Mi sono dimenticato anche di raccontarti della carbonara con i fiori di zucca e la bottarga, degli hamburger di pesce, della frittata con l’umanità e della spigola in carrozza. “Ma come inviti i tuoi clienti a scegliere le divagazioni/provocazioni? Le leggono sul menu soltanto? Esci in sala?” “Esco all’inizio, al momento degli antipasti caldi e freddi. Si chiamano così ma li cambio spesso. Colgo l’occasione per descriverli. Spiego perché oggi c’è il tonno e ieri la ricciola. Offro il mio aiuto. La mia è una presenza discreta. Mai invadente. Necessaria”.
Immagino che fra una spiegazione e l’altra Maurizio trovi il tempo giusto per infilare, con un tocco leggero di fioretto, un assaggio di galantina di tonno o una spigoletta fresca in carrozza. Formaggio e pesce. Non una novità ma una continuità. Benedetta, Stefano, Maurizio, Marco e Andrea vi aspettano al Porticciolo. Con un nome così, tanto per rimanere in tema di nomi, il pesce fresco è una certezza. E non rimarrete ‘Digiuni’!
Vi consiglio di prenotare allo 0735/777629 https://www.facebook.com/chaletilporticciolo. www.chaletporticciolo.it
Carla Latini
Due settimane due, intendo FrittoMisto, in cui Ascoli Piceno profuma di olive ascolane, cremini, fiori di zucca, pizza e chi
I vignaioli sono dentro i loro vigneti che sono dentro i loro vini. Il vino si fa in vigna, dicono tutti gli enologi e gli esperti. Più la vigna è amata e più i vini sono generosi. Ho conosciuto Luigi Mancini prima di bere i suoi vini e poi ho visitato il vigneto più alto. Che si specchia del mare tanto è ripido. Ed il mare soffia fra i filari, con un forte vento salato. Luigi è una persona schietta. Di poche parole che offre con la stessa grazia con cui versa i suoi vini. Ma se entri in sintonia è un mare blu di nozioni e di emozioni che ti travolge.
Arrivo da lui verso mezzogiorno, in cantina nel Pesarese. È in piedi su una scala accanto ad un tino. Un piacere vederlo così. All’opera. Poi mi fa accomodare nel suo quartier generale. Mobili antichi di pregio e il caos bello e avvolgente di chi lavora senza sosta fra mail, post it, bottiglie e bicchieri. Mi permette di fare, con lui, unn percorso degustazione unico. Stappando annate che risalgono a 15 anni fa e che ancora non hanno finito di raccontare la loro storia. Colpita assaggio in silenzio. Adoro il Pinot nero che trovo il grappolo più bello e delicato del mondo. Un po’ come il Verdicchio. Chiuso “a pugno” all’esterno per aprirsi con calma e a lungo dentro il bicchiere. Luigi è stato il primo a vinificare Pinot nero nelle Marche, impiantato a Pesaro tanti anni fa durante la dominazione napoleonica. Il terreno calcareo e il microclima freddo proveniente dal mare risultarono, fin da allora, ideali per questa coltivazione. Fu la famiglia Mancini, da generazioni, a mantenere in purezza il vitigno e a vinificarlo con cura, rispetto e attenzione. Mentre parliamo, Luigi accende il computer e sul grande schermo mi faccio un viaggio virtuale fra gli appezzamenti da dove prendono il nome i suoi vini. Roncaglia, Albanella 100% con una piccola aggiunta di Pinot nero, è nella zona di Roncaglia, accanto al parco naturale San Bartolo. Focara, zona Focara sempre accanto al Parco che produce appunto il Focara, Pinot nero vinificato in rosso. Focara Rive, sempre Pinot nero ma proveniente dalla zona di Rive, dove stiamo per andare. Colline Focara e Rive, il Sangiovese del Colli Pesaresi. Dalla vigna di Monte Bacchino nasce Blu, IGT rosso. E sempre da Rive arriva anche il Sangiovese. E poi c’è Impero (posso dire il mio preferito?), Pinot nero vinificato in bianco. Attualmente di Albanella c’è il 2013 e delle altre uve il 2012 e 2011. A breve, oppure quando lui vorrà, anche Mancini avrà le sue bollicine.
