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Fratelli Cavallini sorsi e bocconi fra tipicità locali e gustose intuizioni

in Senza categoria da

A San Severino Marche, in centro, c’è un ristorante che merita una fermata, anzi due, una a pranzo e l’altra a cena. Luca Cavallini in cucina e Simone in sala trasmettono passione, competenza e allegria. Che non bastano mai. Come potrebbe non bastare un pranzo ed una cena per capire tutto di quest’esperienza, assolutamente da fare. Il Cavallini è al primo piano di un elegante palazzo in via Bigioli al numero 47. Un pianerottolo divide la sala dalla cucina a vista. Sbirciando potrete vedere Luca con indosso uno dei suoi bizzarri cappelli. Luca, che sembra molto più giovane dei suoi 45 anni, è in cucina da sempre. Il Cavallini è lì da quando c’erano i suoi genitori. Luca e Simone scrivono e dicono che hanno creato il locale che piacerebbe loro frequentare. Rinnovato da poco, è bianco candido ma non freddo. Accogliente e avvolgente. Il menu arriva a tavola su una lavagna bianca posta su un tavolino con le rotelle. La cornice è di madreperla. Molto chic. Mette allegria.

Nel menu le Marche brillano con tutti i loro prodotti, dal mare, alla terra. Ma Luca ama anche contaminare. E lo fa con una grazia innata. Che si sente attraverso i suoi piatti. Dietro consiglio di Simone ho assaggiato il crostone con le alici del Cantabrico, l’insalata tiepida di mare e i paccheri con il baccalà. Per il vino ho lasciato fare a lui e mi sono divertita a provare due bianchi che sta per mettere in carta. Nulla di marchigiano: un grillo dalla Sicilia ed un blanc de blancs dall’Alto Adige.

La carta dei vini rispecchia Simone ed i suoi gusti. Non è una carta “ruffiana” ma una carta da esplorare. Il grillo con le alici canta! Il crostone di pane fatto in casa, spesso più di due dita, croccante e saporoso di delicata cipolla, si rompe nel verso dell’alice e diventa un unico boccone. L’insalata tiepida di mare è tiepida veramente. Verde di misticanza varia e croccante con calamari appena scottati e delle sottili fette di mela verde con la sua buccia. Su tutto un olio evo locale. Mi piace lasciarmi trasportare da sapori forti e dolci insieme. Un po’ di frutta secca in fondo al piatto fa da trait d’union con tutto il resto. Ed ora tocca al Blanc de Blancs con il baccalà che condisce i paccheri. Insieme ad una minuscola dadolata di carote, sedano, cipolla. Il tutto completamente candido. Senza pomodoro. Un piatto ricco e molto gustoso.

Fra un sorso e un boccone dico a Simone che vorrei fargli una foto con il fratello. La sala è piena e sta correndo fra una comanda e l’altra. Mi guarda con un punto interrogativo sulla fronte. Sorrido. <<Faccio subito, non ve ne accorgerete nemmeno>>. Prima prendo un caffè. Ricerca anche qui: Jamaica blue mountain di Giada. Appena finisco il caffè, Luca esce dalla cucina. E’ ridente ed accaldato. Occhi che brillano. È appena rientrato dalle ferie che ha passato con la famiglia in Provenza. Parliamo di lì. Ci sono stata da poco anch’io. Soliti luoghi comuni che non sono più tali ormai. I francesi sono bravi a vendersi, non c’è nulla da dire. Ma da qui a dire che si mangia bene siamo proprio lontani. Concordo con Luca. <<La foto? Mi vado a togliere il cappello!>>. E invece si presenta con il cappello che vedete in foto. Li becco al volo!

Voglio tornare con calma a cena. E assaggiare altre cose buone a menu. C’è un piccione notevole e altri antipasti da valutare. Come potrebbe essere il banalissimo prosciutto e melone preparato dalle mani di Luca? Che vino abbinerebbe Simone? Alla prossima! Intanto andateci voi e telefonate (0733/634608) prima. È sempre pieno.

