Author

admin - page 17

admin has 368 articles published.

Gino Paoli allo Shada, il sapore di mare e di cose “non” perdute…

in Eventi/Shada Civitanova da

Gino Paoli cambia le carte di in tavola e sostituisce un brano del bis, “Quattro amici al bar” con la ripetizione di “Sapore di sale”. Ma come dargli torto? I quattro amici si sono trasformati allo Shada di Civitanova in oltre ottocento persone. E il sapore di sale ha un senso in riva al mare e soprattutto per dirlo alla sua maniera “di cose perdute”. Poi il cantautore genovese lo aveva anche ricordato durante il suo concerto: <<Ci sono canzoni scritte da noi che ormai appartengono al pubblico e può farne ciò che vuole>>.

Gino Paoli ci consegna ancora le sue immortali turbolenze d’amore. Proprio quelle canzoni che per molti di noi sono state non solo colonne sonore sentimentali ma proprio mezzi di comunicazione per far breccia sui cuori fertili degli amanti. Record dei record per “Legati ad un granello di sabbia”, il venerdì notte ideato da Aldo Ascani. Grazie all’autore de “Il cielo in una stanza” la notte civitanovese più esclusiva della Riviera Adriatica ha superato tutte le presenza delle precedenti cena spettacolo.

Gino Paoli e Marco ChiattiUn veloce scambio di battute a fine spettacolo con il collega Marco Chiatti che gentilmente ci concede per Tyche Magazine.

Lei ha ancora voglia di scrivere: è in preparazione un suo nuovo disco, ce ne anticipa qualcosa?

<< Il tema di fondo di questo lavoro è il rifiuto del “definitivo”. Siamo abituati a considerare le cose che succedono come immutabili e tendiamo a essere schiavi del “sempre” e del “mai”. Invece per me la chiave di tutto sono le domande, la ricerca: il mondo è in eterno cambiamento, e così anche noi siamo sempre in evoluzione. Ogni cosa, ogni azione umana, è il seguito di una domanda. Le domande sono un atto di opzione, di speranza, di ricerca. E a questa ricerca corrisponde una ricerca musicale, che nel disco si sviluppa in tante maniere>>.

Ma secondo lei, esistono ancora oggi canzoni d’amore?

<<Le canzoni d’amore esistono, sono sempre esistite ed esisteranno sempre. È il modo di esprimere l’amore che nel tempo è cambiato, la maniera di parlarne che è diversa, così magari una persona di una certa età fa fatica a comprendere le espressioni di un giovane. Ma il sentimento è uguale, è sempre lo stesso. Anzi, di più: è il motore che ispira ogni tipo di artista, chi scrive, chi dipinge, chi fa musica>>.

Ha ricordi, aneddoti, episodi, persone che la legano alla nostra regione, le Marche… 

<<Oltre a fare musica io dipingo e delle Marche mi ha sempre colpito la “pittoricità”. Mi spiego meglio: guardandosi intorno in queste terre sembra che sia già perfetto. Le masse, i sassi, sono talmente messi bene e con i colori giusti che non c’è bisogno di spostare nulla. È tutto talmente preciso che a chi guarda non resta che tradurre il tutto sulla tela. Perché è già tutto fatto>>.

Kruger Agostinelli

Intervista gentilmente concessa da Marco Chiatti

[efsflexvideo type=”youtube” url=”https://www.youtube.com/watch?v=WGv6JfHaDHY” allowfullscreen=”yes” widescreen=”yes” width=”420″ height=”315″/]

Arcimboldo, “gustose passioni” nel libro di Ketty Magni

in Cultura/Libri da

Ketty Magni è una mia cara amica. Una scrittrice di gran talento e di “gustosa passione”. Complice Valentina Conti, sono stata coinvolta nella presentazione del suo ultimo libro dedicato ad Arcimboldo in occasione di Futura Festival.

