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Semplicemente alimentare: a Cagli la genuine proposte della Ketti

in Mangiare e bere da

 

ketti cagliMaria Enrichetta Pompili, per tutti la Ketti, è il “suo posto” e “il suo posto” è lei. Da 16 anni si chiama semplicemente “Alimentare, luogo di vendita e degustazione”. Ora lo fan tutti ma 16 anni fa Ketti è stata veramente un’acuta visionaria. Convinta che: “se assaggio poi compro”. Oggi mi racconta che non è stato facile. Anzi, definisce il suo percorso tortuoso. Erano tempi in cui il cibo, il vino, quelli veri e di qualità, facevano fatica a farsi capire. La Tv e i media ne raccontavano timidamente. Non come adesso, quando sarebbe il caso di prendersi un time out e riflettere un po’. Ketti ritiene che c’è troppo spettacolo intorno al cibo. Più intorno al cibo che al vino.

Ma torniamo a 16 anni fa. Ketti (che i suoi anni li porta benissimo) lavorava in uno studio notarile, poi la sua vita cambia direzione. Fa una serie di corsi per imparare (se vuoi raccontare devi prima aver imparato la storia) su vino, olio, pasta, pane, piazza, formaggi e salumi. Diventa una brava cuoca. Tutto quello che mangiate dalla Ketti a Cagli è fatto da lei. È aperta 7 giorni su 7, dalle 7 della mattina al dopo cena. Da 3 anni la affianca, a cena e dopo cena, il suo socio Glauco Marconi. Un partner simpatico e socievole, sempre con la battuta pronta. Con loro c’è anche un tirocinante alla volta che impara un mestiere. Anzi, tanti in un colpo solo.

La prima colazione offre brioche fatte con il lievito madre, ripiene di creme, confetture e marmellate Made in Home o di amici artigiani; a metà mattina salati sfiziosi con i vini e le bolle marchigiane e non. Adesso che è caldo, troverete la pasta alla Norma e la pasta alla mediterranea, con pomodori, capperi, alici. Poi il “misto alimentare” che intorno a fette di melone, assolutamente locale, vede ruotare a scelta, mozzarella, bresaola, prosciutto, salmone. A cena lo scenario si ripete e si arricchisce di hamburger vegetali. L’estate con le melanzane e l’inverno con le lenticchie. Si arricchisce anche di ricette antiche come, ad esempio, le lumache di terra (solo a giugno) che Ketti offre sia nature, con il sughetto appena biondo di pomodoro profumato da tante erbe aromatiche, sia come salsa per condire gli spaghetti. In apertura, d’inverno, a menu, ci sono le zuppe di legumi; d’estate le zuppe fredde come yogurt e cetrioli. Sarò ripetitiva ma vale la pena di riscriverlo: tutto qui è fatto e pensato da Ketti.

Quando le chiedo che tipo di clientela è la sua, prima di rispondermi riflette un po’. Poi, sicura, mi dice: <<Tutta>>. Come tutta? <<Sì, tutta. Dai i cittadini locali, di qualsiasi età, che vanno a prendere il caffè la mattina, ai giovani della metà mattina, ai turisti della colazione, agli anziani (uomini) del pomeriggio, ai giovani, giovanissimi, dell’aperitivo, per arrivare alla cena dove ritornano a essere i “tutti” della mattina e al dopocena che rivedo giovani, meno giovani e turisti>>.

Cagli è un grande paese e la vita di paese, grazie alla volontà degli abitanti, è sempre “accesa”. Come le luci del teatro che, nei momenti di pausa, ospita gli artisti che provano i loro spettacoli. Per cui è facile a Cagli incontrare dei super big della canzone piuttosto che della prosa mentre fanno “le vasche” lungo il corso.

Ketti ama Cagli. Si capisce subito dalla passione che mette nel raccontarmi cosa succede in città, l’estate. Tutti i venerdì sera ci sono i “Venerdì di Cagli” che attraggono i turisti e gente dei paesi vicini e i vacanzieri della costa. Ogni venerdì c’è un tema diverso, dallo sport alla magia. Il bello di questo bello è che tutti i pubblici esercizi collaborano insieme. E insieme si sono inventati la “Griglia in piazza”, i “Mercatini della terra”che offrono anche terre per dipingere, “Cagli delle musiche” che riempie piazze, vicoli e piazzette con lirica, jazz, classica, dialettale ecc. E magari, nel frattempo, da Ketti si degusta un vino locale abbinato a salumi da urlo.