Carla Latini

Sarà perché…sono i Ricchi e Poveri, record allo Shada e intervista con Tyche

in Eventi/Shada Civitanova da

Ricchi e Poveri sul palcoscenico e tutti i record del venerdì dello Shada da tre anni a questa parte sono stati superati. Una meritata soddisfazione per la nuova gestione di Alberto Cruciani e per Aldo Ascani, direttore artistico di “Legati ad un granello di Sabbia”. Una rimpatriata per vecchi fans? Assolutamente no, un pubblico bello ed assortito. Per dare l’omaggio ad Angela, Franco ed Angelo c’era una platea di giovani creativi della moda e noti imprenditori provenienti da tutta la regione. Volti conosciuti della Rai e naturalmente una fetta di fedelissimi. Il risultato è stato davvero divertente. E loro? Indomabili sul palco. Il resto lo scoprirete in questa intervista che pubblichiamo di seguito. Un grazie ai colleghi Stefano Fabrizi e Marco Chiatti, graditi complici in questa (spero) gradita chiacchierata.

Kruger Agostinelli

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La Pesca Saturnia e lo chef Michele Biagiola, sintonia al primo morso

in Mangiare e bere da

 

La Pesca Saturnia, soprannominata da appassionati a addetti ai lavori la Rolls Royce delle pesche, prodotta in via esclusiva dalla azienda Eleuteri di Civitanova, sulle colline maceratesi, è stata protagonista in un intero menu dello chef Michele Biagiola del ristorante Le Case di Macerata. Il laboratorio ha coinvolto un ristretto numero di addetti ai lavori: oltre allo chef e “all’ambasciatore” della Pesca Saturnia Marco Eleuteri, erano presenti Francesco Annibali, giornalista enogastronomico; Ugo Bellesi, giornalista e grande gourmet maceratese, presidente della sezione locale della Accademia Italiana della Cucina e la fotografa civitanovese Monica Palloni. Ad aprire il menu quell’Orto nel Piatto che si è guadagnato persino la lode di Gianni Mura sulle colonne di Repubblica. La Pesca Saturnia in questo caso è andata a sostituire la zucca di base. Un fondo delicatamente fruttato per la piccola enciclopedia di erbe aromatiche poste a rifinitura. Un piatto che è una sorta di testamento culinario, una dichiarazione di profondo amore dello chef verso il mondo vegetale. A seguire Scampi crudi di Civitanova con pizzaiola di Pesca Saturnia. Un “solo materia prima” che ribadisce la complicità tra la pesca e i crostacei più pregiati e che riesce ad essere anche un’interpretazione ‘campagnola’ di un piatto di pesce, con i fiori e l’origano sempre in primo piano. Dal lusso degli scampi all’esaltazione della cucina umile, ma senza nostalgia e retorica, nel Brodo di Pesca Saturnia, peperoncini, capperi e portulaca. Erba spontanea, carnosa. Un ingrediente povero per eccellenza. Il risultato è stato forse il piatto migliore del viaggio, un’esplosione piccante e vegetale in prospettiva fruttata, fatta di contrasti e tinte forti. Se gli Spaghetti alla puttanesca di Pesca Saturnia con alici, acciughe e olive taggiasche mostrano, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la potenza e la complessità aromatica – veramente unica – del frutto, capace addirittura di stemperare il sapore violento delle acciughe mantenendo una forte nota minerale al piatto, le Costarelle di maiale alla brace con Pesca Saturnia spingono sulla gola: piatto poco tecnico, lussurioso e antiborghese. Quello che ho scelto nella foto qui sopra. Finale sul velluto, con la Crema bruciata, Pesca Saturnia e basilico. Al servizio e agli abbinamenti del sommelier Matteo Magnapane, capace ormai di giocare sui sapori mantenendo sempre coerenza e riuscendo a non distrarre l’attenzione della centralità del piatto, va una nota di merito per il Riesling Trocken (ovvero secco) 2014 di Dr. Loosen, mostro sacro del vino tedesco, abbinato alle costarelle: un binomio semplicemente perfetto. Come vi ho già scritto, il menu potrà essere degustato (forse con alcune varianti) anche venerdì 31 luglio a cena, sempre alle Case, ad un prezzo promozionale. Tenetevi aggiornati.

Carla Latini

 

 

 

Futura2015: dal capitalismo dei Beatles al marketing di Cleopatra

in Arte/Cultura/Libri da

Il futuro si declina anche guardando al passato. Dai miti e dalle figure della storia, come Cleopatra e Dante, fino all’iconologia del presente, da quei quattro ragazzi di Liverpool che poi sono diventati famosi con il nome di Beatles. Il sabato del Futura Festival, a Civitanova, ha visto il suo apice la sera in piazza della Libertà, dove sono saliti sul palco prima il giornalista Federico Rampini, poi Michele Mirabella, autore, conduttore televisivo e divulgatore, grande conoscitore dei Classici. Entrambi protagonisti assoluti, con un’energia coinvolgente.