Arcimboldo è il “pittore fruttivendolo”, tanto famoso durante il Rinascimento e poi dimenticato, perché forse non capito. La sua fama riprenderà con i surrealisti. <<Ma quanto è attuale oggi Arcimboldo?>>. Valentina inizia con la domanda di rito. E Ketty ci racconta di quest’uomo irruento e passionale. Pieno di energia, intraprendenza e generosità. Un uomo che era riuscito a ritrarre Rodolfo II, l’imperatore degli Asburgo, con una pera al posto del naso. Arcimboldo si vantava di entrare a Palazzo ad ogni ora del giorno e della notte. Aveva l’amore della donna più corteggiata e ambita del momento, Ludovica Crivelli, che morirà presto, lasciandolo nella disperazione. Era ambizioso a dismisura. Amava ostentare la sua arte. Fu molto popolare all’epoca. Divenne ricco con la sua arte. <<Attuale ora sicuramente si! Arcimboldo è uno dei simboli di Expo. È la natura che entra dentro l’uomo e lo fa diventare immortale>>. Ketty è innamorata della storia del suo Arcimboldo. Lo accarezza con le parole e lo protegge. È tenera quando racconta di come si innamorò di una povera fruttivendola e di tutto quello che fece per renderla felice. Nel libro sono descritti i pranzi sontuosi e le ricette pregiate che ne facevano parte. Erano tempi in cui le portate erano assolutamente ben confezionate. <<Si mangia prima con gli occhi. Ne sa qualcosa il nostro amico Gualtiero Marchesi>>. <<Ma come hai fatto a elaborare le ricette del tempo?>>. <<Segreto professionale. Ho le mie fonti. All’epoca si mangiava dolce, si condiva con miele, formaggi, frutta e verdura. Si cominciava già a bere del vino freddo. Erano molto bon vivant, gaudenti>>. Da qui in poi lasciamo Arcimboldo ai suoi teneri ricordi e parliamo di oggi. Ketty come me conosce tanti cuochi importanti. Quelli televisivi per intenderci. Quelli mediatici capaci di far diventare un piatto a tre stelle una semplice patatina fritta confezionata. Concordiamo, da sagge visionarie del fenomeno che c’è troppa esposizione. Sono anni che lo diciamo e anni che è sempre così. Anzi aumenta. Tutti oggi sono esperti di cibo e fotografano i piatti al ristorante. Lo faccio anch’io, lo ammetto. Ma perché sto lavorando. E mi vergogno anche un pochino. Però non annuso i piatti. Quello proprio no. Dal pubblico in fondo arriva un no tassativo riguardo il naso su i piatti. C’è un pubblico attento e critico al Futura Festival. Un pubblico che con il caldo che faceva è arrivato puntuale ed ha apprezzato la storia di Arciboldo raccontata da Ketty. Valentina le domanda che libro ha sul comodino. Che libri, mi correggo. <<Non te lo dico>>. I libri sul comodino di uno scrittore, di solito, svelano la trama del suo prossimo libro.

Carla Latini

Il Summer Jamboree merita la patente di festival internazionale

in Senza categoria da

Summer Jamboree in attesa di diventare maggiorenne? No perché, come in America, al suo 16° anno merita già la patente, avendo dimostrato di saper guidare una macchina che continua a piacere. Sapete cosa convince di più? E’ la sua autorevolezza nel sapersi presentare come un festival che nasce da un territorio bello come quello di Senigallia ma ripulendosi da qualunque vizio provinciale. C’è il senso internazionale del sapersi proporre, si respira aria nuova e lo stesso pubblico è curioso e divertito senza bisogno di “vizi” da aggiungere. Lo sballo è nell’atmosfera che si respira e nella curiosità di vedere quello che succede, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Ad Angelo Di Liberto e Alessandro Piccinini, i due instancabili e gloriosi organizzatori, va dato il merito di aver saputo mantenere il livello artistico sopra la media. Nulla al caso, scelte intelligenti e condivisibili. Di quel poco che siamo riusciti a vedere, vogliamo sottolineare l’entusiasmante performance di Ondrej Havelka and His melody Makers senz’altro la novità più brillante dell’intero cast. A cui vanno aggiunti, e non spirito campanilistico, i Cialtrontrio BigBanda. Di quello che vi abbiamo detto vi invitiamo a vedere i nostri video in allegato.

