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“Fortini, pirati e antipasti di mare” nella Portonovo di Roberto Perrone

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Roberto Perrone è una firma nota del Corriere della Sera per quanto riguarda lo sport. Gli appassionati di vino e cibo lo conoscono anche per la pagina della domenica che, da anni, dedica alle sue scorribande enogastroturistiche in giro per l’Italia.

marcello nicolini perroneDi tutto ciò ha fatto un libro che si intitola “Manuale del viaggiatore goloso”. Roberto ama la nostra terra. A pagina 31 c’è uno dei capitoli dedicati alle Marche. Si intitola “Fortini, pirati e antipasti di mare“. Tolte le citazioni storiche e i ricordi legati al Fortino Napoleonico, Perrone si concentra su Marcello Nicolini (la foto in basso che accompagna questo pezzo è di Kruger Agostinelli, scattata durante il congresso della Commanderie de Cordons Bleu con il presidente Tony Sarcina). Sul suo passato da idraulico al suo presente da patron del Laghetto. Lo descrive brusco, spigoloso solo in apparenza. Carico di antipasti di mare caldi e freddi. Con moscioli gratinati con mollica di pane che aspettano solo di essere mangiati. Perrone descrive Portonovo come una Portofino senza fronzoli e birignao. Selvaggia al punto giusto ma vicina ad Ancona che, nel bene e nel male, offre comodità degne di un capoluogo di regione.

Carla Latini

 

“Li maccherò de lo vatte”, ricordi bucolici e ricette

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Chi si ricorda dei “maccherò de lo vatte”, ricetta tipica marchigiana, rituale quasi scaramantico che auspicava un buon raccolto di grano? Non si fanno quasi più. Se non in occasioni di ricorrenze, simulazioni storiche, sagre paesane e rimembranze annuali. Oggi la mietitrebbia con l’aria condizionata schizza via come il vento, perché un altro campo l’aspetta. Non c’è tempo per due “maccherò”. I vecchi ricordano “lo vatte” (cioè la mietitura e la trebbiatura) con nostalgia e tenerezza, nonostante fosse un lavoro molto faticoso. I vicini prestavano il loro aiuto a buon rendere, e ilmomento della pausa per il pranzo diventava una festa. Le donne più anziane preparavano il sugo fin dalla mattina presto: in un grande “callerò” facevano soffriggere un battuto di grasso e magro insieme a carota, sedano e cipolla ridotti quasi in poltiglia. Un po’ per volta, a seconda del tempo di cottura di ogni pezzo, univano le rigaglie e i pezzi di pollo, di papera o di oca, aggiustavano di sale e pepe, coprivano di acqua e mescolavano insieme a 4 cucchiai densi di conserva (la conserva era il rimedio di tutti i mali per le nostre nonne!). Il sugo del batte bolliva per più di due ore (e ci credo con tutta quella carne al fuoco!). Il profumo si spandeva per la casa e per l’aia. Qualche donna metteva la maggiorana, qualcun’altra l’alloro. Tutte le carni venivano poi tagliate a piccoli pezzi con il coltello. I “maccherò”, o “moccolotti”, si cucinavo, a volte, direttamente nel sugo bollente, mescolati a lungo, ingolositi da diverse manciate di pecorino grattugiato e portati nei campi dentro i “reali” che erano dei contenitori usati per questa occasione. I mietitori poggiavano la falce, smettevano di legare i covoni e gradivano molto volentieri l’offerta delle donne più anziane. Fermate questa immagine.

Il grasso incorporato dal sugo rendeva questo piatto denso e nutriente. Una botta calorica importante per portare a termine il lavoro della giornata. Che non era solo una. Per mietere un ettaro di grano ci volevano dalle 10 alle 15 persone al giorno. Ed ogni giorno i “macchero de lo vatte” arrivavano puntuali a mezzogiorno.

Se il contadino ospitante era un “contadì grosso”, dopo i “maccherò” c’era il tradizionale coniglio in potacchio. Che cuoceva a fianco de “lo callerò” del sugo, nella sua padella di rame. Il coniglio tagliato a piccoli pezzi, insaporito precedentemente con aromi e vino bianco per eliminare qualsiasi odore di bestia, veniva prima leggermente rosolato in padella con olio o strutto, aglio e rosmarino. Sfumato con il vino bianco e coperto di acqua continuava lentamente la sua cottura. Le donne lo giravano poco, accertandosi solo che fosse tutto coperto di acqua e vino e bollisse piano. A cottura quasi ultimata, un veloce rialzo di fiamma e due cucchiai di conserva, (eccola ancora) gli regalavano un gradevole colore dorato. Sale, pepe e rosmarino fresco per concludere. Questa ricetta è molto attuale e vicina all’idea di leggero e digeribile (evitando lo strutto e le cotture troppo lunghe). Potete farla a casa senza difficoltà. A meno che il coniglio non vi faccia inorridire. Allora potete provare con il pollo. Oppure con una lombata di maiale.

