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La sartoria Rossini recupera la tradizione del cucito

in Moda da

Una famiglia che taglia, cuce e cucina. Siamo nella periferia di Ancona, a Casine di Paterno. Un’oasi verde e silenziosa. Qui crea e lavora Raffaella Rossini, che conosco da 30 anni. La sartoria Rossini mi ha conquistata su Facebook, poi dal vivo. Un progetto “novello”, di appena un anno, che ha debuttato con questa prima capsule collection. Raffaella la incontriamo con mamma Barberina. Per tutti Rina. Mamma Rina è una sarta formidabile e soprattutto instancabile. Un’alleata progettuale indispensabile, stimolante e direi vitale per Raffa. Mamma Rina è abile anche in cucina: ho assaggiato il suo mitico coniglio in porchetta, il classico stoccafisso all’anconetana e la golosa faraona con castagne, prugne e albicocche. I pezzi hanno linee morbide, pulite e geometriche che garantiscono una vestibilità completa. I tessuti sono tutte fibre naturali: cotone, seta, cashmere, lino, viscosa. La prima “capsula” aveva i colori del latte e del burro, dove predominava il nero. Uno dei colori preferiti di Raffaella, che lo considera il colore delle occasioni importanti. E non è la sola, immagino. Raffa ama il blu e il verde in tutte le loro sfumature. Dai tenui colori pastello, alla profondità del mare di notte e del buio delle foreste. I colori della nuova capsula primavera-estate sono il rosso, il celeste, il rosa antico. Ma il nero e il bianco non mancano mai. L’idea, molto interessante, è quella di proporre un elemento da indossare che può essere abbinato a qualcosa che già nell’armadio c’è e che in questo modo torna a nuova vita. Raffa, oltre a mamma Rina, ha poche, valide, collaboratrici operative. Una squadra corta e veloce.

E’ necessaria un po’ di storia per spiegare meglio il valore del progetto. Agli albori c’è nonna Maria Rossini, la sarta delle Torrette (periferia nord di Ancona). Nonna Maria è la sarta dell’Ancona che ama vestirsi con classe ed eleganza, l’Ancona che partecipa a grandi serate di gala. Le clienti di nonna Maria sono esigenti e seguono i suoi consigli per le cerimonie importanti e soprattutto per i matrimoni. Gli abiti da sposa di nonna Maria sono meravigliosi. A questo punto entra in scena il papà di Raffa, Ermete Rossini. Segue le orme della mamma e, con un rotolo di tessuto e una macchina da cucire, apre un vero e proprio laboratorio. Nel frattempo sposa Barberina. Alla nascita di Raffa, nei primi anni Sessanta, il laboratorio sartoria si specializza in raffinati costumi da bagno e intimi per diventare, di lì a poco, camiceria. Sono i primi anni Ottanta. Ermete lavora per le più belle boutique d’Italia, di Londra e della Germania. Se ne accorgono le grandi marche della moda e, come in un film già visto, arrivano le commesse di Prada, Alberta Ferretti, Genny, Les Copains, Yves Saint Laurent, Jean Paul Gautier, Jil Sander e tante altre. E sempre, come in un film già visto, la famiglia Rossini concentra, ogni di giorno di più le sue energie, nell’evadere queste commesse eccellenti. I tempi sono cambiati, lo sappiamo tutti, e Raffa non vuole affatto sentire parlare di crisi perché porta sfiga. E perché si è stufata. Il progetto sartoria Rossini le ha ridato la grinta con cui l’ho conosciuta. L’esuberanza e la positività che l’hanno convinta a ricominciare, come dice lei, da casa. Facendo maglie con le canne dei pomodori del suo orto al posto dei ferri.

Troverete la sartoria Rossini immersa nel verde di alberi antichi, accanto ad un orto che Raffa cura personalmente. Vi proverete gli abiti come se foste in una vecchia sartoria degli anni Cinquanta scegliendo a vostro gusto, ascoltando i consigli di mamma Barberina. Potrete anche farvi fare abiti su misura, studiati e pensati solo per voi con Raffa. Al commiato il profumo di una delle leccornie di mamma Rina vi accompagnerà fino al cancello.