Mentre parlo con lei sento che saluta un amico. È Gabriele della Gioconda. Lui, mi dice, non è come me. Gabriele è un ristoratore vero (vi scriverò di lui più in là). Con Gabriele Ketti si confronta su tutto e insieme, in una sorta di simbiosi enogastronomica, tengono alto il livello delle scelte e delle offerte.

Ammettete che vi ho fatto venire voglia di andare a Cagli dalla Ketti. Lei è sempre lì. Ditele che vi mando io. Ketti è in via Leopardi 18. Risponde lei allo 0721/781950. Risponde sempre lei a info@alimentarecagli.com

Carla Latini

 

 

Lillo e Greg incantano la piazza di Civitanova con i selfie

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Una platea da concerto per Lillo e Greg e il loro “Occhio a quei due”. Trasferito in piazza un ottimo spettacolo teatrale, con i pro e i contro che ne conseguono. Civitanova ha risposto alla grande, con oltre tremila spettatori. Chiaro, nella grande cornice di piazza XX Settembre, cuore dello “struscio” serale, in un’afosa serata di luglio, qualche gag si è persa nel vocio di chi era alla ricerca di un buon gelato o di una bibita rinfrescante. Nulla che invitasse al silenzio di un contenitore teatrale. Del resto la logica dell’ingresso gratuito presuppone una estesa fruibilità del prodotto. Però la serata è stata godibile e divertente anche per i molti che hanno assistito in piedi. Merito della collaudatissima coppia che si è avvalsa della brava e bella Vania Della Bidia. Sketch serrati e divertenti, nello straordinario stile surreale che da anni ci accompagnano nelle mirabolanti storie radiofoniche di “Sei uno zero”. Festa di piazza, quindi, che alla fine ha funzionato. La vera attrazione è diventata proprio il dopo spettacolo quando i protagonisti sono concessi con sincera generosità al loro pubblico. Selfie a gogo e non solo. Per tutti un’attenzione non di comodo ma personale e diretta, un sacro rispetto del pubblico dove Greg, Lillo e Vania sono stati inesauribili protagonisti. Nell’intervista di seguito ve ne accorgerete.

Kruger Agostinelli

Foto di Federico De Marco

La lingua di Montanini frusta il perbenismo a Portonovo

in Cultura da

Giorgio Montanini è sul piccolo palco dell’Hotel La Fonte di Portonovo. Luigi Socci lo ha appena presentato, in maniera diretta, precisa senza nessuna retorica, come ospite per “La punta sulla lingua”. Il pubblico, seppure in maggioranza molto giovane, sembra adulto e vaccinato. Dissente con il silenzio e applaude il doppio quando la sua morale glielo permette. Risultato? Meglio essere disinibiti con il sesso dal momento che la religione è ancora un serio tabù. La sua satira frusta con violenza bigotti, omofobi e ipocriti. Magari fosse vero che la reazione del pubblico anconetano potesse diventare realtà. Forse Montanini dovrebbe cambiare lavoro ma almeno la nostra società ne gioverebbe molto in termini di libero pensiero. Tranquilli Montanini rimarrà al suo posto, opportunamente confinato in seconda serata. Ma con la certezza del “meglio pochi ma buoni”. L’irriverenza del comico fermano è spietata e priva di compromessi e contraddizioni. E quel testo lui lo recita agevolmente, con le pause giuste ed una mimica efficace, molto fisica. Lui si definisce nella sua comicità come uno da Standup comedy. Questo mi ricorda un film della mia infanzia, “Lenny” di Bob Foss con Dustin Hoffman, ma poi preferisco avvicinarlo a due cattivi comici che ho sempre adorato. Rivedo, con le debite differenze, il buon Paolo Villaggio e Beppe Grillo. Con la soddisfazione che da Genova siamo passati nel cuore inedito della regione Marche. E mi riecheggia il ritornello <<E’ bravo ma dice molte parolacce>>. Mi piace di Montanini come abbatte la logica del nazional popolare e come infrange la regola del “volemose bene”. Morde, graffia e offende sui luoghi comuni. Scava nelle depravazioni, che ognuno di noi conosce bene nel proprio lato oscuro. Quasi parafrasando Bertold Brecht sembra dire vantandosi, quando parla di Brignano o Conti il presentatore, <<mi sono seduto dalla parte del torto perché ogni altro posto era occupato>>. Lui preferisce stare in cattiva compagnia con zingari, trans e immigrati. Insomma spallate al conformismo in una società che è, lo spiega parlando delle vicissitudini fiscali di Valentino Rossi, forte con i deboli e debole con i forti. La sua satira è corrosiva, sembra abbattere tutto ma ha un raggio di sole che splende forte, l’inno alla curiosità. E rivolgendosi al suo pubblico, abbandona per un attimo la provocazione e si lascia andare ad una saggia esortazione: <<Dovete essere curiosi come Cristoforo Colombo, perché se non lo fosse stato avrebbe scoperto solo l’isola di Ponza>>.