Ma andiamo con i numeri stratosferici per la sedicesima edizione del Summer Jamboree che si è aèèena conclusa. Stimate, secondo il sindaco di Senigallia Maurizio Mangialardi circa 400 mila presenze nei 9 giorni del festival (più uno di anticipazioni).   Impressionanti anche i dati della rete: la pagina Facebook ufficiale ha superato i 100 mila fan mentre i post sul Summer Jamboree hanno raggiunto una copertura di oltre 700 mila contatti. Sul lato artistico 40 concerti che hanno visto protagonisti 194 tra artisti e dj. Tuttavia, a rendere l’idea del livello raggiunto dalla manifestazione è stata una frase, più che un elenco di dati. “Non ho mai visto tanta gente felice tutta insieme. Girando ad ogni angolo della città tutti hanno il sorriso in volto”. Parole pronunciate da Gary US Bond, uno dei big che si sono esibiti quest’anno. Ma dall’impeccabile organizzazione, si insiste ancora sulla quantificazione numerica della portata dell’evento: 6 i palchi utilizzati per gli spettacoli dal vivo, per allestire i quali sono statiimpiegati 18 mixer, 120 tra microfoni e radiomicrofoni, 78 casse acustiche, 370 altoparlanti, pilotate da oltre 180 amplificatori, e oltre 3 km di cavi per audio e luci. Infine 10 le “piazze” in cui si sono svolti i dj contest e 120 le persone che hanno lavorato all’evento (escludendo il personale dei fornitori del Festival). Tra gli eventi più partecipati del dopo festival, vanno menzionati il Burlesque Show di Eve La Plume e Grace Hall che ha riempito gli 800 posti disponibili del teatro La Fenice, e il Big Hawaiian Party sulla spiaggia di velluto di Senigallia in cui hanno ballato circa 20 mila persone. Un bel regalo, a sorpresa, agli organizzatori Angelo Di Liberto e Alessandro Piccinini dal palco (Main Stage Foro Annonario) del Rock’n’Roll Revue di sabato notte insieme è arrivato da Renzo Arbore. (l’11 agosto in scena con l’Orchestra Italiana al campo sportivo Squarcia di Ascoli in un concerto della Tyche Eventi).

Kruger Agostinelli

QUI TUTTI GLI ARTICOLI TYCHE SU SUMMER JAMBOREE 2015

[efsflexvideo type=”youtube” url=”https://www.youtube.com/watch?v=vJgszDSgtUA” allowfullscreen=”yes” widescreen=”yes” width=”420″ height=”315″/]

[efsflexvideo type=”youtube” url=”https://www.youtube.com/watch?v=NsnMn6EJEx0″ allowfullscreen=”yes” widescreen=”yes” width=”420″ height=”315″/]

[efsflexvideo type=”youtube” url=”https://www.youtube.com/watch?v=BnPTkrS6yvY” allowfullscreen=”yes” widescreen=”yes” width=”420″ height=”315″/]