Carla Latini

 

 

Roberto Mancini porta in volo le eccellenze marchigiane

in Senza categoria da

Valeria Magini e Elisa Gioacchini rendono vive e piacevoli le partenze e gli arrivi all’Aeroporto di Falconara. Anche l’allenatore di calcio Roberto Mancini ogni volta che è di passaggio al Raffaello Sanzio porta qualcosa di marchigiano ai suoi amici. E si ferma sempre da Gusto&Marche. Accanto c’è anche una pizzeria, gestita da loro, che usa prodotti marchigiani dalle farine alle mozzarelle di bufala. E fin qui niente di nuovo. Si può prenotare e ordinare la pizza preferita. Atterri, la prendi e la porti a casa. Il tutto anche online, ovviamente. Ma le due ragazze di gusto sono andate oltre. Sospesi come volassero, o spillati su divertenti manichini, Valeria e Elisa espongono, peccato non li vendono, i famosi Cappelli di paglia artigianali prodotti a Montappone in provincia di  Fermo. Andarci dall’Aeroporto è facile. Il paese e i cappelli meritano in viaggio.

E a proposito di marchigiani celebri… in bella vista sul bancone principale brilla la bianca copertina del libro di Stefano Baiocco.  Due stelle Michelin marchigiane emigrate sul Garda a Villa Feltrinelli. A breve vi scriverò di lui che, oltre ad essere un grande cuoco, è un mio carissimo amico.

Carla Latini

Il principe De Gregori conquista Ancona

in Giornalista e dintorni/Senza categoria da

Francesco De Gregori non rinuncia alla sua eleganza ma sono molti i segnali nuovi in questo “Vivavoce Tour”. Il Principe sorride e ci scherza pure, quando il pubblico gli canta in coro “Non c’è niente da capire”. Sembrano finiti i periodi dell’incomunicabilità, tutto è maturato e migliorato iniziando dalla voce sempre più profonda. Anche la musica acquista importanza, è più elettrica e i suoni sono potenti ed avvolgenti.

Il repertorio proposto è ricco ed emozionante come in occasione del rispolverato “Atlantide” o di quel “Buonanotte fiorellino”, la ballata che da sempre ha cullato i sogni dei suoi fan. Ben due bis, frutto di un rinato e generoso rapporto con il suo pubblico, nei quali ha estratto due assi nella manica, di quelli con cui è facile vincere. “Alice” è la prima proposta per poi atterrare morbidamente in una confidenziale “Donna cannone”, duettata con il pianoforte. Non c’è più distacco fra palco e platea, come non ci sono più moniti ed apprezzamenti politici che in passato sembravano il sale dei suoi concerti. Tutto nuovo insomma, anche questo apparente disimpegno e c’è invece più cura per il look appropriato e piacevole dell’intera band. Tutto sembra esaltare la sua figura sempre più longilinea, al quale ha affidato un impeccabile cappello da cavaliere misterioso.

Ad Ancona, dove c’erano pochi anconetani, il Teatro delle Muse era sold out a dispetto del lunedì, un giorno in cui (molti dicono per inerzia) non si dovrebbero fare eventi. Un buon segnale per chi crede che la nostra regione debba rientrare nel circuito dei grandi concerti.

Kruger Agostinelli

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Gli Stadio riscoprono il club, intervista a Gaetano Curreri

in Arte/Cultura da

Grazie al Donoma di Civitanova gli Stadio si concedono un fantastico e raro concerto in un club. Gaetano Curreri duetta immediatamente fra parole e canzoni con un pubblico letteralmente innamorato delle sue. Tanto per dirlo come il titolo del tour 2015, Canzoni. Si canta insieme e si trova una complicità che parte da lontano. Ogni brano sembra essere pescata da ricordi personali in cui ognuno sembra immergersi. Il sound stesso degli Stadio è volutamente ancorato con il cuore e l’anima dentro gli anni Ottanta, con tanto di appassionati assoli di chitarra. “Sorprendimi”, “Ballando al buio” e l’omaggio sia a Carlo Verdone con “Acqua e sapone” che soprattutto a Lucio Dalla con “Anna e Marco”. Molto più di un grande successo, c’erano le emozioni vere della gente e quelle non stonano mai.

