A Futura Festival il vino ha incontrato la filosofia. Non era certo la prima e non sarà l’ultima volta. Protagonisti dell’incontro, condotto con grande professionalità e divertimento da Valentina Conti, il filosofo Massimo Donà, il giornalista Carlo Cambi, i produttori marchigiani Angela Velenosi, Stefano Antonucci e Mosè Ambrosi. Cosa ha detto il vino alla filosofia e la filosofia al vino? Prima di tutto che si amano e che sono assolutamente complementari. Il vino rappresenta, dice Donà, il frutto della terra elaborato dall’uomo che più conserva e rivela storie, oggetti e passato che torna. Il vino gelosamente tiene dentro di sé il tempo e lo lascia andare ad ogni annata, ad ogni bicchiere, dice Carlo Cambi, noto giornalista, scrittore di enogastronomia. Quindi il vino fatto dall’uomo che fa “godere” gli uomini. Fino al penultimo bicchiere. Dopo l’ultimo c’è l’oblio. Ma se lo chiamiamo già penultimo difficile fermarsi. E’ un piacere ascoltare il duetto fra i due che diventa terzetto quando Valentina fa le sue battute colte ed acute. Poi la parola va ai vignaioli. Le domande che non sono retoriche, suonano così: che senso ha nel mercato globale aver ripreso vitigni autoctoni come la Rebona, aver creduto nel Verdicchio e nel Rosso Piceno, aver puntato su Pecorino e Passerina? Con quale filosofia aziendale si propongo al mondo i vini marchigiani? La bellissima Angela (ammazza, per lei il tempo non passa mai!) con la sua naturale e garbata gentilezza, spiega che sarebbe molto bello fare solo i vini che vengono dal cuore e dalla passione. Spiega, però, che i mercati cambiano. Prima nel mondo chiedevano quanto tempo di invecchiamento aveva un vino prima di comprarlo; oggi comprano subito, poco per volta. La domanda è per vini (lo scrivo io e non l’ha detto lei) internazionalizzati. Per cui fatto buon viso a cattivo gioco, si produce, anche volentieri, quello che chiede il mercato. Il conto economico è fondamentale. Insieme, però, per Angela c’è il fuoco, il calore di un vino che ama profondamente e che le dà grandi soddisfazioni che si chiama Roggio del Filare. Roggio vuol dire, appunto, fuoco, calore. Più lapidario, l’eclettico Stefano Antonucci, che Valentina presenta come un uomo molto originale. Afferma che i suoi vini li fa come piacciono a lui. Gli piace bere ed i vini vanno bevuti. Poi scopre un tenero lato umano quando racconta di come apprezza le visite di clienti che si fanno 700/800 km per arrivare da lui in cantina ad assaggiare i suoi vini. Sincero come sempre si meraviglia perché, dice: in fondo vicino a me ci sono solo Uliassi e Cedroni… scusate se è poco, aggiungo io. Mosè Ambrosi è il più giovane dei tre produttori invitati da Valentina. Giovane nel senso che è giovane la sua produzione. Lui produce Rebona. Mai assaggiata la Rebona, mi manca. Ma poi rimedierò a questa mia mancanza. Mosè viene da un altro mondo che è quello delle calzature. La terra lo ha chiamato a sé. Ne ha respirato l’odore e si è “imbarcato” nel rutilante mondo del vino. Ringrazia con devozione i due big a suo fianco, Angela e Stefano, e ammette che nei suoi primi viaggi all’estero, i loro vini sono quelli che si trovano di più nelle carte dei ristoranti. Donà, a questo punto, torna sui temi mitologici e ricorda le Baccanti e Dioniso, la divinità bella e delicata che scatena le più profonde trasgressioni in donne che in quell’epoca lì avevano il preciso ruolo di mogli e di madri. Quindi il vino che ti porta ad essere te stesso. Non a trasformarti ma essere te stesso, conferma Carlo Cambi. E da qui in poi ricomincia il duetto colto che incanta la platea. Stanno per concludere quando Valentina tocca il tasto del vino biologico. Angela nel suo ruolo di madrina di Expo per la Regione Marche, conferma l’impegno di tutti i produttori marchigiani verso una conversione al biologico o comunque verso una coltivazione della vigna che rispetti l’ambiente. Stefano Antonucci, non avevo dubbi, confessa che sta facendo anche lui un bio, che in pratica ci è stato quasi costretto, ma afferma che, siccome lui i suoi vini vuole berli e lui beve sempre bene, il suo bio non avrà “puzzette” e torbidezze. Si ride. Ma è vero. Categorico invece è Carlo Cambi: no al biologico, è solo una moda. Come tante. Un vino bio non invecchierebbe mai. E’ l’uomo che fa il vino dalla vigna. In conclusione ci fa schiattare d’invidia dicendoci che qualche sera fa si è bevuto un Biondi Santi di prima del 1900. Un’emozione unica. Scende il sipario sul palco ma si apre a sinistra della platea un tavolo dove classici bicchieri da Chardonnay, che vanno bene per qualsiasi vino, aspettano di essere riempiti dai prodotti che i vignaioli sul palco ci hanno raccontato. E si finisce bene. Senza tarallucci ma con tanto vino di assoluta grande qualità marchigiana.
Carla Latini