Roberta Schira, con sette regole vi aiuta a riconoscere dove si mangia bene

in Senza categoria da

Paolo Paciaroni Roberta Schira Carla Latini Tre giorni con la Schira. Sembra il titolo di un film. “Le Schiriadi” è il titolo del suo nuovo programma televisivo in onda il 12 Agosto sulla rete Blastingnews.com e poi, a settembre, sui canali tradizionali. Epocali punti di vista da Schira. Si comincia con Expo. Ma ora torniamo nelle Marche. Roberta Schira è con me per tre giorni. Paolo Paciaroni (ricordate il mio cuoco felice di Tolentino?) le ha trovato un luogo, chiamarlo location sarebbe offensivo, per presentare il suo libro “Mangiato bene? Le 7 regole per riconoscere la buona cucina”. Siamo a San Marcello, a cavallo fra verdicchio e lacrima. Vigne, girasoli e ulivi. Aria fresca e tramonto prenotato. Non credo che Roberta abbia mai avuto palcoscenico più bello. Non credo che Roberta abbia mai avuto la traduzione simultanea in tedesco. A Tenuta San Marcello, Massimo e Pascal producono Verdicchio da 9 anni. Durante prima e dopo la presentazione assaggiamo le annate, prima per caricarci e dopo fra un piatto e l’altro di Paolo Paciaroni. La cena si intitola: il Verdicchio incontra il tartufo. Ed è sold out da giorni. Roberta Schira, per chi ancora non la conoscesse, è una delle scrittrici italiane più lette tra quelle che si occupano di critica eno-gastronomica. “Mangiato bene?” è il suo decimo libro. Un’idea geniale, come lei stessa ammette, applicabile a qualsiasi business al di là di cibo e vino. In un mondo in cui tutti ormai si sentono sicuri del proprio palato, prenotano i ristoranti consultando guide e tripadvisor, cucinano per gli amici e criticano conti e prezzi dei vini, come facciamo a capire se abbiamo mangiato bene oppure no? Il sole sta tramontando e ci tinge tutti di arancione. Chef Paolo è con me e Roberta sul prato. Di fronte a noi più di 40 persone. 12 sono stranieri per cui una bella cameriera aiutata da un signore olandese che poi scopriremo chiamarsi Daniel, traduce in tedesco. Affrontiamo subito il concetto di buono. <<Per affermare che questo verdicchio è buono – dice Roberta – devo almeno averne assaggiati altri 10>>. Paolo conferma la versione di Roberta. Il palato va esercitato. Così come l’olfatto e l’odorato. Nel libro mi piacciono molto le pause di riflessione che la Schira ci obbliga a fare. A non oltrepassare l’ostacolo. Insomma, bisogna cominciare il gioco e finirlo. La prima regola è la materia prima. Non esiste ristorante o qualsiasi altro esercizio commerciale che non investa nella materia prima. Che sia ricca o che sia povera deve essere fresca e di buona qualità. Seconda regola è saperla manipolare. Saper usare la tecnica. Nel rispetto della sua tradizione. Diffidate da un pasta scotta, da un risotto mal mantecato, da una carne troppo cotta e tagliata male. Fin qui dice Paolo ci siamo. Poi ecco la regola numero tre. Il Genio con la G maiuscola. Il cuoco che va al di là e crea una nuova strada. Genio è Gualtiero Marchesi. Genio è Ferran Adria. Massimo Bottura. Al numero quattro si parla di equilibrio e armonia. Facile a dirsi. Difficile da mantenere. Roberta, che prima di scrivere di cibo è andata a scuola di cucina da un grande che si chiama Claudio Sadler, ha imparato a riconoscere gli ingredienti in un piatto solo guardandolo. Bastano 3 ingredienti principali che siano in equilibrio e armonia. La regola del 3 di Riccardo Agostini. Il punto cinque ci trova tutti d’accordo. Intanto la giovane cameriera aiutata da Daniel traduce e diverse sono le interruzioni e le domande. Il punto cinque è l’atmosfera che è fatta da sedie comode, non troppo caldo non troppo freddo, né troppa né poca luce, musica in equilibrio e armonia con l’ambiente. Cameriere presente ma non insistente. Insomma la sfera che ci circonda quando siamo in un ristorante od anche in un semplice frutta e verdura che cucina per noi. E magari cucina verdure recuperate nella memoria e segna anche la storia.

Perché il punto numero sei è, come dice Paolo quando lavora i prodotti della sua terra maceratese, il progetto. Nascondere dentro un piatto la storia della terra che si vive, il rilancio o anche il lancio di prodotti locali, nella stima e nel rispetto del lavoro degli altri. Come fa Paolo quando utilizza la zafferanella o come Alex Atala che ci cucina il platano in tutte le sue sfaccettature. La settima regola è quella che ci permette di riconoscere il food cost del piatto, la scelta delle materie prime, la ricerca che c’è dietro quel piatto, il servizio e la cura che si mette nel ricevere. Ho speso il giusto è la risposta che dovremmo riuscire a darci. Potremmo dilungarci ancora un po’ ma la cena ci aspetta. E così in 42 seduti ad un tavolo imperiale godiamo delle delizie che Paolo Paciaroni ha creato per noi con il tartufo nero fresco. Cominciando con un bignè di bufala affumicata, un carpaccio di carne di vitello, un uovo pochè con crema di patate, continuando con i trucioli di Gualtiero Marchesi e tartufo nero, la carne di vitello arrosto con timo selvatico e rosmarino e il semifreddo alla vaniglia con tartufo strezeul alla nocciola. Avevo promesso a Roberta che le avrei fatto vedere le Marche, quelle vere. Il giorno dopo per andare a Tolentino da San Marcello passiamo nell’interno. Qualche curva di troppo ma che meraviglia. ‘Sono innamorata delle Marche.’ Roberta lo dice anche al fraticello che ci accompagna durante la visita alla Basilica di San Nicola a Tolentino. Una delle meraviglie della nostra terra. Da visitare appena potete. Un po’ di Marche anche nelle Schiriadi? Chissa?