Un invito ad ascoltare il video con l’intervista esclusiva a Gaetano Curreri.

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Colombari, Scaccia e l’attimo fuggente al gala di Tyche

in Cultura/Giornalista e dintorni/Il meglio di Re Gurk/Le parole che graffiano/pino scaccia da

Quel tocco delicato di Martina Colombari sull’iPad ed ecco online il Tyche Magazine. Una ragione in più per credere davvero che il virtuale quando si fonde con il reale, è davvero una bella cosa. Una festa per un’idea che ha preso forma, strana ma privilegiata vederla dalla prospettiva dell’alto di un palcoscenico. Una platea attenta che ha saputo rendere omaggio ad ogni proposta della serata dai sapori degli ottimi chef del Donoma, alla musica mai invadente, anzi piuttosto complice, del Leo Maculan Band. Poi lo spettacolo fatto di bellezza e parole, di sogni e ricordi. Lei Martina che dopo essere stata intervistata, si rimette a sua volta a fare la domanda del COME a tutta la redazione ed uno di noi gli risponde con un disarmante, ma troppo simpatico, “come sei bella” .Poi il carisma di quel Pino Scaccia che, da consumato e poliedrico cronista, sfodera nei racconti di vita vissuta e ricordi mai dimenticati nella sua lunga carriera marchigiana. Nulla sembra banale ed ogni cosa detta sembra avere un valore, un senso, una direzione. Per fare tutto questo ci vuole “coraggio”, dice con ammirazione il Sindaco Tommaso Corvatta, ed anche il suo non è un discorso di circostanza, piuttosto un invito a continuare in questa direzione. Mimmo Sicolo lo rassicura “siamo qui per crescere”. Da parte sua il direttore generale Salvatore Lattanzi digita nella notte fonda alla redazione: “Abbiate sogni anche per chi non ne ha, perché di fiere rigenerante siamo colmi. Abbiate, miei capitani quel che di pieno intendiamo riempire questo mondo. Abbiate Tyche in voi perché ultimo fine per noi rappresenta. Buonanotte eroi”. Sembra quasi di essere entrati magicamente nella pellicola de L’attimo fuggente dell’indimenticabile Robin Williams ed è questo un gran bel segnale…

Kruger Agostinelli

Paola Ricas si racconta: “Per me le Marche sono le olive all’ascolana”

in Senza categoria da

Paola Ricas trascorre la maggior parte della sua giornata tra i fornelli della Prova del cuoco, immersa tra i sapori della tavola italiana. Ma cosa le evocano olive all’ascolana e Verdicchio dei castelli di Jesi? <<Ricordo poco della cucina delle Marche – si racconta -. Non sono molto brava in geografia. Non è il mio forte. Avevo però un aiuto/cuoca che era marchigiana. In cucina alla Redazione della rivista La Cucina Italiana. Veniva dal sud delle Marche ed era bravissima sia come cuoca che come lavapiatti. Si adattava a tutto senza alcun problema. Di lei ricordo l’abilità nel fare la spesa, la capacità di capire la volo le ricette, la velocità nell’esecuzione. Il suo nome era Regina.

Regina è un nome tipico, antico, del sud delle Marche. Da Porto Recanati a Macerata c’è un lungo stradone che si chiama così. Ma Regina cucinava anche marchigiano?

<<Ora che me lo chiedi mi viene in mente qualcosa. Cucinava per noi della redazione dei bellissimi e buonissimi vincisgrassi senza pomodoro con il tartufo nero e il ragù di carne. Metteva della panna o anche della besciamella. Mi sembra di ricordare che ne abbiamo fatto una copertina della rivista anni fa. Quando tornava da casa, dalle vacanze, ci portava uno strano salume rosa, fatto in casa. Leggermente affumicato e agliato. Buonissimo da spalmare. Morbido. Credo ci chiami ciauscolo>>.