<<Cito Steve Jobs: i Beatles sono il mio modello di businnes>>. Da “Here comes the sun”, speranza per una ripresa economica, a “Yesterday”, che <<oltre alla nostalgia di un amore perduto si potrebbe estendere all’economia e al fatto che si può pensare di non vivere in un paradiso terreste>>. O “When I’m Sixty-Four”, <<emblema di quell’invecchiamento della popolazione>> che innesca scenari preoccupanti. Federico Rampini presenta un tema complesso, che ruota intorno alle regole dell’economia, in modo dinamico e accattivante, prendendo spunto dal gruppo di Liverpool. Mordendo pure quella mela di Apple per rendere amica di tutti un’economica <<troppo spesso religione esoterica, sequestrata dai teocrati>>. Ovviamente si parla anche di attualità, della Grecia e del suo rapporto con la Germania: <<In questa vicenda non ci sono buoni e cattivi – risponde il giornalista ad una domanda del pubblico -. Ci sono prevalentemente cattivi ben distribuiti in tutti i campi. Attenzione però a non trasformare l’intera Grecia in un paese di martiri innocenti>>. E come superare, se superare, il capitalismo, gli chiedono dalla platea? La replica. <<Da giovane ho creduto anche io ad una possibile fuoriuscita da questo sistema. Oggi non penso sia attuale, dal momento che ho visto crollare tanti sistemi socialisti. Cuba, pur avendo un’isola rigogliosa, importa l’80% della produzione. Bisogna quindi aprire gli occhi. Penso però che il capitalismo può cambiare e ci sono state diverse forme di capitalismo migliore nella storia. L’Inghilterra dei Beatles era capitalismo, gli Usa dei Kennedy era capitalismo>>.

Michele Mirabella dopo “Cantami o mouse” svela che sta preparando una nuova pubblicazione, che si intitolerà “Il file di Arianna”. Il suo modo di raccontare è davvero unico. Parla di letteratura, anche se ammette che <<gli italiani leggono poco. Sarà che sono intenti a scrivere troppi libri>>. Diversi i miti narrati. Come Cleopatra, <<donna cha ha inventato il marketing: dal suo modo di presentarsi a Cesare fino al modo in cui ha programmato il suicidio: come una moderna telenovela!>>

Tra gli ospiti, da segnalare anche un interessante intervento di Gilberto Corbellini, professore ordinario di Storia della Medicina e docente di Bioetica. <<Il progresso? E’ come il potere. Lo critica chi non ce l’ha. L’Italia ad esempio è ferma da dieci anni>>.

Non perdetevi oggi alle 18 la Lectio di Paolo Flores D’Arcais e alle 21.30 l’incontro con il grande scrittore David Grossman. Futura si riposa lunedì e martedì e ripartirà mercoledì. Per tornare ad indagare sul cambiamento.

#TycheFutura

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Maccheroncini al fumè, una ricetta dove vince la confusione culinaria

in Senza categoria da

 