Se “lo contadì era più grosso”, al posto del misero coniglio c’erano oche o papere al forno, cresce, “foje strascicate” e pizze dolci. Un trebbiano misto a malvasia, dell’anno prima, annaffiava il conviviale.

Ma c’era anche la cena. All’imbrunire, i contadini si riunivano sull’aia, finivano gli avanzi (che poi non erano avanzi perché le donne calcolavano le dosi giuste per tutti), bevevano il vino vecchio che cominciava a sapere un po’ di aceto, prendevano a morsi fresche fette di melone e di anguria per pulirsi la bocca, baciavano (se ci riuscivano) la bella di turno che avevano tampinato tutto il giorno fra una spiga e l’altra, e se era l’ultima sera di lavoro la fisarmonica suonava fino a tardi e i contadini ballando scacciavano via stanchezza, malinconia e “maccherò”.

Una domenica, quando siete dell’umore giusto, lanciatevi in un feedback gastronomico agricolo marchigiano e, per prima cosa, non fatevi convincere ad alleggerire il ragù, poi mettete al forno un’oca o una papera con alloro, salvia, rosmarino, aglio e vino bianco, strascinate a parte delle verdure miste, portate a tavola delle cresce tagliate a dadoni e chiudete in dolcezza con una pizza di uvetta e anisetta. Poi, o andate a finire di mietere il grano, o andate a fare una corsetta. Oppure, cosa più auspicabile, colti dall’abbiocco post-prandiale, prendete la strada del divano o, ancor meglio, del letto.

Carla Latini

I Turkish Cafè alla conquista di Musicultura

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Turkish Cafè, basta conoscerli per capire che sono molto più di un gruppo. Il loro affiatamento è tangibile e contagioso. Ci incontriamo alla vigilia di un importante possibilità, quella di essere finalisti al Musicultura 2015. La cosa funziona per entrambi, a noi piacciono loro e viceversa. Cantano a cappella quasi per scherzo su uno spot promo che giriamo al volo. Il tempo è veloce e già ci ritroviamo a parlare della finale meritatamente conquistata. Nati, artisticamente parlando, nel 2009 a Macerata. Partiti prima come trio, ora sono diventati un quintetto pronto comunque ad integrare altri strumenti.

I Turkish Cafè hanno molto rispetto per la musica italiana alla quale si dedicano con composizioni fresche ed accattivanti, grazie al loro pop acustico di sicuro effetto. Hanno al loro attivo due album, “Cambio palco” è il più recente. Dal vivo oltre al loro repertorio originale amano reinterpretare degli standard molto ricercati di musica internazionale come Beatles, Beirut, Massive Attack ed Eurythmics. Ecco chi sono: Veronica “Annie Hall”, voci e tastiere;  Julián “Julico” Corradini, voci e chitarre; Simone “Sus” Giorgini, voci e contrabbasso; Simone “Gordo” Pozzi, voci e batteria e Cristiano “Doc” Giuseppetti, voci, violins e keyboards.

Kruger Agostinelli

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Il piatto della tradizione, lo stoccafisso: una storia tutta anconitana

in Mangiare e bere/Stoccafissando da

E’ l’anima dell’Accademia dello Stoccafisso all’Anconitana. Gilberto Graziosi (nella foto in basso) non è semplicemente il segretario dell’associazione ma ne porta avanti la missione con passione, dedizione e professionalità. Tanto da renderlo, secondo me, un raffinato esperto enogastronomico.

<<Si parla tanto oggi di enogastronomia e sono molti quelli che si appropriano di questa voce dotta. Non mi sento un enogastronomo ma un amante della buona cucina. L’enogastronomo è un esperto. Uno che applica parametri diversi ed ha una preparazione quasi scientifica. Io, invece, sto ancora frequentando le medie>>.

Cosa è oggi, dopo 18 anni di attività, l’Accademia dello Stoccafisso all’anconitana?