Poi arriva il dopo spettacolo e tocca a lui sopportare noi giornalisti. Lo fa con gentilezza ed un pizzico di rassegnazione. Ed è qui che avverto dentro di me il virus Montanini che sta esplodendo. Avverto il bisogno di pensare: <<Ma che cazzo di domande state facendo?>> Poi mi adeguo e sorridiamo. Consumo insieme a lui anche le mie osservazioni (qui sotto il video) e chiedo pure una banale ma innocente foto ricordo. Eh già certe serate non vanno dimenticate.

Kruger Agostinelli

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La ricetta della Crescia, la focaccia Made in Marche

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Crescia in marchigiano vuol dire pizza. Più che una pizza è una focaccia. La Crescia nelle campagne veniva fatta con la pasta lievitata del pane che avanzava. Cotta nel forno a legna, prima del pane. In questo modo la Crescia faceva da ‘cartina tornasole’ per verificare la temperatura del forno. Piccolina, rotonda e alta con le fossette sulla superficie lasciate dai polpastrelli. Fossette strategiche per catturare il condimento. In origine era condita con olio e grani di sale grosso. In seguito fu aggiunto il rosmarino. L’olio veniva spesso sostituito con il lardo o addirittura con lo strutto spalmato. Strutto e rosmarino fanno la Crescia più buona del mondo! Usata come antico cibo di strada tagliata a metà e farcita. Con le foje o con i salumi. Possiamo prepararla facilmente a casa.

Se siete bravi e vi fate già il pane sono pochi i consigli che posso darvi: che sia alta almeno tre dita, che le fossette siano profonde e che il forno non sia ‘a palla’! La nostra Crescia deve rimanere pallida. Non deve abbrustolire e diventare troppo croccante. La vera Crescia è morbida e leggermente gommosa. Se non siete bravi, fate i furbi e chiedete al vostro panettiere di fiducia un po’ di pasta lievitata per fare del pane bianco. Conditela solo con grani di sale e un filo di olio extra vergine marchigiano. La Crescia è buona calda ma anche fredda.

Per le foje procedete così: ugual misura di spinaci, bietole, cicoria, cime di rape e erbe spontanee di campo. Potete comprarla solo qui nelle Marche, si chiama ‘cucina’. Se andate in un mercato rionale marchigiano e chiedete la verdura mista di campagna, quella che si raccoglie e non si coltiva, vi daranno la ‘cucina’. La ‘cucina’ deve essere ‘capata’ con molta cura e sciacquata a lungo. Cacigna, papole, grugnetti, alcuni dei nomi in dialetto di queste foglie selvagge, crescono molto vicino alla terra e ne sono praticamente intrise. Una volta ben pulite tutte queste verdure miste vanno sbollentate, appena, e ripassate nella padella di ferro con olio extra vergine, due spicchi di aglio in camicia ed un peperoncino rosso. I dosaggi di olio, aglio e peperoncino sono a piacere. Due varianti golose di queste foje sono la prima con l’aggiunta di una patata lessa schiacciata, la seconda con l’aggiunta di alcune fave fresche, prima lessate.

Tagliate a metà la vostra Crescia, farcitela con le foje trascinate e lasciatela a riposo qualche minuto. Se la Crescia nell’interno dove poggia la verdura è diventata verde è pronta per essere mangiata. Con i salumi vale lo stesso procedimento. Salumi a piacere: salame locale, prosciutto casereccio, lonza e lonzino affettati sottili e usati come farcia. Anche con i salumi la Crescia va fatta riposare un po’. Di solito non si mettono salumi e verdure insieme. Le verdure inumidiscono troppo il salume e il loro sapore piccante ne nasconde il sapore.

Esiste anche la versione sfogliata, molto più diffusa nella provincia di Pesaro Urbino. Si avvicina, come aspetto, alla piada romagnola. Ma è più spessa. Cotta sulla piastra rimane leggermente colorita in superficie. La tradizione la vede golosamente condita come la sorella maggiore di cui vi ho raccontato sopra. Contagiati dal suo aspetto più ‘piada che crescia’ potete osare formaggi morbidi locali in aggiunta alle verdure e ai salumi. Oppure anche misticanza fresca.

Questa stuzzicante e semplice ricetta marchigiana può essere un importante antipasto, un tutto pasto, una merenda o il centro tavola di un tipico pranzo marchigiano. Senza farcia la Crescia sostituisce molto egregiamente il pane bianco.