Nulla a che vedere con i celebri fratelli di Campofilone, nulla a che vedere con nostalgiche cucine rurali o quelle della mamma. I maccheroncini al fumè sono uno dei simboli storici dell’evoluzione della cucina degli anni settanta/ottanta in Italia. Una cucina che non ha lasciato un’identità precisa. Ma oggi li celebro come una vera e propria ricetta. Non ce ne sono di originali e codificate tipo: nell’amatriciana non va né aglio e né cipolla; nel pesto non va il burro, e così via. Qui regna sovrana la confusione e la contaminazione più totale. Il buon senso mal applicato. Ma sono buoni. Se fatti bene, buonissimi. Alla fine degli anni ’70 erano il primo piatto che componeva un menu, assolutamente spontaneo, denominato le 3P. Ovvero, pasta, pizza e patate. Le 3P erano prerogativa del “mangiare fuori” di ogni parte d’Italia. Sulle coste marchigiane, oltre al fumè, confidenzialmente chiamato così dagli affezionati, c’erano la pizza ai frutti di mare (una novità assoluta per quegli anni) e le patate fritte. Un giovanissimo cameriere, ora cuoco di fama mondiale (non vi dico il nome per ovvi motivi di privacy e perché lo conoscete tutti troppo bene), mi diede una ricetta, una delle tante, del fumè. Per me, diciassettenne golosa, divenne da subito “L’Originale”. Prevedeva per 4 persone 320 grammi di maccheroncini di semola di grano duro, 200 grammi di pancetta affumicata, 300 grammi di passata di pomodoro, 200 milligrammi di panna da cucina, parmigiano, sale e peperoncino in polvere. Il giovane cameriere già “profumava” di stelle perché in questa ricetta non c’è olio evo. Per condire, mi diceva, bastano il grasso che lascia la pancetta e la panna. Il giovane cameriere dai ricci scomposti (tutte le ragazze volevano essere servite da lui) scrisse su un foglietto, che conservo gelosamente, così: prendi una padellina di ferro e fai soffriggere, fino a farla diventare croccante la pancetta tagliata a fiammiferi (l’attuale julienne). Togli dalla padella e conserva. Nella stessa padella, unta del grasso rimasto, fai cucinare a fuoco forte (erano tempi in cui si sobbolliva per ore!) per qualche minuto la passata di pomodoro con il peperoncino in polvere e il sale a piacere. Unisci la pancetta e la panna a fuoco spento. Mantieni in caldo. Scola i maccheroncini al dente e mescolali nella padella con il condimento, sempre fuori dal fuoco. Unisci il parmigiano grattugiato in abbondanza.

Bella e molto attuale non vi pare? Se considerate che stiamo parlando di una ricetta di circa 35 anni fa. Nel tempo, facendola, ho capito che, come volevasi dimostrare, se gli ingredienti non erano assolutamente eccellenti e di qualità, il pomodoro rimaneva troppo acido, la pancetta sapeva troppo di bestia, la panna era troppo grassa e copriva il sapore di tutto. Così persi di vista “L’Originale” e mi feci corrompere da chi soffriggeva la pancetta nell’olio evo con la cipolla e il peperoncino, sfumava con vino bianco, addirittura con la vodka, aggiungeva il pomodoro e faceva cucinare a lungo. Alla fine solito procedimento con panna e parmigiano. Poi il ritorno della pasta artigianale trafilata al bronzo permise a qualcuno di eliminare la panna. Io fui una delle prime! Poi via la pancetta affumicata per lasciare spazio allo speck. Scandalizzati? Provateci e poi mi saprete dire. Con lo speck va via anche il peperoncino. Per lasciare spazio alla paprika piccante. Sempre senza olio e sempre con lo stesso procedimento del mio cameriere con la bandana. Cotture separate e speck croccante. Ho indagato fra una pulizia del viso ed una manicure dalla mia estetista. Ognuna ha il suo fumè. Chi mette addirittura il burro. Chi al posto della cipolla, l’aglio. Chi insaporisce con origano o salvia. Chi con maggiorana o basilico. Un fumè per ogni stagione. E chi non ama sentirsi “affumicato” preferisce la pancetta naturale o un ottimo guanciale.

Ed ora, voglia di fumè saltami addosso! L’importante è che nell’insieme gli unici ingredienti evidenti siano le julienne di pancetta croccante e i maccheroncini. Il resto deve essere solo un invitante e gaudente amalgama da raccogliere con due, tre maccheroncini per volta. Vi concedo la panna, che sia fresca però!

Carla Latini

Chimena Palmieri, sette notti “da sogno” con Ligabue

in Cultura/Libri da

Chimena Palmieri, anconetana, ci racconta che è stata precoce nel leggere e scrivere: aveva appena quattro anni. Una passione che non l’ha mai abbandonata. Poi l’opportunità del primo libro edito per la Sonzogno che dal titolo potrebbe trarre in inganno. “Sette notti con Liga”. Una fan del cantautore emiliano che tratta il suo mito semplicemente come uomo. In sette racconti in cui costruisce situazioni surreali ma anche ironiche e velatamente disperate. Un taglio sorprendente e ricco di intuizioni. Poi, durante una visita alla nostra redazione, ci racconta del suo libro in attesa di pubblicazione, “Raval”. Un’attenta chiacchierata per comprendere come sia difficile nutrire la propria passione di scrivere. Ed ora speriamo di leggere a breve delle parole scritte da Chimena per Tyche Magazine.