<<L’Accademia protegge da sempre la ricetta dello perché rappresenta una parte della storia di Ancona. Intorno a questa ricetta girano e si intersecano ricordi e tradizioni che non sono solo legati al cibo e al vino. La vita della città antica è conservata nella ricetta codificata; i suoi legami fra terra e mare, il porto, i contadini. Quando sono entrato nell’organismo mi sono accorto che, in questo mondo, ero il primo degli ignoranti>>.

Leggo nel disciplinare i 7 codici che caratterizzano la ricetta. Dal pesce al metodo di reidratazione; dal tegame all’olio, fino alla patata. Nel tempo poi avete permesso l’introduzione di altri ingredienti che, però, non alterano la tipicità della ricetta base. Mi racconti?

<<Dell’Accademia fanno parte professionisti qualificati. Uno è Aldo Roscioni, socio fondatore dell’Accademia e considerato il “Sindaco di Portonovo”. E poi si sono sommelier, cuochi amatoriali, chef, storici commercianti di stoccafisso. Tutti possono farne parte. Una volta entrati li formiamo a dovere. La ricetta, quella base, è la stessa attribuita a Getullio Zaccaria, un oste famoso ad Ancona. Una ricetta non deve diventare un piatto fotocopia e questo ne ha determinato le diverse aperture. Le prime introduzioni di altri ingredienti, nel tempo, sono state il latte, le alici, le olive, i capperi e l’alloro (la ricetta di Getullio prevede: stoccafisso Ragno, olio extravergine italiano, vino verdicchio dei Castelli di Jesi, di Matelica o Cupramontana, patata a pasta gialla, aglio, carota, cipolla, maggiorana, origano, pepe bianco e nero, pomodoro, prezzemolo, rosmarino, sale marino, sedano e timo). Proprio in questo periodo abbiamo rielaborato il nostro disciplinare per renderlo più chiaro in funzione della Denominazione Comunale. Poi abbiamo allargato i confini della conoscenza. Voglio ricordare la visita alla città di Svolvaer in Norvegia. dove, visitando un museo navale, abbiamo scoperto che il Cantiere Navale di Ancona aveva costruito quattro navi per quattro compagnie di navigazione norvegesi: siamo alla fine degli anni ’40. Ed il Cantiere fu pagato, anche, con partite di giro legate allo stoccafisso>>.

Ma che bella storia. E immagino sia una delle tante.

<<C’è anche quella di un ricco fiammingo che, nel 1650, viveva nei pressi del Passetto e importava merluzzo essiccato di prima qualità direttamente dalla Norvegia. Pensa che pochi sanno che esiste una varietà di stoccafisso, di prima qualità, che si chiama Westre Ancona, quindi siamo l’unica città nel mondo ad avere il proprio nome su una qualità dello stocco>>.

Sono vissuta ad Ancona per diversi anni. Viaggio molto nel mondo. Considero Ancona una città bellissima. Con potenziali che cercano di esprimersi ma fanno fatica. Sbaglio? Tu che ci vivi e la ami, che ne pensi?

<<Ancona non ha mai avuto grandi famiglie nobiliari, come Firenze, Mantova o Roma, che hanno portato cultura. E’ sempre stata povera. Massacrata durante il periodo in cui ha fatto parte del Papato. Erano tempi bui. Dobbiamo dire grazie al Vanvitelli e grandi artisti come Tiziano, Crivelli, Lorenzo Lotto, Pinturicchio che ci hanno lasciato grandi opere. Lo stoccafisso è in questa storia. Un pesce povero ed economico facile da conservare e da preparare. Nella ricetta base ci sono tutte le verdure e le erbe dell’orto. Era il piatto che univa la famiglia nei giorni di vigilia e festa. Aveva un senso sociale oltre che gastronomico>>.

Una curiosità. Chi fa ad Ancona il miglior stoccafisso?

<<Non te lo dirò mai! In questi ultimi anni abbiamo cercato di far crescere il piatto nel segno della qualità e, in linea di massima, sono tutti accettabili. Chi lo fa più delicato, chi più carico, chi più ruffiano. Chi in grande quantità con qualità sempre costante. C’è anche qualcuno è meglio che faccia altri piatti. I ristoratori sono i nostri migliori ambasciatori della tradizione e, su questo piatto, che rappresenta la città, devono dare il meglio di se stessi. Il turista che mangia uno stoccafisso diverso dal codice e di scarsa qualità, non sarà soddisfatto ed avremo perso un potenziale ambasciatore della comunicazione a favore del nostro territorio. Un buon piatto con olio, stoccafisso e patata di qualità incide nel costo finale meno di un euro. Ne vale la pena?>>.