Ho avuto il privilegio di un’anteprima che mi ha confermato quello che stavo pensando mentre degustavo: i grappoli che Luigi ama e “protegge” dal freddo del mare lo ringraziano con questi vini che sono senza tempo. Prima di portarvi con me a Rive, sarà eccitante ma non nel senso che pensate voi, vi consiglio di vedere sul suo sito www.fattoriamancini.com un video molto bello, di quelli che si dicono emozionali, che mostrano le sue vigne, le ginestre che qui durano tutto agosto, il tramonto. Uno spettacolo unico che porta in vigna visitatori ogni sera per tutta l’estate. Arriviamo in macchina fino a Rive. La visita fra le vigne è “sui generis”. Se volete, salirete su una Suzuki a 4 posti, decappotabile con gomme da alta montagna, Luigi alla guida vi chiederà: «Sei sportiva?» Abbastanza, rispondo tranquilla. Bene, tenetevi forte, perché si parte per un tour rocambolesco, che ha del pericoloso se non sei uno stuntman. Montagne russe fra le vigne a picco sul mare. Ed arriviamo in alto, così in alto che manca il fiato. Scendo, tocco terra e lui ride. Un motivo in più per andare a trovarlo. Oltre che per acquistare i suoi vini.
Fattoria Mancini, Strada dei Colli, ingresso via del Gabbiano, Pesaro. Tel 0721 51828, aperto tutti i giorni dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 15 alle 19.
Carla Latini
Pronti a leccarsi le dita? Pesaro, Baia Flaminia. Dove il mare diventa sempre più aperto. Ed il vento soffia spesso.
Stesso staff, stessa filosofia, ambienti diversi e diversamente immaginati. Ma un solo fil/blanche/brillante che lega i progetti. Allo Scudiero di Pesaro Daniele
Daniele Patti, messinese di nascita ma pesarese di adozione, ha il volto di un giovane scuderio del XVI secolo. Il
La storia di Felicità Romagnoli sembra un film girato a Hollywood. Già il nome è tutto un programma: Felicità. In verità, nata in America, il suo nome originale è Happy. Mi racconta la sua passione per la cucina cominciata in casa con nonna e mamma. Un po’ “fai date” e un po’ di corsi fra Usa e Londra hanno formato la mano sicura di questa bella ragazza. Alla fine del mio pezzo che è anche un’intervista, Felicità abbinerà i suoi menu agli ultimi concerti di Tyche Eventi e alle musiche che preferisce. Quindi rimanete qui. Felicità sfilava per Valentino. Mi confessa, però, che, siccome il primo amore non si scorda mai, anche adesso, ogni tanto, si concede il lusso di qualche sfilata fra un servizio di catering ed una cena in un club privato. Felicità cucina a domicilio. Dopo qualche anno passato fra i fornelli di altri cuochi ha deciso di fare da sola. Ha un carattere forte la ragazza che ha fatto del suo ‘Chef a domicilio in musica’ un vero e proprio mestiere.
E la musica come si inserisce?
«La musica fa parte della mia vita. Mentre invento un piatto e preparo una linea di cucina la sento in cuffia. Cucino con le cuffie. Se poi i miei clienti voglioso essere coinvolti accendiamo lo stereo! Il mio motto: cucinando con amore, mangiando con felicità».
Compleanni, matrimoni, anniversari con la cucina felice e musicale di Felicità? Quali sono i tuoi ingredienti e i piatti preferiti?
«Mi muovo agilmente fra vegetariano e vegano. Adoro zenzero, curry, curcuma. Lavoro molto bene pesci e crostacei. Ci abbino tutti i generi musicali dal jazz alla musica classica fino alla house»,
Circa 5 anni fa è uscito, solo in inglese e negli Stati Uniti, il suo primo libro. Come poteva intitolarsi se non ‘Food and Music’? Ci sono raccolti i suoi piatti classici. Attraverso il passa parola la ragazza arriva poi a cucinare per grandi eventi e per personaggi molto famosi. Madonna e Alain Delon la chiamano spesso.
«I miei libri? Ti riassumo in breve la loro storia, ho pubblicato a novembre dell’anno scorso il mio libro in inglese vendendo circa 1200 copie tra America e Gran Bretagna per poi stamparne circa 5000 copie in italiano da vendere in Italia, sto concludendo accordi con diverse librerie e ultimando sul sito la vendita online. Nel frattempo sto chiudendo il secondo libro che sarà disponibile a novembre (il cartaceo). Le differenze tra il primo e il secondo libro sono l’inserimento di canzoni associate (musica tra gli stili più svariati) alle ricette, e l’utilizzo di erbe e di spezie come rimedi naturali oltre che in cucina».