Carla Latini

 

Lezione di satira dall’irriverente Giorgio Montanini

in Cultura da

Giorgio Montanini viene definito “rappresentante della stand up comedy in Italia”, eppure basterebbe il termine italiano “irriverente”. La sua energia provocatrice fa mantenere alta l’attenzione del suo ascoltatore. La prima volta che lo captai in tv, proprio quella televisione a cui dall’inizio del duemila ho dato un ruolo minimale di oggetto di arredamento, mi catturò senza pietà. Sono andato a cercare chi fosse su Internet, per non perderlo di vista. Un’attenzione che ebbi per il sempre amato Blob di Giusti e Ghezzi. Oppure il mio essere fans di Piero Chiambretti, non sempre godibilissimo, ma ancora un ottimo animale televisivo. E chi altro aggiungere? Beh diverse cose, non tutte, della Gialappa’s.

In effetti, soprattutto in tv, la noia batte sempre la curiosità. Tu stesso ti sei soffermato attraverso una riflessione su Zelig, con una simile conclusione. E’ in crisi secondo te il mondo dello spettacolo o piuttosto è il monopolio della tv ad esserlo, a causa di produttori che tengono sotto scacco la maggior parte dei programmi?

<<Purtroppo il problema è molto più grave a mio parere, non è una questione di produttori…quelli sono la conseguenza, non la causa. Questo paese ha subito nel momento più delicato e vitale della sua breve esistenza, un imbarbarimento culturale che l’ha riportato a prima degli anni 50. Tutto inizia alla fine degli anni ’70 con il berlusconismo, che non è stato solo un “Berlusconi pensiero” ma un vero e proprio atteggiamento barbaro, cafone e mediocre dell’italiano medio. Le conseguenze, purtroppo, si sono abbattute anche e soprattutto sulla cultura. Siamo passati da Sergio Leone e Fellini a Moccia; da Troisi e Benigni a Brignano e Siani. A dicembre nei primi anni ’80 usciva al cinema “Non ci resta che piangere” adesso le parodie banalotte di Checco Zalone. Però credo che la storia sia ciclica, abbiamo toccato il fondo ma forse stiamo cominciando a risalire>>.

Parlavamo con il tuo collega Macchini di come le Marche sia diventata una regione che riesce ad esprimersi meglio con la comicità che con la musica. Insomma sono davvero comici i marchigiani oppure il nostro tipo di vita aiuta molto, per contrasto, ad essere ironici?

<<Piero Massimo non è propriamente un mio collega. Nel senso che facciamo due mestieri molto diversi: io sono un monologhista puro, lui è più un performer. I marchigiani sono comici? Non credo proprio. Sono l’unico comico marchigiano che ha superato i confini regionali e si sta affermando a livello nazionale. Neri Marcorè non porta la sua marchigianità e non è nemmeno un comico puro. E’ più un attore. Le Marche sono refrattarie al concetto di arte, almeno quella che viene dalla propria terra. Se sei romano, milanese o toscano le Marche ti accettano come attore, ma se sei marchigiano devi fatiga‘. Abbiamo un grosso complesso di inferiorità. I pochissimi comici marchigiani che conosco hanno tutti scelto una forte identificazione territoriale, imitano personaggi del territorio, ma questo li ha solo facilitati all’inizio, poi li ha ingabbiati in un provincialismo da quale è difficile uscire. La musica invece la fanno tutti, sfido qualcuno a non avere nemmeno un amico che suona in una cover band>>.

Mettendoti nei panni di uno spettatore, chi ci consigli in Italia come interpreti, non importa se del teatro, cinema o tv.

<<Come comici, consiglio i miei colleghi di “Satiriasi” e il genio di Corrado Guzzanti. Su cinema, tv e teatro, al di fuori della comicità, non mi esprimo. Rischierei di fare le figuracce da ignoranti come quelle che fa spesso il pubblico non conoscendo l’argomento di cui parla>>.

Istruzioni per assistere ad un tuo spettacolo: è sufficiente ascoltare o è necessario la complicità?

<<Ascoltare con attenzione è un atto di complicità. Se invece ti riferisci anche all’empatia, sicuramente sì. Sono un comico, faccio ridere, non sono un filosofo. Non si può prescindere dall’empatia e dal rapporto che si crea col pubblico, anche di contrapposizione come capita a volte, ma è la vittoria della satira in quel caso è non lasciare nessuno come lo si è trovato prima dello spettacolo>>.

Del tuo essere marchigiano cosa vorresti proteggere e cosa buttare?