Parlami delle ultime iniziative. Fate qualcosa ad EXPO?

<<Insieme alla Confraternita del Baccalà alla vicentina, con cui collaboriamo da tempo, stiamo seguendo la Via Quirinissima, un importante progetto europeo che segna il percorso del nobile Pietro Querini, naufrago di ritorno a Venezia. La Quirinissima toccherà tutte le città e gli Stati europei che hanno un legame con lo stoccafisso. Ancona vuol proseguire ed allungare questa via creando un strada tutta italiana dello stocco. Il prossimo appuntamento gastronomico lo dedichiamo a EXPO. Il 29 Maggio saremo a Milano, al ristorante Solarium, presidio Slow Food, per far assaggiare il piatto della tradizione anconitana. Poi, nell’ambito del progetto che ci vede protagonisti di fiere e sagre, parteciperemo, il 13 Giugno alla Festa Sanpietroli in Ancona; il 24 Maggio al Gemellaggio Pro Loco Calamo/Pro Loco Staffolo e dal 20 al 23 Agosto sempre a Staffolo per il 50° del loro Verdicchio. Vi aspetto anche a “Stoccafissando” la seconda settimana di settembre all’Hotel Excelsior La Fonte di Portonovo>>.

Carla Latini

Gilberto Graziosi

Le vignette di Roberto Mangosi su Tyche Magazine

in Cultura da

Gli amanti della spiaggia e del mare devono adeguarsi alle imprevedibili situazioni meteo. Pronto come al solito il vignettista Roberto Mangosi fotografa con un suo divertente disegno, una delle situazioni avverse. Certo è presto per capire se quest’estate 2015 sarà da passare sotto l’ombrellone o l’ombrello, ma una cosa è certa: anche con il sole  a catinelle bisogna sempre stare attenti alle possibili… onde anomale!

roberto mangosi costume da bagnoDella serie “Voglio andare al mare”, sembra finalmente che il sole stia dando il giusto spettacolo spettacolo. Boom di presenze nelle località balneari marchigiane e non. Ci viene in soccorso il buon Roberto Mangosi che con un’appropriata vignetta, concessaci gentilmente, ci mette del buonumore ed augura a tutti i lettori di Tyche Magazine una buona abbronzatura. Fra i nostri recenti articoli ce n’è uno di Valentina Castelli riguardante proprio l’argomento costumi donna ed in cantiere ne arriverà prestissimo uno maschile che intanto Mangosi prova ad anticipare…

Roberto Mangosi In Vino VeritasChe umorismo e vino siano degli ottimi complici non ci sono dubbi. Al punto che Roberto Mangosi nel 2000 è arrivato primo al Concorso Nazionale di Umorismo e Grafica “In Vino Veritas” di Siena. Ci fa pubblicare questa sua vignetta in occasione delle Cantine Aperte 2015, una manifestazione per appassionati e non, che si svolgerà sabato 30 e domenica 31 maggio. Ben 730 aziende in tutta italia inviteranno gli appassionati ad assaggiare i loro vini migliori. QUI per saperne di più.

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Lunedì vade retro! Si rifà al versetto biblico secondo la traduzione latina. Insomma uno dei possibili modi con cui esorcizzare l’arrivo implacabile del lunedì. La vignetta, concessa ed autorizzata ufficialmente da Roberto Mangosi è della sua produzione 2015 per Ohmygoodness. A proposito Roberto ci ricorda che OMG si pronuncia “ohmaigudness”, non “ohmaigadness” perchè quello vuol dire un’altra cosa e chi sa l’inglese non comprende bene.