Quindi aspettiamo il prossimo “Food and Music”. Sappiate che il 5% delle vendite verrà devoluto alla Aiom Marche grazie al contatto con il dottor Luciano Latini.
Ed ora ancora domande ed i menu/concerti e i menu/music.
Ma durante il lavoro, come fai? Chiami qualcuno che ti aiuta?
«Fino a 70 persone faccio da sola. Mi preparo la linea prima a casa, arrivo nella location destinata, metto le cuffie o accendo lo stereo e comincio!».
Ride con dolcezza e mi chiede scusa se aggiunge altre notizie su di sé. Ma io sono qui per questo e apprezzo molto la sua cortesia. Quindi scopro che nel Giugno di quest’anno è stata premiata con il Disco Diva. Una serata speciale che ha allietato anche con un angolo degustazione dove ha fatto assaggiare le sue creazioni.
Che adesso inventi per noi di Tyche. Facciamo un gioco al contrario. Io ti dico un gruppo musicale o un cantante (gli ultimi concerti di Tyche tanto per rimanere in tema) e tu mi dici il menu che ti viene in mente per loro.
Da qui in poi vengo travolta dalla competenza e dalla fantasia di Felicità!
menu TIROMANCINO
– Calamari ripieni di Riso di Venere (L’alba di Domani)
– Ravioli Ripieni di Tonno Fresco e Zucchini (Angoli di Cielo)
– Sfoglia e fragole al profumo di Rosa (Piccoli miracoli)
menu Vinicio CAPOSSELA
– Funghi ripieni di spinaci (La Madonna delle Conchiglie)
– Tagliatelle all’uovo con il pollo (Le Sirene)
– Sorbetto di Mango (Le Pleiadi)
menu Jethro TULL
– Gamberi e Fave (Aqualung)
– Lasagna di Coda di Rospo e Topinambur (Locomotive Breath)
– Bavarese al limone (Heavy Horses)
Concludo il mio incontro telefonico con Felicità con tre menu musicali. Leggete che belli e divertenti.
Menu estivo vegano in chiave classica:
– Insalata di rucola pera noci e tofu con una spolverata di zenzero (9a sinfonia di Ludwig Van Beethoven)
– Polpettine di melanzane con la paprika (Aria sulla IV corda di Johann Sebastian Bach)
– Mousse all’ananas e cioccolato (Il Danubio Blu di Strauss)
Menu vegetariano in chiave jazz
– Uova di quaglia immerse nel verde ( What a wonderful world – Louis Armstrong)
– Lasagna di zucca (Blue skies- Ella Fitzgerald)
– Tortino di frutta (So what – Miles Davies)
Menu di pesce in chiave mix music
– Pannocchie ripiene al forno (The two of us di Claudja Berry e Ronnie Jones)
– Ravioli ripieni di gamberoni al profumo di pomodoro fresco e zenzero (William Pharrell Happy)
– Tortino al cioccolato piccante (Maria Maria Santana)
Carla Latini
Era martedì pomeriggio, quel 2 febbraio del lontano 1971, quando due ragazzini entrarono al teatro Brancaccio di Roma alla conquista
Se dite Tiromancino, naturalmente ad una persona con un minimo di interesse per la musica, vi accorgerete della sua espressione
Tre appuntamenti nell’arco di cinque giorni in cui sono concentrati generi e generazioni musicali diverse tutte, però, sotto il segno
Il suo ristorante, anzi il Ristorante di famiglia, è a Montecosaro Scalo. Si chiama Due Cigni. Fra i fornelli con Rosaria Morganti c’è mamma Ida. Se vi aspettate una cucina al femminile vi sbagliate di grosso. Qui si respira terra, materia, mare, spezie, profumi intensi e netti. Ricette antiche e codificate che hanno una storia da raccontare.
Ma perché Due Cigni? Mentre si mette in posa per la foto ufficiale prendendo in mano alcune pesche Saturnia come farebbe un giocoliere esperto con le sue palle, mi racconta che quando la mamma aveva il ristorante lei e la sorella erano piccole. Gironzolavano senza una vera e propria vocazione. «Che farò del mio ristorante?” chiese mamma ad un ospite abituale e molto gradito. E lui rispose: «Hai due figlie che crescono come due cigni. Ci penseranno loro». In verità poi la sorella ha preso il volo e lei, dopo aver interrotto gli studi di Medicina, ha preso in mano l’intero progetto. Ed eccola qua. I giovani le dicono che è vecchia (classe ’57) ma le sue ricette, i suoi piatti, sono sempre in continuo movimento. Deve inventare, cambiare, creare, imparare.