Kruger Agostinelli

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da Errico la cucina strappa un sorriso, tra birra e…baccalà

in Mangiare e bere da

E’ raro vedere decine di giovani affollare ristoranti stellati. I motivi, vari ed eventuali, sono facilmente comprensibili. Succede però che Errico e Ramona (ristorante Andreina a Loreto) ci riescano. Succede che le loro feste d’estate siano “feste giovani”. Bagnate da una birra eccellente che rende l’atmosfera più frizzante. Sono stata alla finale di “Cucina da Errico”. Peccato non aver seguito le altre ‘puntate’. Ogni concorrente partecipa con il suo tifo personale. La formula sembra semplice ai non addetti ai lavori. In realtà solo due professionisti come Errico e Ramona possono avere le capacità tecniche per reggere una “singolar tenzone” come questa. Tornate con me dalla parte degli spettatori, che è meglio, e lasciamo Errico in cucina con i 5 finalisti.

In giardino l’aperitivo di benvenuto profuma di fritto, delicato, di hamburger in piccoli e morbidi panini, di fresche composizioni di frutta e verdura. In fondo qualcuno stappa con stile e nonchalance una birra molto buona che si chiama, Kukà. Matteo Bora (il produttore) mi racconta che piace molto ai cuochi perché si abbina bene. La trovo perfetta per la serata. Frizzante al punto giusto. E rinfrescante. Perché fra poco i cuori dei partecipanti saranno molto caldi. Il cuore del cuoco batte forte in cucina, accanto ai fuochi. Ci sediamo nell’altro giardino, quello grande sul retro. Conto le tavole imbandite da 10 sedute ognuna. Evito di fare le moltiplicazioni del caso e mi lascio contagiare dall’allegria e dai toni accesi degli spettatori. I tifosi di cui vi ho scritto all’inizio. Cominciamo con l’antipasto e con Massimiliano Vallesi: insalatina di cappone con dadolata di patate al mosto cotto e scorza di arancia. La giuria scrive la sua valutazione in silenzio. Al mio tavolo il giudizio è unanime: molto buono. Francesco Marcone propone: baccalà su vellutata di topinambur con porro e pepe di Sichuan. Solito silenzio della giuria. Noi apprezziamo con mucho gusto. Questo piatto fa parte delle mie preferenze. Sara Sguerri ha una ricetta da ben equilibrare: capesante su cipolle di Tropea e crema allo zafferano. Ci aspettiamo in bocca troppa dolcezza ma ci sbagliamo. Brava Sara. Applausi sporadici qua e là testimoniano la presenza della tifoseria. Ma finora la “bella gioventù” a tavola è discreta. Prende il microfono Luca Paolorossi ed è una standing ovation con tanto di ola. Il suo piatto è coraggioso. Ci vuole una certa voglia di sfida nel proporre agnello al limone e taglio sartoriale. L’agnello spesso divide i palati. Il mio è dalla parte dell’agnello. Ci piace. Gli applausi si fanno sempre più sonori. Il dolce di Tina Tarabelli, l’ultima degli sfidanti, è dedicato all’anice.

E’ l’ora del verdetto. Chi vincerà? Errico dice poche frasi e torna in cucina. Ramona, da brava conduttrice, prende tempo, ricorda gli sponsor, ricorda gli amici… ed ecco cosa ha deciso la giuria. Ci credete se vi scrivo che siamo tutti in piedi? Vince il baccalà di Francesco Marcone. Lo avrei fatto vincere anch’io. E come in tutte le finali che si rispettino saltano i tappi, la Kukà finisce nei calici con la sua schiuma bianca e densa che brilla nella notte. Alla prossima festa!

Carla Latini

La vita è troppo breve per bere vini cattivi, l’omaggio di Arturo Rota a Luigi Veronelli