KAMA 02 X01 - Sheep Pos Ks1300 riadattatoEcco un’irriverente vignetta di un Roberto Mangosi d’annata, è del 1996. Un enorme successo internazionale grazie al portale ohmygoodness, sito di cartoline elettroniche. Stiamo parlando di “Crazy Kamasutra” e dire che erano dei vecchi disegnini goliardici di quando era malapena maggiorenne.  Vignette che sono uscite in un libro edito in Portogallo. A breve sarà edito un Crazy Kamasutra del terzo millenio, più moderno e high tech, insomma famolo strano fra selfie e tecnologia avanzata. Siamo felici di poter pubblicare una delle sue opere che ci ha gentilmente concesso. E la promessa di avere un’anticipazione dei suoi prossimi disegni.

vignetta tyche 2Roberto Mangosi ha accettato spontaneamente, e da buon amico delle nuove idee stimolanti, di collaborare periodicamente con Tyche Magazine. Non solo, c’è pure la promessa di venire una volta in redazione e disegnare in diretta streaming. Un onore avere a disposizione una matita così importante: Mangosi infatti è sicuramente fra i disegnatori satirici più popolare italiani, con una discreta ed autorevole notorietà anche internazionale. Uno stile jacovittiano capace di procurare un intelligente buonumore sia su temi di attualità che di costume. Del resto la vignetta è uno degli ingredienti maggiormente funzionali al diritto di satira. Spesso irriverente e provocatoria, colpisce il segno, senza mezzi termini. Potente e dissacratoria, riesce a semplificare il bisogno di ribellarsi ai luoghi comuni e alle ingiustizie quotidiane. Fra le sue collaborazioni attuali e passate figurano Huffington Post, Playboy, Il Male, La Settimana Enigmistica, Linus, Domenica Quiz, Gente Enigmistica, Il Giornale d’Italia, PM e Calcio Illustrato. E’ stato Art director e principale vignettista del sito umoristico Internet www.ohmygoodness.com, terzo spazio web al mondo in materia di cartoline virtuali fino al 2002, con oltre tre milioni di accessi mensili. Per la cronaca, il suo “Crazy Kamasutra”, oltre ad essere stato pubblicato in diversi paesi, è stata una delle opere più diffuse sul web. Vanto personalmente di averlo avuto in coppia con me e Pino Scaccia nel “filo diretto” sulla newletter “Kruger MailJockey” in diversi importanti periodi. Carriera, premi (fra cui la Biennale internazionale dell’Umorismo nell’arte di Tolentino) e lista di musei in cui sono esposte le sue opere sono consultabili sul suo sito www.robertomangosi.com . Benvenuto con noi Roberto.

Kruger Agostinelli

 

Lola “sei solo tu”, rivive per una notte l’atmosfera di uno dei locali più amati d’Italia

in Senza categoria da

La historia de Lola è molto più di un evento danzante. In effetti la moda dei vari remember e dei tributi nasconde troppo spesso una sorta di “vu’ cumpra” dei ricordi. Dei “mezzucci” per tirare su una serata e farci qualche soldo. Insomma tutto tranne che una corretta lettura della memoria. In pratica come se si volesse festeggiare l’Italia campione del mondo 1982 e si invitasse solo Franco Selvaggi. Per questo ci soffermeremo su un evento che non racconta soltanto la storia di un locale ma racchiude una filosofia innovativa dell’intrattenimento. Ci sarà “solo per una notte” l’animazione, i dj’s, le voci, la gente e le idee che l’hanno resa un Mito, con la emme maiuscola. Il Lola è nato nell’aprile 1992 e non ha mai chiuso in realtà. Un’avventura di ben 22 anni. Poi fu ceduta la gestione e il locale prese un altro nome. Questo per dire che non è stata cancellata l’anima del Lola. Ci affidiamo ai precisi ricordi di Aldo Ascani, che insieme al suo collaboratore storico Rudy Saracini sta allestendo questo evento.

C’è stato sempre un dualismo tra le discoteche emiliane e marchigiane ma questo fu un colpo clamoroso se ben ricordiamo.

<< Infatti il Lola non fu una discoteca, ma qualcosa di originale e diverso. E’ nato come un concetto filosofico diverso, si sentiva il bisogno di un sorta di happening dove ci si soffermava non tanto sull’oggetto ma sull’evento che si riusciva ad organizzare. Un club o “disco bar”, alternativo e innovativo rispetto al “piano bar”>>.

Diciamo una sorta di locale in divenire.