Dura e dolce nello stesso tempo. Come la sua cucina. Tenera e delicata quanto caparbia e combattiva. Una guerriera che profuma di sfoglia, di spezie, di erbe e fiori dimenticati. Ci ricordiamo con piacere dei tempi di Cuochi di Marca. Quando un gruppo di cuochi illuminati voleva cambiare in meglio la nostra regione. Era l’unica donna e teneva testa a chef del calibro di Lucio Pompili. Che la adora ed il sentimento è reciproco. La conosco da tanti anni e sono tanti anni che non ci vediamo. Vorrei dirle mille cose che non le ho mai detto. Di quanto l’ho sempre ammirata, stimata e sostenuta. Ma la lascio tranquilla. Perché stasera per me ed i miei ospiti sfida l’ovvio, poteva essere diversamente? Ed osa. Dove solo chi sa può osare.
Una cena con la pesca Saturnia dall’antipasto al dolce? Dalla mente di Rosaria, su questo argomento, sono nati abbinamenti felici e “stracopiati” (fammelo scrivere Rosaria per favore!) da cuochi emergenti giovani e senza solide basi. Se mangiate in giro la pesca Saturnia con il pesce crudo, con le cozze, con il prosciutto ecc…dovete dire grazie a questa signora elegante, fantasiosa e tenace.
I piatti che vi descrivo fra poco li trovate nel menu. Quindi oserete anche voi!
Per Saturnia Rosaria “pesca” nella storia fino al 1500, “pesca” nella memoria e nei piatti casalinghi del lunedì; “pesca“ nei suoi approfondimenti mediterranei con Sergio Mei (uno dei più grandi veri cuochi italiani); “pesca“ nei suoi giorni in Giappone nella cucina di un altro grande; “pesca” nella memoria di un dolce, forse, banale; “pesca” nei forni dai quali uscivano arrosti gaudenti e saporiti. Non mangeremo pesce crudo stasera. Non mangeremo cozze. Il nostro primo antipasto sono due crostini fatti con burrata e acqua di rose, con le pesche e tante spezie profumate. Accanto due bocconi con prosciutto (il nostro, sottolinea) e pesca. L’acqua di rose è la sua. La ricetta del 1500. Ma qualcosa di crudo in verità c’è. È una tartare di agnello dei nostri monti. Un piatto coraggioso. Con melanzane, pesche e menta. Che esce prepotente ma non dispiace. Anzi, piace molto ai miei. Brava Rosaria! Poi arriva il risotto del lunedì. Quello fatto a casa con gli avanzi della domenica. Come quando si faceva la pasta con pomodoro e burro. Il risotto è con il pomodoro e manzo essiccato. Mi fa venire in mente nonna che metteva anche i piselli. Quando nell’orto finivano i piselli e cominciavano i pomodori. Si può “cacio e pepe” con Saturnia?
Le tagliatelle fatte in casa con il grano Saragolla si agganciano ad un condimento prepotente fatto di sapori aggressivi e morbidi nello stesso tempo. I piatti di Rosaria, tutti, cominciano con profumi forti che arrivano fino alla mente e rimangono in bocca. E si separano, si uniscono insieme alle erbe e agli aromi. Hilde Soliani, che è al mio fianco, le tira fuori un passato orientale e le dice: «Sembra di essere a Londra in un eccellente ristorante fusion». Un complimento? Decidete voi quando mangerete da Rosaria. Odori caldi di forno arrivano dalla cucina. Un trancio di porchetta con crosta croccante e carne che si scioglie in bocca sposa Saturnia. Nozze d’oro sicuramente. Chissà quante volte e in quante case qui intorno avranno cotto maiale e pesche? Il dolce (banale ma perché?) è un normale soufflè di pesche. Fatto benissimo. Da mangiarne fino a tarda notte insieme ad un Calvados del ’77 consigliatoci da Silver Frati, il Maitre sommelier. Un professionista di grande apertura mentale. La cantina dei Due Cigni è piena di piacevoli sorprese. Come Il Cupo 1999 di Ester Hauser che a dispetto del nome sta in provincia di Ancona. Con me e Hilde c’è Francesco Annibali. Che ringrazio di cuore per il pomeriggio nel pescheto (di cui vi ho già raccontato QUI) e di questa serata con Rosaria. Una Rosaria che osa. Tant’è che quando Hilde le fa sentire alcuni sui profumi, non ha dubbi e sceglie “Osare”. «In due parole come mi definiresti?», chiede Ilde a Rosaria mentre si fanno immortalare da Marco Bargnesi. «Profondità diversa. Tu hai una profondità diversa”. E le due signore continuano a scambiarsi emozioni, sensazioni, esperienze ecc…mentre io e Francesco, comuni mortali, finiamo il nostro Calvados.