A Cile’s il menu è servito: prima, adesso, quindi e per finire

in Senza categoria da

Cile’s è a Fano, vicino al mare, in via Dante Alighieri al numero 89. Un po’ Costa Azzurra, un po’ Provenza. Vi piacerà sia fuori che dentro. Non potrete fare a meno di emettere qualche “oh!” di meraviglia. Seduti al vostro tavolo, Cile vi porterà il menu che racconta di pescato del giorno, di verdure di stagione, di primi piatti colorati, di legumi e latticini freschi.

Qui tutto ha le sfumature del mare, del cielo e del corallo. I tavoli sono coperti da lunghe tovaglie di fiandra. I sotto piatti sono tono su tono. Chiudo gli occhi e mi immagino l’atmosfera della sera, quando le candele ai tavoli sono accese. Gli antipasti da Cile’s si chiamano “Prima di…”; i primi piatti “Adesso”; i secondi: “Quindi” ed i contorni (che bello trovare i contorni a menu!) “Insieme a quindi”; i dolci: “Per finire”. Fra gli “Adesso” mi salta all’occhio un piatto che mi ricorda un amico comune, Marco Bistarelli. Un cuoco di quelli della lista dei top 40 in Italia. Il piatto si chiama Spaghetti alla carbonara di pesce secondo Marco Bistarelli. Cile mi dice che è il loro piatto forte. Non posso non assaggiarlo. Anzi, visto che è la prima volta che sono qui, voglio assaggiare i piatti che identificano la filosofia del locale. Libero il grande tovagliolo color lavanda dall’abbraccio di una bianca stella marina, mi consulto con il mio accompagnatore e poi scegliamo di assaggiare due “Prima di…” un “Adesso” e un “Quindi”. Tartare di tonno con rametti freschi e croccanti di finocchio selvatico. Rosa e verde chiarissimo. Anche i cromatismi del piatto fanno pendant con l’ambiente. Percepisco in bocca sapore di alici. Chiederò a Susy dopo, quando la vedrò. Per il mio accompagnatore, invece, Flan di ricotta e gamberi con mazzancolle arrostite. Così mi rendo conto di come sono gli abbinamenti mare/latticini, tipici delle coste che hanno le montagne a pochi chilometri. Il Flan giustamente tiepido e perfetto nella sua sofficità. Ed ecco la Carbonara di pesce. Sono indecisa se svelarvi o no il mistero che si cela all’interno di questo bel piatto di spaghetti artigianali. Appena arrivano sembrano lavorati come per una carbonara a regola d’arte. Un movimento delicato con la forchetta ed ecco la sorpresa. Ho deciso. Non ve la svelo. Dovete andare da Cile’s e scoprirlo da voi. Vi concedo solo un aiuto. Come d’incanto gli spaghetti cambiano colore. Prima lentamente e poi, ad un certo punto, completamente. Devo fare i complimenti a Susy. Cile mi dice che non ama uscire dalla cucina. Ma io devo farle una foto! <<Sarà difficile>>. Mi fa preoccupare Cile. Sono molto brava a convincere le persone ma stavolta mi sembra dura. Il mio naturale pessimismo mi porta a fare tante foto al locale. Nell’ipotesi che non riesca a fotografare la cuoca insieme a Cile e alla figlia Alessandra che controlla e sovrintende la sala. Il nostro “Quindi” è il fritto misto tipico dell’Adriatico con le verdure tagliate a grandi ovali. Si presenta dentro una cassettina di legno che vien voglia di portare a casa. Ed è in verticale. Per cui si mangia scendendo. Anche qui c’è la sorpresa. In fondo ci sono i pescetti più piccoli. Croccante e classico. Uno dei migliori fritti di quest’anno per me. Esce Susy dalla cucina. Bella donna con piglio deciso. Ha già scelto dove vuole mettersi per la foto. Quindi la fa! Uno scoop questo per Tyche. Mentre non faccio altro che dire grazie, grazie, grazie… la convinco a rimanere con la bandana. È sicuramente un tocco di ‘cinema’ in più che non guasta mai. Faccio tanti scatti e li scegliamo insieme. Ed ora chiacchiere e racconti. I miei per loro e i loro per me. Susy mi fa leggere la recensione che le ha fatto una nota Guida. Non le è piaciuta. La capisco. Dopo tanta fatica e stanchezza dispiace passare per quello che non si è. In questi casi vale sempre la pena di dire la frase, scontata ma vera: l’unica vera guida sono i clienti con la loro fedeltà e i loro passaparola. E Cile’s è sempre pieno a pranzo e a cena. Prenotate che è meglio! Tornando al sapore di alici nella tartare di tonno Susy baciandomi nel salutarmi mi dice: <<Sì ci metto sempre un “soffio” di alici nella tartare. Mi piace di più. Accentua il mare>>.