<< Infatti, era molto elegante, quasi un harem con legni pregiati e pelle di coccodrillo. Inizialmente un ambiente solo, con uno spazio dinner e non c’era un’offerta musicale ben precisa. Avevamo assunto come responsabile una coreografa importante, Tania Piattella, una prima ballerina della Rai che all’epoca faceva “Fantastico” con Pippo Baudo. Con lei, Nicoletta Montanari e Lucia Spadaccino, entrambe dj radiofoniche molto apprezzate, si organizzavano durante la serata delle piccole performance, godibili dal pubblico tra un cocktail e l’altro.>>

Poichè il destino è il maggior azionista dell’intuizione, succede che…

<< Che incappiamo in una curiosa situazione. C’era un cameriere che si faceva notare per il numero di bicchieri che faceva cadere dal suo vassoio ogni volta che sparecchiava. Ma, come per magia, quando Nicoletta o Lucia proponevano le prime sonorità latino-americane (genere allora sconosciuto dal grande pubblico ndr) lui iniziava a muoversi a tempo e tutto filava liscio. Un fatto curioso che non sfuggì ad Ezio, mio fratello. Indagando scopre che il cameriere, sposatosi con una venezuelana, aveva una piccola scuola di latino-americano>>.

Stai parlando di Luciano della Conga…

<<Esatto. Così Ezio, grazie a questo input, iniziò a strutturare il locale di questo primo Lola con una parte esterna estiva, dandogli un sapore caraibico e “spagnoleggiante” riuscendo a creare una speciale atmosfera. Pensate che fu talmente risonante il grande successo riscosso che fu celebrato nel panorama italiano dei club “alternativi” come un inimitabile numero uno. Addirittura ricordo che in occasione della notte del 15 agosto un elicottero con una troupe della produzione di Roma della Rai fece delle riprese dall’alto per un servizio che poi è andato in onda su tutte le reti. Se ce ne fosse stato bisogno diciamo che fu la definitiva incoronazione>>.

Uscivate dal mondo integralista delle discoteche e delle cubiste.

<<Facemmo delle stagioni estive talmente strepitose che abbattemmo qualsiasi concorrenza, anche di altri nostri locali, compreso il Green Leaves>>.

C’era un giorno di maggior attrazione?

<<Non c’era. Da lunedì alla domenica c’erano solo chilometri di fila per entrare. Era fantascienza, di livelli disumani. Al di là del fenomeno Lola, c’è stato un fenomeno di pubblico. Al Lola veniva la “crème de la crème”, dalle Marche e oltre. Da Rimini, Riccione, ma anche dalla Puglia, dal Molise>.

Nelle notti del Lola mi risulta che c’era anche il pubblico che conta. Con gli stessi addetti ai lavori che diventavano clienti…

<<Anche loro erano sorpresi di quello che stavamo facendo. Della Valle con la Girombelli erano clienti assidui, oltre a tanti artisti. C’era Vasco Rossi, con cui avevamo un’amicizia forte già prima del Lola, Antonio Albanese, gli Stadio, Biagio Antonacci. Era diventato un punto d’incontro impressionante anche a livello artistico. Ma anche in seuito un polo d’attrazione per vip. Per dire, Barbara Berlusconi era una cliente fissa perché aveva amici nella zona del Conero. Così come Enzo Iacchetti, Clarence Seedorf, Walter Zenga o l’indimenticabile Pietro Taricone: si sentivano clienti e non venivano importunati da nessuno. Era casa loro>>>.

Poi arrivò l’incendio.

<< Era il 9 ottobre quando l’hanno incendiato. Un rogo che emotivamente commosse tutto il mondo della notte, tale era l’attaccamento a questo simbolo diverso del divertimento. Dopo quasi un anno è stato ricostruito, ampliando completamente il concetto latino. Così si è passati ad una struttura unica, diventando locale nazionale della musica latino-americana. E sono passati i più grandi a calcare il palco del Lola, penso ad Oscar D’León. Un palco che si è arricchito anche di altri stili internazionali come il “surf”>>.

 

 

Che pubblico ti aspetti? Ci saranno anche i giovani oppure è solo un ritrovo per nostalgici?

<<Certamente ci saranno anche giovani. Soprattutto quelli assetati di qualità della notte>>.

Sono passati oltre 20 anni. Che slogan conieresti oggi per il Lola?

<<Sei solo tu>>.

Kruger Agostinelli

nella foto l’abbraccio di Nicoletta Montanari a Pietro Taricone

 

Addio B.B. King, doppio ricordo: dal sorriso per il direttore tecnico di Tyche al blues sincero per Joe Galullo

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B.B. King, leggenda indiscussa del blues, è scomparso all’età di 89 anni. Il primo maggio il chitarrista aveva postato su Facebook di essere sottoposto a cure a causa del diabete di cui era ammalato da tempo. Fu protagonista nella nostra regione di un indimenticabile concerto. Ce ne parla attualmente responsabile per il settore spettacoli presso la Tyche Eventi.