Due Cigni, via Ss Annunziata 19, 62010 Montecosaro (MC) tel 0733 865182 info@duecigniristorante.com
Carla Latini
Cosa vuoi fare da grande? «O la guardia forestale a cavallo o vivere e lavorare in una fattoria». Era “piccina piccina” ed aveva già le idee molto chiare l’attuale presidente dei Coldiretti Giovani Impresa. Maria Letizia Gardoni, “Titti“ per gli amici, conduce il suo “Un Podere sul Fiume”, ad Osimo.
Si trova a due passi da casa mia. Dire che la conosco da quando aveva 3 anni, forse meno di 3 anni, è doveroso e (orgoglio di mamma!) sono felice di scrivere su di lei. Che da “piccina piccina” è diventata una splendida donna, bella fuori ma ancora di più bella dentro. Me la ricordo quando il nonno la portava all’asilo. Lei e la mia Teresa, le più piccole e le più caparbie. Sarà stato il nonno a farle sentire subito il profumo ed il sapore della terra? Voglio credere che sia così.
Quando è scattata la “voglia di campagna”?
«Credo di averla sempre avuta. Sono cresciuta in campagna, circondata da verde e animali. Da piccola, come ben sai, volevo fare o la guardia forestale a cavallo o avere una fattoria tutta mia. Ho studiato, ho fatto il classico, l’Università, scienze tecnologiche agrarie. Poi, un giorno mentre ero in aula, ho sentito una spinta dentro, fra cuore e pancia. Dovevo dare un altro senso alla mia vita».
E quindi?
«Mi sono alzata (come in un film n.d.r.), sono uscita dall’aula, sono tornata a casa. Ho riorganizzato le idee e ho deciso di investire in un terreno proprio accanto a casa mia. Dieci ettari che volevo diventassero miei. Il mio podere sul fiume. E si chiama proprio così. Avevo 19 anni. Ho provato subito il piacere unico di toccare e lavorare la terra con le mie mani. Qui ho cominciato a coltivare frutta e ortaggi seguendo il disciplianare macrobiotico».
Vicino al biologico, biodinamico, fammi capire…
«Molto di più. La filiera macrobiotica è molto rigida. Nasce dal pieno rispetto della terra e della natura. Si avvale di antiche varietà recuperate, si basa sul concetto dell’autoriproduzione di alcuni semi, seguita con molta cura. È un modello agricolo quasi perfetto che credo possa salvare l’agricoltura italiana. Dobbiamo puntare i piedi con competenza. Credere che coltivazioni alternative fra i meravigliosi filari di un frutteto possano essere un modello agricolo da seguire».
Nelle Marche, a Macerata, sapevo che ci sono esempi interessanti, vero?
«Sì è vero. C’è il Guru della macrobiotica, che ancora non conosco ma che seguo nei suoi insegnamenti. Si chiama Mario Pianesi. Lui ci spinge verso il recupero dell’educazione alimentare. Verso un benessere naturale. Un benessere che riguarda la qualità del cibo e la qualità della vita delle persone. Il ruolo del contadino diventa così strategico e determinante per la nostra salute».
I contadini, gli agricoltori, vengono spesso accusati di “inquinare”, condizionati dall’industria?
«Ecco perché dobbiamo puntare i piedi. Voglio far capire agli agricoltori, e i giovani sono tutti su questa strada, che non si tratta di un’attività agricola e basta. Si tratta della vita di ognuno di loro. Sono loro che vivono la loro terra. Tempo fa ci si condizionava in campagna con gli interventi (nitrati spesso) chiamati a calendario. Anche se il campo era sano si interveniva ugualmente. Quel calendario ha fatto molti danni. Oggi i coltivatori hanno preso coscienza di essere i primi tutori e responsabili del loro territorio. Una terra da lasciare alle generazioni che verrano. Una terra sana».