<<Ti rispondo parafrasando un monologo di Danny DeVito in The Big Kahuna “Vivi a Roma per un po’, ma mollala prima che ti indurisca. Vivi nelle Marche per un po’, ma mollale prima che ti rammolliscano”. Le Marche sono una regione speciale, forse tra le più belle in assoluto e con una qualità della vita tra le migliori del mondo. Purtroppo soffrono di un provincialismo esasperato del quale risentono anche gli artisti che si radicano sul territorio. Nelle Marche ti crei il tuo circoletto, non esci più di casa e non ti confronti più con nessuno. Muori e non te ne rendi nemmeno conto. Roma invece ti aggredisce, alla fine la odi e scappi via. Le Marche ti fregano, sono come il monossido di carbonio. Le Marche sono la regione più bella, le amo infinitamente ed è qui che voglio vivere. Ma ringrazio il mio lavoro che mi porta per il 70% del tempo fuori regione e a confrontarmi con realtà un po’ più complesse>>.

Ogni mese scegliamo un termine su cui filosofeggiare a Tyche. Questa volta tocca a ARDORE: cosa ti fa venire in mente?

<< Per un attimo ho riguardato il nome della persona che mi intervista per verificare che non fosse Marzullo. Sono un passionale, se non avessi un fuoco dentro non potrei mai fare un lavoro così straordinariamente bello come questo, ma al tempo stesso micidiale e assassino. Per quanto mi riguarda, l’ardore e l’amore che inoculo quotidianamente nel mio mestiere, sono il vaccino a tutti i virus con i quali questa vita cerca di infettarti. Se non bruciassi dentro, forse sarei già morto pure fuori. Solitamente in questo modo però, si campa anche meno. Quindi sbrigatevi a venirmi a vedere>>.

La mia impressione? Mi spaccio telefonicamente per Nanni Moretti, a causa delle mia voce e mi ritrovo ad essere un mezzo Marzullo. Vuoi vedere che questo Montanini oltre ad essere un gagliardo mattatore è pure un mago?

Kruger Agostinelli

Martedì 14 Montanini sarà ospite de La Punta della Lingua a Portonovo. Più info qui.

 

Enopolis, un chiostro per Beppe nel cuore di Ancona

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Enopolis, ad Ancona, si sviluppa su tre piani sotterranei. Suggestivi e intriganti. Giuseppe Bianchi, che ha fatto crescere l’enologia marchigiana nelle Marche ed in Italia in quasi 30 anni di appassionato lavoro, ne è il patron. Nonché l’oste. Perché da Enopolis, oltre a degustare vini, bolle, distillati e le ultime scoperte di Bianchi in campo di bio/biodinamico e non filtrato, si mangia a pranzo e a cena. In cucina c’è Fabio Scuotto. Un cuoco napoletano che ha reso ancora più saporito e colorato il menu. Rivedo Giuseppe Bianchi con grande piacere. Ci conosciamo da 25 anni.

La prima impressione, arrivando a Enopolis, è che sembra di non essere più “in”Ancona. Il chiostro fa pensare all’entroterra. Ai nostri splendidi paesi arrampicati sull’Appennino. Verrete accolti da un grande bancone stile osteria. Molto caldo ed elegante. Sulla sinistra, dopo due tre scalini in salita, c’è il ristorante di “tutti i giorni”. Sulla destra si comincia a scendere. Un occhio alla cucina e ad una piccola sala e poi giù in un labirinto di cantina, in un piacevole fresco e in un buio discreto, illuminato con intelligenza. In questo dedalo di sale ci sono scaffali e casse di vino. Le annate e le etichette più belle. Un tesoro nascosto, in bella vista, in cantina. Tavolini spartani, non chic come sopra, testimoniano lunghe serate di degustazioni e cultura. Ho scritto bene cultura. A Giuseppe, detto Beppe (e da qui in poi sarà Beppe), uno dei primi sommelier del territorio, si deve riconoscere di aver portato nelle Marche i vignaioli più importanti e visionari d’Italia e del mondo. Ma, soprattutto, di aver fatto crescere quelli marchigiani. I miei primi verdicchi li ho bevuti con lui e da lui. I miei primi brunelli anche. Beppe ha saputo coniugare, senza infastidire, il commerciale e il culturale. Il suo primo posto, non a caso, si chiamava Ancona Vini.