<<Ho avuto la fortuna di organizzare il concerto di BB King precisamente l’11 luglio del 2004 presso il Teatro delle Muse. Per la prima volta ho assistito interamente ad un concerto, cosa che non faccio normalmente mentre lavoro nei miei spettacoli. Mi sono tanto emozionato e mi ha colpito la sua infinita gentilezza. Una disponibilità assoluta con tutti sia nel rito della foto che degli autografi. Di lui ho intatto il ricordo del suo sorriso, caldo ed avvolgente come il suono della sua chitarra>>.

Un’altra testimonianza inedita per Tyche Magazine arriva da uno dei più popolari ed autentici bluesman italiani Joe Galullo: “Ci siamo incontrati in parecchi festival. Quel che ricordo di lui, e che ho sempre portato nel mio cuore, è la sua totale sincerità e semplicità nel blues. Il suo fraseggio umano. C’erano poche note, però ognuna aveva tutta una vita dentro. Poi mi viene in mente la sua grande sensibilità. Era un blues sincero. E’ stato un grande, un maestro capace di farti capire che anche con due sole note puoi comunicare un’intera vita”.

Pensi di omaggiarlo?

“Stavo quasi per annullare la serata che ho in programma, ma devo andare a suonare: purtroppo io vivo di questo e portarmi a casa cento euro vuol dire mangiare per qualche giorno. Comunque coglierò l’occasione per dedicare la serata a lui, in memoria del grande maestro”.

Kruger Agostinelli

Stefano Baiocco, chef a due stelle, porta i ravioli allo stoccafisso sul Garda

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Stefano Baiocco è marchigiano. Lo dimostra il fatto che ha studiato all’istituto alberghiero di Senigallia ed ha girato, giovane cuoco in carriera, i locali più noti della Regione. Poi il salto: prima Pinchiorri, poi Ducasse, quindi Gagnaire, Adria, Andoni, Roca, Borbot. Nomi che appartengono alla storia dell’alta cucina mondiale. Sono templi gastronomici dove è difficile varcare la soglia della cucina.

Tornato in Italia Stefano viene subito catturato da un posto da sogno, purtroppo lontano dalle Marche. Villa Feltrinelli, dimora di lusso, una delle tante, di Benito Mussolini a Gargnano sul Lago di Garda. 21 suite, un ristorante con 30 posti, un parco, un giardino ed un orto botanico che Stefano coltiva personalmente da sempre. Prima che diventasse una moda avere l’orto nel ristorante. 12 ragazzi in cucina con cui cura dalle prime colazioni alla cena passando per i frigobar nelle suite che sono quanto di meglio gli ospiti possono pensare di aspettarsi da un posto del genere.

Gli ospiti sono vip internazionali, esigenti e molto selettivi. Stefano li conosce e li coccola ma fa finta di non ricordare chi sono. A causa della sua innata discrezione. Stefano è sposato con Olga. Hanno una bimba piccola che si chiama Camilla. Olga era nella brigata di Moreno Cedroni. Un piatto racconta il suo legame con le Marche. Un piatto che spesso è sul menu: raviolo ripieno di stoccafisso all’anconetana. Ma la cucina di Stefano va più verso il verde, nel senso di erbe ed ortaggi. Due anni fa prende la seconda stella Michelin. Ma non si monta la test. Continua a tenerla “bassa” per migliorare. Durante le ferie espatria (la voglia di viaggiare non l’ha mai abbandonato) e si fa delle vacanze studio per approfondire culture, cibi, usi e costumi di posti che ancora non ha conosciuto o di cui vorrebbe approfondire la conoscenza. Ve lo garantisco: questo bel ragazzo dai riccioli neri ha una mano magica.

Annalisa in concerto, convince il contatto fisico con il suo pubblico

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Annalisa conquista anche il palcoscenico del Teatro Rossini a Civitanova Marche. Pubblico visibilmente soddisfatto e nel suo bis è evidente la necessità di andare a cantare  proprio in mezzo  ai suoi fans. Un contatto fisico di cui la giovane cantante sente il bisogno dopo tanta esperienza televisiva e virtuale sui social. Ma la musica live è un’altra cosa e lei sembra averlo compreso molto bene. Annalisa ha una bella voce, una scenografia sicuramente d’effetto e il gruppo bello da vedere e con un sound adatto alle sue canzoni. Un paragone per capire meglio? E’ una buona bibita fresca e gassata adatta e molto gradita dal suo pubblico. Del resto i grandi protagonisti sono sicuramente  loro, gli ammiratori, giovanissimi e inesauribili per tutta la serata. Si conclude positivamente così il debutto di Tyche Eventi che, in attesa del calendario estivo, anticipa subito un colpaccio aggiudicandosi la prima data italiana del tour 2015 di Max Pezzali, il 25 settembre 2015 al PalaRossini di Ancona.