Ecco che arriva l’anima combattiva che conosco in te. Come ti senti in questo ruolo così importante e di grande responsabilità?
«Fare la presidentessa dei Giovani Coldiretti mi entusiasma ogni giorno di più. All’inizio ero un po’ smarrita. Come è normale che sia. Oggi cresco con loro. Sono più di 70mila giovani fra i 18 e i 30 anni. Preparati, colti, pieni di energia, di voglia di fare e di idee. Che facciamo generosamente circolare. È una fucina sempre in attività. Li sostengo, li difendo, li appoggio e li aiuto in ogni modo. Ora sono serena e il mio lavoro va molto bene».
Torniamo ai frutti macrobiotici della tua terra. Che canale di vendita seguono?
«Tutti i canali che desiderano distinguersi e fare dell’alimentazione una sana alimentazione. Un’alimentazione che previene e ti fa stare bene. Sono i ristoranti, i punti vendita, i centri macrobiotici. Dove non si mangia e basta, ma si fa cultura alimentare».
A proposito, cosa mangia Maria Letizia Gardoni?
«Tutti i prodotti sani della terra che abbiano una “carta di identità”. Amo il riso integrale che coltivano miei amici in nord Italia. Lo abbino alle verdure del mio orto. Mangio sempre e solo stagionale. Mi faccio il pane in casa, che mi viene benissimo. Mi “nutro” di olio extra vergine marchigiano. Dei formaggi dei nostri allevamenti. E poi, girando l’Italia agricola, ci scambiamo i prodotti a e posso godere della bontà delle tante varietà antiche recuparate. Dagli ortaggi alla frutta, dai legumi ai cereali, dalle carni ai formaggi. Il meglio che la biodiversità italiana ci offre».
Grazie Maria Letizia, è stato bello parlare con te. Andiamo insieme a trovare Mario Pianesi un giorno?
«Con molto piacere! Grazie a te».
Carla Latini
Carlotta è la prima labrador vissuta in questo posto ed i padroni Luca Zamparini, Nunzia ed Iva Marchegiani hanno voluto
Sono le coincidenze che la vita per fortuna ci regala. Potevo immaginare che i miei amici di Sandwich Time, Andrea
Ebbene sì! Pizze al plurale perché ogni marchigiano ha la sua ricetta. Da mamma, zia e zia acquisita ai fornai/pasticceri
La rutilante energia di Massimo Biagiali ci presenta l’ultimo libro di Carlo G. Valli: “Un cuoco costava più di un cavallo”.
Nella deliziosa cornice del teatro di San Lorenzo in Campo ho rivisto con molto piacere l’affasciante professor Carlo Giuseppe Valli. Docente di marketing e comunicazione, è storico e ironico conoscitore e narratore del passato visto con gli occhi del presente per guardare al futuro.
L’argomento cuochi, ora più che mai chiamati chef (Gualtiero Marchesi che ha scritto la prefazione non approverebbe), è “caldo” come le ricette che entrano nelle nostre case attraverso tutti i media. Massimo Biagiali modifica il titolo, giocando ma non troppo, in: un cuoco è matto come un cavallo. Ci racconta delle sue esperienze passate e, con affetto, di un cuoco giapponese che ha imparato da lui ed ha aperto in Giappone una “succursale” de Il Giardino. Per fare questo mestiere bisogna avere la testa “calda”. Calda perché vicino ai fuochi. In sala si ride. Il giovane sindaco di San Lorenzo, Davide Dallonti (lo ascolto per la seconda volta, che mi conferma quanto sia preparato e dedicato) aggancia alle parole di Massimo temi cari a tutti che sono il territorio, la storia di esso, i prodotti e quindi dà al cuoco l’importante compito di divulgare e valorizzare luoghi e frutti della terra. Qualche ora prima Carlo ha incontrato Federico Ramenghi, sociologo della biblioteca del Comune, filosofo appassionato di eno-gastronomia. Insieme si sono confrontati sull’argomento. È proprio Federico che intorduce Carlo. Cominciano insieme e poi Carlo va da solo a ruota libera e vorrebbe donarci ogni riga del suo libro. Ci piace ascoltarlo. È un abile oratore. Sembra di essere sull’Agorà a trattare con il cuoco di turno.