Carla Latini

Tutti insieme appassionatamente sul palco del Summer Jamboree

in Senza categoria da

Tutti insieme, tutti in una volta. Al Summer Jamboree, sabato 8 agosto, è la serata della Rivista: sul Main Stage del Foro Annonario, la Abbey Town Jump Orchestra accompagnerà i grandi artisti che hanno partecipato al festival. Ci saranno Greg, Jackson Sloan, Tre Allegri Ragazzi Morti, Denis Mazhukolow, Miss T, Paolo Fioretti, Laura B, Ettore, Francesca Viaro, Egidio Ingala, Poison Ivies, Grizzo, Chiara Rosso, Maria Antonietta, Tommy “Ol’Boogies” e molti altri ancora. Un grande classico per la serata che anticiperà la chiusura dell’edizione numero 16. Si tratta di uno dei momenti più attesi dal pubblico, forse quello che rende il Jamboree “the hottest rockin’ holyday on heart”. Ad esaltare la Rivista (o la “Parade” per dirla nella lingua degli Usa), i 22 elementi che compongono la Abbey Town Jump Orchestra. A dirigerla, Kyle Gregory, trombettista statunitense già direttore della Third Eye Big Band di Verona che annovera tra le sue fila i migliori musicisti del nord Italia. Si indirizza verso le composizioni per Big Band tipicamente americane, sviluppando un repertorio che spazia dai classici di Duke Ellington e Count Basie a brani contemporanei come quelli del celebre compositore e sassofonista americano Bob Mintzer. Propone musica che prenda spunto da tutte le ramificazioni del jazz, dallo swing e dal be bop fino al latin e al funky. Divertimento garantito a partire dalle 21.

QUI TUTTI GLI ARTICOLI TYCHE SU SUMMER JAMBOREE 2015

Le parole di Valentina e il violino di Marco a Tyche Live

in Cultura/Libri da

Sotto i riflettori di Tyche Live in questa occasione vi proponiamo in redazioni le parole di Valentina Capecci e il violino di Marco Santini. Una puntata che permette a Valentina di raccontarci del suo mondo di sceneggiatrice televisiva e di scrittrice. Potete cercare qui i racconti che ha editato per Tyche. Marco invece ci parla delle sue esperienze internazionali e del “contatto” con Papa Francesco. Partendo da un brano ispirato ad un’isola lontana del nord fino alla sua orchestra per archi in Germania. Due esempi di marchigiani che riescono ad esportare fuori dai nostri spazi territoriali il loro indiscusso talento. Buon ascolto.