Kruger Agostinelli

Foto di Federico De Marco

(nella foto in basso l’amministratore Mimmo Sicolo, Annalisa e il direttore responsabile Kruger Agostinelli nel camerino prima del concerto)

Mimmo Sicolo, Annalisa, Kruger Agostinelli

 

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Il Brodetto che ha incantato Firenze: la ricetta dello chef Beatrice Segoni

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Beatrice SegoniUn giorno la comune amica Elsa Mazzolini, direttrice della Madia, uno dei network più seguiti quando si tratta di enogastronomia, ha dedicato la copertina della rivista a Beatrice Segoni scegliendo questo titolo “La donna che visse due volte”. Io, alla luce dei fatti attuali, scriverei tre volte. Prima stilista di moda, poi cuoca per vocazione, infine chef che ha rilanciato a Firenze lo storico “Convivium”. Un amore così intenso, quello per i fornelli, che l’ha portata da Porto Recanati nel capoluogo toscano. La sua città natia dovrebbe farle un monumento perché cucinare il brodetto in terra toscana vuol dire sfidare il caciucco! Sfida che Beatrice vince ogni giorno da 12 anni. Una professionalità tenace, dice chi ha lavorato con lei (l’ho vista e ascoltata e quindi confermo), che potrebbe condurre una brigata di 40 persone senza batter ciglio. Tanto tosta e aggressiva fuori quanto delicata e raffinata dentro la sua cucina. Firenze se la gode da 10 anni. Il “Convivium” è un nome importante nella ristorazione fiorentina. Qui Beatrice fa tutto, dalla colazione (easy, tipicamente fiorentina) alla cena (contaminata dalle Marche). Tra le specialità “esportate” dalla sua terra, il suo celebre brodetto. Mi sono fatta raccontare la ricetta solo per voi. Beatrice prepara un Brodetto di pesci poveri e ricchi. Gli ingredienti sono olio evo (extravergine di oliva), cipolla, sale, pepe, pomodoro, vino bianco e zafferanella, lo zafferano selvatico che potrete trovare in ricercate boutique di delikatessen. Se non lo trovate, dell’ottimo zafferano italiano andrà benissimo ugualmente. E poi seppie, scorfano, mazzole, testola, pesce ragno, mazzancolle, scampi, cozze, vongole, boccaincava, canocchie, sanpietro, razza. Beatrice li pulisce, li sfiletta e li sguscia tutti, uno per uno. Un lavoro delicato e lungo che, se volete, potete evitare di fare e lasciare l’impegno ai vostri ospiti a tavola con il rischio di schizzi e macchie. Il Brodetto è divertente anche per questo. Perché è ideale per inzupparvi il pane, alla faccia del bon ton. Soffriggete olio e cipolla tagliata a julienne, un piccolo peperoncino e aggiungete la seppia tagliata a listarelle. Bagnate con una spruzzata di vino bianco e mettete la zafferanella. Fate bollire per circa 4 minuti poi accomodate nel sughetto ottenuto i restanti pesci e un po’ di pomodoro. Condite con sale e pepe. Portate a fine cottura senza mai mescolare, solo scuotendo leggermente la pentola. Accompagnate con del pane abbrustolito e spolverato con aglio, olio e prezzemolo fresco. Se volete mangiare il Brodetto di Beatrice, la trovate in viale Europa 5 a Firenze (055-6802482). Posti a sedere: 70 nel ristorante gourmet, 50 tra gastro-bistrot e wine bar. Si può ordinare la spesa via internet (info@conviviumfirenze.it). Confrontando il Brodetto di Beatrice con la versione classica di Porto Recanati, lo stile della grande cuoca emerge con grazia e leggerezza. Beatrice ha saltato l’infarinatura del pesce che invece deve essere fatta, se vogliamo rispettare le regole. L’infarinatura crea una piccola protezione della superficie dei pesci ed evita il pericolo che il pesce si sfaldi. Ma se siete bravi come Beatrice i vostri pesci non infarinati non si sfalderanno e rimarranno polposi e intatti.

Carla Latini

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