in Cultura/Libri da

Arturo Rota è il genero di Luigi Veronelli, chi ama vino e cibo non può non conoscerlo. Luigi, Gino per gli amici, è stato la mente visionaria e illuminata che ha rivoluzionato il mondo enogastronomico italiano fin dagli anni ’70. I nostri nonni lo ricordano in Tv, su Rai1, in una trasmissione che conduceva con Ave Ninchi, guarda caso marchigiana anche lei. Si intitolava A Tavola alle 7. Un programma innovativo reso ancora più gradevole dalle battutine secche e simpatiche fra i due. Era nata una vera amicizia, una sorta di amore odio reso ancora più evidente dal fatto che Gino era interista e Ave juventina. Questi e altri aneddoti vengono raccontati da Arturo ad un pubblico attento e assolutamente molto interessato. Arturo Rota racconta. Da solo, senza Nichi Stefi (il libro Luigi Veronelli, la vita è troppo breve per bere vini cattivi, è scritto a quattro mani) che sempre lo accompagna in queste occasioni, si dona al pubblico in un monologo trascinante. Parlare di Luigi Veronelli, Gino per gli amici, senza tradire l’affetto profondo e la stima del discepolo fedele non è facile. Arturo è cresciuto con Gino. Da lui ha appreso la difficile arte di “sbagliare da solo”. Nel libro c’è la vita di Gino. Arturo e Nichi si erano dati un obiettivo: il protagonista deve essere Luigi Veronelli. Dal libro deve uscire Gino com’era. Com’erano le sue giornate, le sue amicizie, la sua assoluta generosità. A condurre Arturo c’è Andrea Nobili. Avvocato molto noto in provincia perché ex assessore alla cultura del Comune di Ancona. Amico di Arturo e fine conoscitore del mondo del vino. Aneddoti, episodi finalmente raccontati per bene che erano diventati mitici nell’immaginario collettivo. Arturo parla appassionato e noi ascoltiamo. Per mia fortuna ho avuto l’onore dell’amicizia di Gino. Così come ora ho quella di Arturo.

Chiude la serata il padrone di casa, Alessandro Starabba Malacari. Vignaiolo in quel di Offagna. Ricorda quello che accadeva a tanti produttori di vino e artigiani delle cose buone quando si veniva invitati a casa di Gino, nella mitica via Sudorno a Bergamo Alta. Si credeva di essere da soli e di poter parlare con Gino vis a vis. Invece c’erano sempre altre persone. Il tavolo era da otto. Ed ogni volta era pieno. Quindi ognuno spiegava il proprio problema agli altri e viceversa. Gino ascoltava e spesso stava in silenzio fino alla fine. Nascevano amicizie insospettabili fino allora. Tipo due vignaioli confinanti che si sopportavano come la sabbia nel letto. Il potere delle “poche parole” di Gino era sorprendente. Tutti tornavano a casa carichi e con qualche nuova soluzione ai propri problemi. E’ grazie a Gino Veronelli che l’Italia ha preso coscienza della qualità della sua cucina, dei suoi prodotti e dei suoi vini.

Chiudiamo in bellezza la serata e beviamo un Grigiano, invecchiato in una magnum. Siamo dei privilegiati. Con la presenza di Arturo poteva solo essere così. Perché la vita è troppo corta per bere vini cattivi. Non mediocri, come scrisse Goethe, ma cattivi, come avrebbe detto Gino!

Carla Latini

Renzo Arbore: “Ascoli? Mi ricorda un giovane amore”. E promette uno show emozionante

in Senza categoria da

Squilla il telefono e lui si presenta: <<Sono Renzo Arbore>>. Proprio lui, il mio presidente dell’Aid (Associazione italiana disc jockey) di quarantanni fa. Quell’Arbore che insieme a Gianni Boncompagni conduceva Bandiera Gialla in Rai, che io, giovanissimo e minorenne, andavo a seguire da buon fan scatenato. Quell’Arbore che da Alto Gradimento in poi fece la “nuova” la radio. Quell’Arbore che dall’Altra Domenica in poi fece la “nuova” la tv. Una leggenda che ora sto intervistando.

Ci dica quali sono le buone ragioni per venire al suo concerto.

<<Le emozioni. Il mio concerto da una parte alterna diverse emozioni e situazioni sentimentali che sono caratteristiche delle canzoni napoletane d’autore. Dall’altra parte ci sono momenti di grande allegria con brani d’autore più in generale della scena italiana. La scaletta è varia. Poi, lo dico deridendo Paolo Conte (l’ho detto anche a lui, per scherzo): se c’è uno bravissimo che però parla poco con il pubblico quello è proprio Paolo. Invece io mi scateno sul palco, racconto tante cose. Mi dicono che un mio spettacolo è d’arte varia. Con l’esperienza che ho cerco di fare un’esibizione che non sia solo uno spettacolo per presentare il disco e basta, ma metto dentro tutto me stesso. Poi con me ci saranno 15 componenti d’orchestra che sono tutti bravissimi, virtuosi dello strumento>>.