#TycheLive

per vedere tutti gli articoli su Tyche Live CLICCA QUI

 

Irene Paoluzzi, ingegnere all’estero con un libro nel cassetto

in Cultura/Libri da

Un cervello all’estero per scelta, scrittrice per passione. Irene Paoluzzi ormai da diversi anni, pur essendo giovane, torna nella sua Civitanova solo per qualche periodo di vacanza. E’ ingegnere e lavora per una società svedese di sviluppo software che recentemente l’ha spedita a Manila, capitale delle Filippine, ma che solitamente la vede impegnata a Malta. <<Quando sono partita – dice – non era ancora un periodo così nero per il lavoro qui da noi. Ma ho scelto di lavorare all’Estero proprio per una mia crescita personale>>. Ma da quando aveva 20 anni, coltiva il sogno di diventare una scrittrice. Il suo romanzo, “L’innocenza del germoglio” ha passato la fase regionale del concorso letterario La Giara. Ora è alla ricerca di un editore che lo pubblichi. Irene si racconta a Tyche in questa intervista.

Kruger Agostinelli

in collaborazione con Emanuele Pagnanini

[efsflexvideo type=”youtube” url=”https://www.youtube.com/watch?v=GJBQvw_s5fU” allowfullscreen=”yes” widescreen=”yes” width=”420″ height=”315″/]

Angelo Di Liberto racconta il Summer Jamboree: “E quella volta di Stand by me…”

in Senza categoria da

Angelo Di Liberto non è un organizzatore di eventi. E non è neppure un appassionato che voleva realizzare un desiderio. Angelo Di Liberto è semplicemente il Summer Jamboree. Lo stesso Alessandro Piccinini, suo ottimo complice, me lo conferma poco prima dell’intervista. A lui va il merito di aver imposto alla manifestazione un cliché per niente provinciale ma nel tempo stesso neanche globalizzato. Insomma un piccolo miracolo planetario sulla Riviera Adriatica. Ovviamente a tempo di autentico rock’n’roll. <<E quando Ben E. King cantò per la seconda volta Stand by me… >>, ci racconta nella gustosa e rumorosa intervista, quella che ascolterete nel video che abbiamo realizzato nel backstage del palco principale al Foro Annonario.

Un invito a vedere il Jamboree? D’accordo, c’è una drammatica ed insostenibile situazione cronica di assenza di parcheggi a Senigallia, ma organizzatevi e provate ad andare a questa stupefacente manifestazione. Non fate come me, che a causa della carenza di posti auto ho rinunciato puntualmente a farci una tappa. Proprio ora mi sono sentito telefonicamente con Max Pezzali, con cui stiamo programmando una chiacchierata, che presto leggerete. Appena saputo del mio Jamboree-desiderio, afferma senza mezzi termini: <<Fantastico, una della manifestazioni più incredibili che abbiano fatto negli ultimi trent’anni in Italia!>> Ecco, trovo ancora più legittima questa voglia di ritornarci.
Kruger Agostinelli