Il salto con Enopolis, coraggioso pensando alla città e non me ne vogliano gli anconetani, risale al 2000. Ma torniamo alla cucina. Ho scambiato due parole con Fabio mentre mi faceva vedere come cucina e serve gli spaghetti al pomodoro (li scola e li porta a tavola sconditi insieme a olio evo, un monovarietale di Paolo Berluti della Calcinara, e ad una padellina di pomodoro con basilico. Un gioco da condire insieme a del “fossa” da grattugiare). La cucina di Enopolis, mi dice, è soprattutto di mare, Beppe va al mercato del pesce due volte al giorno e prende il meglio che trova. Quindi ricciola appena scottata, sarago al forno, gallinella di mare in guazzetto. Ma anche baccalà e stocco come vuole la tradizione. Non mancano crudità dell’Adriatico. Mentre parlo con Fabio, Beppe ci fa assaggiare un Cavalieri non filtrato. Decisamente insolito ma degno della sua continua ricerca. Fra i primi mi colpiscono i cappelletti in brodo e i passatelli con fonduta di pecorino di fossa. Bellissima idea. Insieme agli immancabili tagliolini con cozze e vongole. In tavola il pane a legna di Varano.

Prima di andare, non resisto, e chiedo a Beppe quali sono adesso i suoi preferiti, oltre a Cavalieri che ho capito che è un mito per lui. Mi risponde: <<l’eterno Villa Bucci, L’Insolito di Vicari, il Bacco di Coroncino>>. Enopolis è alla fine di corso Mazzini ad Ancona, tel. 071 2071505. Questa estate sarà un piacere bere e mangiare in cantina oppure fuori nel chiostro. Dipende da quale “fresco” preferite!

Carla Latini

Alessandro Scorsone direttore d’orchestra in una verticale di Utopia, un grande Verdicchio

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Alessandro Scorsone è il sommelier italiano più conosciuto in Europa. Un professionista che si sposta solo per passione. Il pubblico profano lo conosce bene perché diverse trasmissioni televisive (Uno Mattina, La Prova del Cuoco, Linea Verde) lo invitano spesso a parlare di vino. Mi fa piacere scrivere di lui. L’ho rivisto ad una verticale (degustazione dello stesso vino prodotto dallo stesso produttore in annate diverse, ndr) di verdicchio un paio di settimane fa. In collaborazione con i suoi colleghi marchigiani. Scorsone ama le Marche ed il verdicchio da sempre. Convinto che sia il vitigno bianco più longevo e importante d’Italia. Il percorso con lui è facile e poetico. Anche se non sei un sommelier, anche se, detta dal cuore, non ci capisci niente, con lui, piano piano, impari. Con grande piacere.

verdicchio utopiaQuella sera a Jesi siamo partiti da un 2011 per arrivare ad un 2007. Stessa terra, stessa vigna. Stagioni e raccolte diversi. La bellezza della terra che ritroviamo, generosamente nel vino. Perché il vino, sottolinea sempre Scorsone, si fa in vigna. Poco servono le alchimie degli enologi. Se la vigna è sana il vino è buono. Poi intervengono altri fattori, piccoli segreti di lavorazione. Temperature e conservazione. Il 2011 che beviamo è giovane, fresco. Piacevole. Finisce subito dentro i nostri bicchieri. Alessandro ci invita a tenerlo ancora un po’ perché ora c’è il confronto con il 2010. Che ha più sostanza. Ha perso un po’ di freschezza per guadagnare un profumo più persistente. Che sarà intenso nel 2009. Ancora di più nel 2008. Qualcuno non apprezza la complessità di questo 2008. Troppo difficile? A questo punto e prima di stappare la ‘chicca’ 2007, Alessandro legge le schede scritte per 2008 e 2007 dall’Ais ai suoi tempi. Schede valide ora per il 2011. Molti profumi freschi sono andati persi per far spazio a profumi maturi. Questi rimarranno a lungo. Il 2007 è un vino ancora in crescita. Ma fino a quando è giusto conservare un vino bianco? <<Finché lui continuerà ad avere qualcosa da dire>>.

L’applauso finale è sincero. E’ bello inseguire il naso di Alessandro Scorsone. I vini che abbiamo assaggiato sono quelli dell’Azienda Montecappone e Gianluca Mirizzi il padrone di casa. Bella serata da ripetere con un’altra strada da percorrere: verticali annata per annata fra aziende dello stesso territorio che sia Jesi o Matelica. Io ci sarò. Prenotatevi in tempo.

Carla Latini

Jacopo Fo: “Sappiamo far ridere anche se siamo circondati da figure tristi”

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Jacopo Fo, lo racconterà nell’intervista qui di seguito, ama le Marche, la sua gente ed i suoi ritmi. In effetti lo abbiamo visto passeggiare per le stradine di Civitanova Marche con tranquilla piacevolezza, prima del suo intervento a Rive Festival. Una sorta di turista che ama mischiarsi nelle abitudini della gente del posto. E dire che ci viene in mente quella Annalisa, una delle tante figlie televisive legittime della Maria De Filippi, che nella stessa città ebbe a dire <<preferisco non andare per strada altrimenti mi riconoscono e non mi lasciano andare>>. Ironia della sorte Jacopo riabilita quelle, come lei, che vengono dai “talent” che <<in fondo tenta di evidenziare i pregi artistici o perlomeno le predisposizioni dei vari concorrenti>>.