Può raccontarci qualcosa sul suo impegno sociale con il Filo d’Oro di Osimo?

<<Da pochi mesi condivido questa esperienza con Neri Marcorè, un amico che ha accettato graziosamente di essere testimonial con me. Io ormai lo faccio da oltre 25 anni, c’è bisogno di un po’ d’aria nuova. Penso di essere stato fortunato nella mia vita. Il dovere di quelli che lo sono è tenere sempre presente che ci sono persone meno fortunate. Bisogna aiutarle, è una regola a cui attenersi. Il prossimo è la tua famiglia>>.

Negli scorsi decenni è stato un disc jockey storico e pure indimenticabile con Gianni Boncompagni in Alto Gradimento. Ed è tutt’ora presidente dell’Aid (Associazione italiana disc jockey). Come si è evoluta secondo lei questa importante figura musicale nel tempo?

<<La figura del disc jockey si è evoluta sorprendentemente. Ora i dj delle discoteche sono musicisti bravissimi. Fanno dei miracoli. I dj radiofonici purtroppo sono invece mortificati dalla playlist, che non li fa diventare più protagonisti delle scelte. Sono agli ordini e ai comandi dei computer, delle case discografiche, della radio stessa. Tranne che per pochi casi non hanno più quella meravigliosa magia addosso, quella che ti poteva far dire “Ho lanciato un artista” o “Ho lanciato un genere”. Spero che le radio ricomincino a fare questa selezione: non solo brani scelti dall’establishment ma anche da dj artisti>>.

Voi siete stati pionieri in Rai, poi sono arrivate le radio private che sembravano la grande rivoluzione. Ora è tutto cambiato. Ho intervistato recentemente Lillo e Greg che sono invece ora alla Rai e sono diventati quello che eravate voi anni fa nelle vostre trasmissioni.

<<Loro sono tra i pochissimi che scelgono pure i brani. Mettono pezzi Rock ‘n’ Roll e Rockabilly>>.

Che musica ascolta nel 2015 il dj Renzo Arbore?

<<Naturalmente molto jazz e molto swing di tutti i tempi. Poi tanta musica ritmica, da quella messicana e portoricana a quella cubana. Mi piace molto la musica solare, dei paesi del sole>>.

Qualche simpatico aneddoto sulle Marche?

<<Ad Ascoli Piceno ho avuto una fidanzatina tanti anni fa. Mi ricordo sempre di questa bellissima piazza, dove si svolgeva la recita della vita. Poi ho un particolare rapporto con le Marche. Grazie ad Osimo e al Filo d’Oro sono marchigiano ad honorem. Farò sicuramente un concerto bellissimo>>.

Ogni mese la nostra rivista ha una parola su cui filosofeggiare. Cosa le fa venire in mente il termine ARDORE?

<<Ardore è una bella parola. Fa il peso con passione. La passione la devi esercitare con l’ardore. Anche nella conversazione, nelle convinzioni, nell’aiutare il prossimo: bisogna farlo con ardore. L’oroscopo poi proprio in questi giorni mi ha detto che avrò una nuova svolta nella mia vita. C è bisogno di molto ardore, quindi>>.

Renzo Arbore ad Ascoli Piceno, martedì 11 agosto 2015 allo Stadio Squarcia. Infoline 0736 244970 – Prevendite online su TicketOne e Ciaotickets

Nel nostro sito degli eventi potete trovare ulteriori informazioni sul concerto di Renzo Arbore ad Ascoli Piceno.

Kruger Agostinelli

Giobbe Covatta, il comico buono del sud che racconta un divertente futuro surreale

in Eventi/Senza categoria/Shada Civitanova da

Giobbe Covatta KrugerQuando l’ho definito un “comico buono” si è messo a sorridere divertito. Giobbe Covatta è un genuino esponente del sud che ci piace. Intelligente, generoso e arguto nel saper cogliere le contraddizioni delle saggezze popolari che poi racconta. Tesse le sue storie surreali raccontando di un ipotetico futuro. Storie esilaranti in cui politica, religione e sesso descrivono l’umana esistenza sempre più impegnata all’estinzione. Questo ed altro nella video intervista qui di seguito, prima di salire sul palco dello Shada. Un altro apprezzato appuntamento di “Legati ad un granello di sabbia”, il venerdì notte del celebre locale di Civitanova.

Kruger Agostinelli

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