Entriamo nella storia dal passato più lontano e scopriamo che il mestiere del cuoco è vecchio quanto il mondo. Fin dai tempi dell’antica Grecia quando si saliva sull’Agorà per reclutare un cuciniere. Che serviva per grandi banchetti, feste, ricorrenze. Costava veramente più di un cavallo. Era l’artefice, mercenario di natura, di sapori, alimenti, ricette. A lui il compito, nel corso degli anni, dell’evoluzione del gusto. Accadeva così nell’antica Roma, nel Medio Evo, nel Rinascimento. Abbiamo testimonianze di grandi cuochi osannati, portati alle stelle, strapagati ma anche frustati, puniti quando si trovavano in difficoltà durante il loro duro lavoro. Perché è sempre stato un lavoro duro. Faticoso. Al cuoco veniva lasciato anche il compito di organizzare le feste, i giochi, i divertimenti. Tutto il contorno che animava un grande banchetto. Che magari durava giorni. Con Carlo scopriamo che il giovane Leonardo Da Vinci aveva aperto insieme a Botticelli una locanda/osteria a Firenze. Leonardo stesso, quando si presentò a Ludovico il Moro, tesse lodi sulla sua arte culinaria. Come oggi “quanta folla nelle cucine”. Scriveva Senaca: “Conta i cuochi…quanta calca intorno ai focolari degli scialacquatori e… quanta solitudine nelle scuole dei retorici e dei filosofi”. Quindi, nulla è cambiato? Anche nell’antichità i grandi cuochi si circondavano di allievi fedeli. Più ne avevano e più erano grandi. La brigata di cucina ha qualcosa di “militare” e non solo qualcosa, nei nomi e nel gergo che viene usato. La squadra in cucina non deve andare in m… merde en francais perché i commensali, gli ospiti, devono mangiare bene e tutti insieme. Veniamo a conoscenza di un Macchiavelli critico sulla qualità dei vini delle osterie milanesi. A quei tempi si sceglieva un’osteria non perché si mangiava bene ma perché si beveva bene. Molti cuochi, negli anni, si specializzarono anche nella lista dei vini da abbinare ai lunghi menu. Escoffier scriveva, nel Libro dei menu, che la lista delle vivande doveva riflettere lo stato d’animo dei padroni di casa, doveva essere curata e stilata insieme a loro. Ed il cuoco doveva essere messo al corrente del motivo del pranzo che stava per preparare. Festoso? Politico? Strategico? Quindi cuochi “potenti”, consiglieri dei loro padroni. Fedeli? Molto poco. E molto poco rimane nella storia della figura del cuoco/uomo. Se pensiamo a Vatel che si uccise per un banchetto mal riuscito o se pensiamo a quanta sofferenza e disperazione provoca la perdita di una ‘stella’ possiamo dire che veramente nulla è cambiato. Ma quando nacquero i ristoranti? Fino a prima della Rivoluzione Francese esistevano le osterie, le bettole. Dopo il 14 Luglio pochi erano quelli che potevano permettersi un “cuoco di corte” e così i grandi chef organizzati presero, spontaneamente, l’unica strada possibile: attirare in una nuova formula di osteria, appunto il ristorante, gente colta e gaudente che voleva mangiare bene e bere meglio. Prima di chiudere Carlo strizza un occhio alle Marche: «Ma lo sapete che i più grandi cuochi scrittori che hanno lasciato ricette e analisi di prodotti sono marchigiani?». I nomi? Leggete il libro e lo scoprirete. Concludo con le parole “conclusive” di Gualtiero Marchesi: “il cuoco ha innanzi tutto il dovere di fare salute, di non improvvisare. La creatività arriva, se arriva, con l’esperienza. L’arte in cucina è di tutti ma non per tutti”. Con la lettura di “Un cuoco costava più di un cavallo” capirete meglio questo mondo fatto di cucinieri, di artigiani della cucina, di bravi intepreti e di qualche artista genio. Come mi disse un giorno Vittorio Sgarbi: quando mangio i piatti di Vissani capisco che gli altri sono cuochi e lui è un genio. Posso solo che confermare. Buona lettura!
Carla Latini
Ho il privilegio di gustare spesso la cucina di Errico Recanati da Andreina a Loreto. Sto bene lì con Ramona
Nella vita, così come nelle “viti”, basta poco per capire. Giorgio Grai è un puro. Lo era da giovane, figuriamoci
“Io sono il mio stile”. Con questa frase Gualtiero Marchesi ha salutato, lo scorso 25 ottobre, i cittadini di Acqualagna e