Kruger Agostinelli Jacopo FoLavori con parole e pensieri. Per te è più importante una parola o un pensiero?

<<Tutte e due, perché parlare senza avere idee è un po’ drammatico e lo stesso vale quando si hanno idee e non si esprimono>>.

Sei un’artista poliedrico. Quale piattaforma prediligi?

<<Mi piace comunicare, in genere. Dal corso di Yoga demenziale che faccio alla Libera Università di Alcatraz al teatro. Ho iniziato facendo la guida ambientale ai ragazzini delle scuole. Lo faccio ancora. Probabilmente la sfida più grande è riuscire a catturare l’attenzione dei giovanissimi per più di otto minuti e mezzo. E’ stata la mia prima “scuola professionale”. Il teatro è venuto poi, ma è un’esperienza totale: devi preparare i costumi, scrivere. Artisticamente invece sono partito come fumettaro. Con il disegno ho un legame particolare>>.

Parliamo di ironia. Gli italiani sono ironici?

<<Mah, ci sono per fortuna parecchi italiani che amano la satira e ridere, altri che sono di una tristezza sconfinata. Sicuramente siamo un popolo che ha una grande tradizione del comico, probabilmente un nostro punto di forza. Però poi se non avessimo tante figure tristi non avremmo tutte quelle difficoltà che abbiamo oggi>>.

La domanda sul “sono il figlio di”. Cosa comporta “essere figli di” a livello artistico?

<<Resta nella tua storia. Io ho avuto la fortuna di essere figlio di persone famose non imbecilli. Sono cresciuto con persone con un profondo livello di umanità, di gentilezza, che mi hanno trasmesso il valore del lavoro, il senso di professionalità, il dover portare a termine le cose che si vogliono fare, di mantenere la parola data. Poi, il senso dell’onore. Cose che a sinistra sono sempre state un po’ schifate ma nella mia famiglia sono state colonne portanti. E’ importante dare un senso alla vita>>.

Che rapporto hai con le Marche?

<<Ho tantissimi amici nella zona e ho fatto anche vacanze sul Conero. Siete molto cortesi e avete una civiltà che ha una storia millenaria>>.

Anche se siamo stati sotto il Papa un po’ troppo.

<<Quelli sono stati dei passaggi dolorosi (ride), avete sofferto quando avevate dei Papi un po’ terribili. Oggi abbiamo un Papa rivoluzionario, ecologista, che dice che per fermare il terrorismo bisogna fermare la miseria e il sottosviluppo del terzo mondo>>.

La parola del mese di Tyche Magazine è ARDORE. Se ti dico ARDORE cosa ti viene in mente?

<<Oggi la malattia di tantissimi italiani, e giovani in particolare, è la mancanza di ardore. La scuola non insegna più la passione, la Tv non sprona ad appassionarsi. Ci sono solo Talent, che comunque sono un passo in avanti rispetto agli altri programmi. C’è un progresso tra un’Isola dei Famosi che seleziona le persone per loro grande imbecillità e un format che chiede alle persone di mostrare i propri talenti. Vedo che milioni di italiani vivono in una situazione di disperazione, ma stanno succedendo cose importanti in Italia e nel mondo. Basta pensare che noi siamo uno dei paesi al mondo con il più alto numero di volontari e che, secondo una statistica di cui si parla poco, una famiglia italiana su cinque ha adottato un’altra famiglia. Cosa sarebbe stata la crisi in termini di disastro umano senza questo esercito di persone che hanno donato amicizia, tempo, denaro, affetto, ascolto alle persone in difficoltà?>>

Insomma un incontro in cui pensieri e parole sono belli quasi quanto una canzone di Lucio Battisti.