QUI TUTTI GLI ARTICOLI TYCHE SU SUMMER JAMBOREE 2015

A Futura Festival si corteggiano vino e filosofia

in Mangiare e bere da

A Futura Festival il vino ha incontrato la filosofia. Non era certo la prima e non sarà l’ultima volta. Protagonisti dell’incontro, condotto con grande professionalità e divertimento da Valentina Conti, il filosofo Massimo Donà, il giornalista Carlo Cambi, i produttori marchigiani Angela Velenosi, Stefano Antonucci e Mosè Ambrosi. Cosa ha detto il vino alla filosofia e la filosofia al vino? Prima di tutto che si amano e che sono assolutamente complementari. Il vino rappresenta, dice Donà, il frutto della terra elaborato dall’uomo che più conserva e rivela storie, oggetti e passato che torna. Il vino gelosamente tiene dentro di sé il tempo e lo lascia andare ad ogni annata, ad ogni bicchiere, dice Carlo Cambi, noto giornalista, scrittore di enogastronomia. Quindi il vino fatto dall’uomo che fa “godere” gli uomini. Fino al penultimo bicchiere. Dopo l’ultimo c’è l’oblio. Ma se lo chiamiamo già penultimo difficile fermarsi. E’ un piacere ascoltare il duetto fra i due che diventa terzetto quando Valentina fa le sue battute colte ed acute. Poi la parola va ai vignaioli. Le domande che non sono retoriche, suonano così: che senso ha nel mercato globale aver ripreso vitigni autoctoni come la Rebona, aver creduto nel Verdicchio e nel Rosso Piceno, aver puntato su Pecorino e Passerina? Con quale filosofia aziendale si propongo al mondo i vini marchigiani? La bellissima Angela (ammazza, per lei il tempo non passa mai!) con la sua naturale e garbata gentilezza, spiega che sarebbe molto bello fare solo i vini che vengono dal cuore e dalla passione. Spiega, però, che i mercati cambiano. Prima nel mondo chiedevano quanto tempo di invecchiamento aveva un vino prima di comprarlo; oggi comprano subito, poco per volta. La domanda è per vini (lo scrivo io e non l’ha detto lei) internazionalizzati. Per cui fatto buon viso a cattivo gioco, si produce, anche volentieri, quello che chiede il mercato. Il conto economico è fondamentale. Insieme, però, per Angela c’è il fuoco, il calore di un vino che ama profondamente e che le dà grandi soddisfazioni che si chiama Roggio del Filare. Roggio vuol dire, appunto, fuoco, calore. Più lapidario, l’eclettico Stefano Antonucci, che Valentina presenta come un uomo molto originale. Afferma che i suoi vini li fa come piacciono a lui. Gli piace bere ed i vini vanno bevuti. Poi scopre un tenero lato umano quando racconta di come apprezza le visite di clienti che si fanno 700/800 km per arrivare da lui in cantina ad assaggiare i suoi vini. Sincero come sempre si meraviglia perché, dice: in fondo vicino a me ci sono solo Uliassi e Cedroni… scusate se è poco, aggiungo io. Mosè Ambrosi è il più giovane dei tre produttori invitati da Valentina. Giovane nel senso che è giovane la sua produzione. Lui produce Rebona. Mai assaggiata la Rebona, mi manca. Ma poi rimedierò a questa mia mancanza. Mosè viene da un altro mondo che è quello delle calzature. La terra lo ha chiamato a sé. Ne ha respirato l’odore e si è “imbarcato” nel rutilante mondo del vino. Ringrazia con devozione i due big a suo fianco, Angela e Stefano, e ammette che nei suoi primi viaggi all’estero, i loro vini sono quelli che si trovano di più nelle carte dei ristoranti. Donà, a questo punto, torna sui temi mitologici e ricorda le Baccanti e Dioniso, la divinità bella e delicata che scatena le più profonde trasgressioni in donne che in quell’epoca lì avevano il preciso ruolo di mogli e di madri. Quindi il vino che ti porta ad essere te stesso. Non a trasformarti ma essere te stesso, conferma Carlo Cambi. E da qui in poi ricomincia il duetto colto che incanta la platea. Stanno per concludere quando Valentina tocca il tasto del vino biologico. Angela nel suo ruolo di madrina di Expo per la Regione Marche, conferma l’impegno di tutti i produttori marchigiani verso una conversione al biologico o comunque verso una coltivazione della vigna che rispetti l’ambiente. Stefano Antonucci, non avevo dubbi, confessa che sta facendo anche lui un bio, che in pratica ci è stato quasi costretto, ma afferma che, siccome lui i suoi vini vuole berli e lui beve sempre bene, il suo bio non avrà “puzzette” e torbidezze. Si ride. Ma è vero. Categorico invece è Carlo Cambi: no al biologico, è solo una moda. Come tante. Un vino bio non invecchierebbe mai. E’ l’uomo che fa il vino dalla vigna. In conclusione ci fa schiattare d’invidia dicendoci che qualche sera fa si è bevuto un Biondi Santi di prima del 1900. Un’emozione unica. Scende il sipario sul palco ma si apre a sinistra della platea un tavolo dove classici bicchieri da Chardonnay, che vanno bene per qualsiasi vino, aspettano di essere riempiti dai prodotti che i vignaioli sul palco ci hanno raccontato. E si finisce bene. Senza tarallucci ma con tanto vino di assoluta grande qualità marchigiana.

Carla Latini 

Go to Top