Lo considero un grande salume. Versatile sia crudo che appena scaldato.

<<Mi hai fatto tornare indietro nel tempo. Regina a Carnevale faceva un dolce tipico delle sue parti, la cicerchiata. Molto scenografico. Anche lui finito nella copertina di qualche mese di febbraio della rivista. Il suo forte, era bravissima a togliere il nocciolo, erano le olive ascolane ripiene e fritte. Una delizia. Le faceva per noi e per la rivista tutti gli anni a Natale>>.

Vedi allora che conosce le Marche in cucina! Le sono sfuggiti i moscioli, il coniglio in porchetta, lo stoccafisso, il brodetto…

<<I moscioli? A si le cozze… ma sono diversi dalle cozze?>>.

Sono moscioli e non cozze comuni. Allevati naturalmente in mare a Portonovo.

<<Dove c’è Moreno Cedroni vero? Mi piace. Gli altri piatti che hai nominato li trovo anche della cucina di altre regioni. Per me le Marche sono le olive ascolane fritte! Non potrei dimenticarle. Mai>>.

Carla Latini

 

Stappiamo il nostro Vinitaly, appunti distratti

in Mangiare e bere da

Ventitré volte Vinitaly vorranno pur dire qualcosa? Nulla è cambiato fuori e dentro questa fiera che è vecchia: entrate singhiozzanti ai parcheggi, marciapiedi impraticabili perché o pieni di macchine o pieni di fango. Per fortuna, una volta che si riesce ad entrare (vecchia anche dentro confermo), il problema si rimanda alla sera quando raggiungere l’autostrada o l’hotel diventa un’impresa ciclopica.

A parte ciò, Vinitaly “s’ha da fare”. E’ come quando si va ad un matrimonio o a un funerale. Incontri tutti quelli che devi, vuoi o ti capita di incontrare.

La città di Verona, il centro, merita sempre una visita. Gode di un fascino immutato nel tempo.

Questi  ultimi Vinitaly sono affollati di giovani, coppie o gruppetti. Per giovani intendo dai 18 ai 25 anni. Li ho notati perché nelle edizioni di 5/6 anni fa, età media 40 anni, incrociavi solo agenti di commercio, importatori, direttori commerciali, cuochi, osti, enotecari, distributori, produttori, operatori con valigetta tipo-fiera o trolley, giornalisti/e e bellissime-misteriose donne tacco 12.

Ora il tacco 12 è un cult nel mondo del vino: una goccia di Amarone Zenato si è trasformata in un raffinato pois rosso vermiglio per la nuovissima decolleté in seta Mantero della designer Paola d’Arcano. L’ho vista. Bellissima. Voglia di Cenerentola.

Eccomi dentro Vinitaly. Travolta dalla gente. Dai baci e dai sorrisi. Per passare da un padiglione all’altro il tempo è indefinito, diluito o condensato. Dire a qualcuno: “ci vediamo fra un’ora può voler dire fra tre o fra 15 minuti.

Azzardo una tappa in Franciacorta. C’è un imbuto umano. Ma fanno la fila davanti ai bagni? Immagino di no. Attivo i privilegi e mi faccio venire a prendere. Ogni tanto si può fare. Adoro il Pinot nero e sono curiosa di assaggiare il nuovo prodotto del mio amico Mario Falcetti. Il nome mi piace, si chiama l’Acchiappasogni. Profuma di lui, intendo di Pinot nero, è delicato, un po’ nascosto. Mi accende la memoria: viaggi in Borgogna, un’ultima pierrata a Parigi.
 Scendo con la scala mobile mentre dei ragazzi, diciamo leggermente allegri, fanno salti metallici e rumorosi sui gradini. “So’ ragazzi”, che ci vogliamo fare?

A Vinitaly, davanti a tutte le entrate e uscite, ci sono quelli che fumano, come in ogni fiera che si rispetti. Il mio naso, che sta ancora godendo del Pinot di prima, cambia subito prospettiva olfattiva. In cerca di aria. Che non manca. C’è un vento!