Kruger Agostinelli

Foto Federico De Marco

I panini del Furgoncino al gusto di musica da Mina ad Elvis

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Collaudato ormai da diversi anni, come formula magica di street food, il Furgoncino si concede alle piazze marchigiane lasciando alle spalle settimane di Expo ed eventi in giro per l’Italia. Ho beccato Carlo Betti e la sua Laura, in una settimana, ben due volte. La prima a Pesaro, durante un Festival dedicato proprio al cibo di strada, e l’altra nella mia ridente cittadina, Osimo. Potevo mancare? Potevo non fare della meritata “ola” a questo signore dalla vita spericolata e ad alla sua bella dama? Giammai. Quindi eccomi qua, qualche minuto prima che la bolgia umana lo assalisse con le sue numerose richieste. Tassativo: Carlo Betti non cambia ricetta. Il panino è quello e quello rimane. In apparenza sembra burbero e tanto personaggio piratesco. Poi diventa buono come un suo panino. Laura sorride compiacente e Carlo accontenta, mal celando il disappunto, il cliente esigente. Capita di rado, però, perché i suoi panini sono assolutamente equilibrati. I sapori decisi, le verdure croccanti, carni e pesci ben definiti e di ottima qualità. Formaggi da urlo. Sono quelli di Vittorio Beltrami di cui un giorno vi racconterò.

In linea con il claim pane, vino e rock and roll, oltre alla scelta della musica (Carlo viene da un passato di Dj intensamente vissuto), i panini portano il nome dei suoi cantanti e musicisti preferiti. Ho assaggiato per voi (ebbene sì mi sono sacrificata per poterlo raccontare dal vivo) Mina, Califfo, Elvis, Johnny Cash e Moana. Mina e Elvis sono quelli che fanno parte del club né carne né pesce. Vegetariani ma non vegani. Nel primo c’è della saporita scarola saltata con un nuovo formaggio che si chiama “Stallone”, olive taggiasche (vere!) e pomodorini secchi. Elvis contiene invece mozzarella di bufala, lattuga fresca, zucchine rosolate e pomodori. I carnivori della notte avranno la loro più gaudente soddisfazione con Moana: porchetta, peperoni e senape: una bomba! Anche Johnny Cash non se la passa male: prosciutto crudo, gorgonzola e senape. Racchiuse dentro Califfo ci sono delle cipolle stufate ad arte, delicatissime, insieme acciughe sott’olio, pecorino e senape in grani.

Avrete capito che sono pressoché entusiasta dei panini rock di Carlo e Laura. Li definisco panini da chef. Anche se Carlo non è Mauro Uliassi. E non ci pensa per niente ad esserlo. Seguite il Furgoncino su facebook. Non quello di una nota marca di formaggio con i buchi che ha pensato bene di ispirarsi al Furgoncino di Carlo per il suo ultimo spot pubblicitario. Fateci caso…

Carla Latini

Tyche Live, dai 45 giri di Michele Pecora a Chimena Palmieri e Roberto Ghergo

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Ecco il terzo Tyche Live. Tra gli ospiti della nostra redazione c’è Michele Pecora. E’ un piacere per me incontrarlo qui. Mi ricordo che vendetti quasi a peso, talmente sono stati, i suoi 45 giri di “Era lei” a Falconara Marittina, nel mio Disco Fantasia. E proprio da lì siamo partiti nel live, con un doveroso ricordo poi un nostro caro amico che ora non c’è più: Cenzino, del Disco Story di Civitanova. Ma non si vive solo di ricordi ma soprattutto di musica e di tutto ciò che essa rappresenta nella vita di ognuno di noi. Sulla stessa linea d’onda anche l’altra faccia delle note in studio, il possente Roberto Ghergo: un po’ cantante, un po’ interprete, nel sottile confine che rende affascinante il palcoscenico per le sue eterne ambiguità. Al lato, la preziosa presenza di Massimo Saccutelli alle tastiere, un ottimo trait d’union fra gli artisti. Infine, e non ultima, Chimena Palmieri, scrittrice per volontà che vanta al suo attivo un libro su Ligabue. “Luciano” come dice lei: l’uomo e non necessariamente il musicista. Ed un nuovo stimolante lavoro intitolato “Raval” che cerca di prendere il volo nelle complicate strade dell’editoria. Una trasmissione che vi riproponiamo in replica video, un’ora in cui ascolterete, rigorosamente live, una versione brivido di “Occhi di ragazza” eseguita magicamente da Michele Pecora. O una piacevole “cialtronata” di un remake divertente in italiano di una hit dei Queen da parte di Roberto Ghergo. Tra i fuori onda, abbiamo saputo che Pierangelo Bertoli cantò per pochi intimi una versione acustica di “Era Lei”. Ma, purtroppo, non ne è rimasta traccia. Ma c’è il desiderio di Chimena di riproporre questo inedito attraverso il figlio di Pierangelo, Alberto Bertoli, di cui lei è amica. Ovvero facendolo cantare a lui. Insomma contaminazioni in questo happening “Tyche Live” che cercava un’anima per esistere ed ora sente pure suonare tanti cuori che raccontano le loro emozioni, spesso nascoste. Grazie davvero.

Kruger Agostinelli

Foto Federico De Marco

#TycheLive

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