Nel vento intravedo Moreno Cedroni. Uno dei miei preferiti. Anni fa lo definii “l’Archimede Pitagorico della cucina. Attualmente il suo estro e la sua arte sono ambasciatori dell’Italia ad Expo. Si è fatto ritrarre con una vongola al naso. Una vongola delle nostre coste.

Per le Marche, ad Expo, però c’è una madrina. Ha le forme armoniose, il sorriso coinvolgente di una donna intelligente, capace e bella. Angela Piotti Velenosi rappresenterà le Marche a Expo. Angela e Moreno, insieme. Grandi vini e alta cucina.

Finalmente sono nelle Marche. Uno spazio espositivo che non è certo paragonabile a quello della Sicilia o del Veneto. Ma queste sono le Marche. Il bianco-verde degli stand consente di localizzarli subito, a distanza. La terrazza è un plus da non sottovalutare. I vignaioli hanno un desk uguale per ognuno. Sono vicini, si parlano. Si confrontano. Si aiutano. Poi ci sono sempre Fede e Tinto con la postazione di Decanter, Radio2. Così le Marche diventano la “terra di passaggio” di tutti gli ospiti della trasmissione. Non male.

Gianluca Mirizzi, Gianluca Utopia come si fa chiamare su Facebook, mi offre un Tabano bianco. Conosco bene l’azienda Montecappone di Jesi. Quest’anno mi sono fatta anche un rifornimento casalingo di olio evo. Mi distraggo un momento ed ecco apparire Stefano Antonucci con il suo cantiniere. Gianluca Utopia è realmente emozionato. La foto con il patron dell’azienda Santa Barbara ci sta.

Queste sono le Marche. Un po’ chiuse in se stesse, discrete, senza fronzoli, con tanto contenuto. Come il Verdicchio. Avete mai visto un grappolo di verdicchio? I chicchi sono piccoli e attaccati l’uno all’altro. Stretti come in un pugno. In difesa.

Colta da una profonda nostalgia mi reco allo stand di Villa Bucci (ho festeggiato i miei 40 anni con un Villa Bucci del ’92 servito da un quarantenne Alessandro Scorsone). C’è Claudia, la nipote di Ampelio Bucci. Claudia, compagna di tante avventure eno-gastronomiche. Rimembriamo ridendo, degustando la riserva 2010. Coerenza è la prima parola che mi salta in mente. Ampelio è stato il primo vero Verdicchio della mia vita.

Vinitaly vuol dire anche premi. Quello Cangrande, di “can” grande prestigio, perdonatemi non ho saputo resistere, è stato assegnato all’azienda Agricola Casale Vitali di Montelparo (Fermo). Le motivazioni le solite: tradizione, innovazione, legame al territorio, passione etc. I Vitali sono stati e sono bravi. Lavoratori costanti e rispettosi. I loro vini sono come tutti i prodotti della loro azienda agricola. Veri e sinceri. Non si fanno dimenticare.

Errico Recanati mi distrae dall’andare avanti con i miei pensieri. Le Marche battono in lui. Lo conosco che era “pischello” ed aiutava nonna Andreina. Ora ha una stella Michelin sul petto. A Vinitaly sostiene le degustazioni delle Marche con il suo hamburger e il pollo in potacchio in tazza. Rilascia interviste e vince il premio, come miglior video, Acqua di chef curato da Ferrarelle e Italia Squisita. Errico è ormai lanciato nell’Olimpo dei grandi. A proposito di Olimpo, ritorno da Angela Piotti Velenosi e Moreno Cedroni per un ultimo saluto prima di avviarmi.

C’è Anna Scafuri del Tg1 ed una fila di telecamere e microfoni di altre Tv non meno conosciute. Faccio ciao con il braccio. Mi concedo un ultimo brindisi con lo spumante di Giuseppe Bonci che si chiama Caterina, come sua nipote, e lo dedico alle Marche. L’Expo non è ancora cominciato!

Carla Latini

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