Jacopo Fo, lo racconterà nell’intervista qui di seguito, ama le Marche, la sua gente ed i suoi ritmi. In effetti lo abbiamo visto passeggiare per le stradine di Civitanova Marche con tranquilla piacevolezza, prima del suo intervento a Rive Festival. Una sorta di turista che ama mischiarsi nelle abitudini della gente del posto. E dire che ci viene in mente quella Annalisa, una delle tante figlie televisive legittime della Maria De Filippi, che nella stessa città ebbe a dire <<preferisco non andare per strada altrimenti mi riconoscono e non mi lasciano andare>>. Ironia della sorte Jacopo riabilita quelle, come lei, che vengono dai “talent” che <<in fondo tenta di evidenziare i pregi artistici o perlomeno le predisposizioni dei vari concorrenti>>.
Lavori con parole e pensieri. Per te è più importante una parola o un pensiero?
<<Tutte e due, perché parlare senza avere idee è un po’ drammatico e lo stesso vale quando si hanno idee e non si esprimono>>.
Sei un’artista poliedrico. Quale piattaforma prediligi?
<<Mi piace comunicare, in genere. Dal corso di Yoga demenziale che faccio alla Libera Università di Alcatraz al teatro. Ho iniziato facendo la guida ambientale ai ragazzini delle scuole. Lo faccio ancora. Probabilmente la sfida più grande è riuscire a catturare l’attenzione dei giovanissimi per più di otto minuti e mezzo. E’ stata la mia prima “scuola professionale”. Il teatro è venuto poi, ma è un’esperienza totale: devi preparare i costumi, scrivere. Artisticamente invece sono partito come fumettaro. Con il disegno ho un legame particolare>>.
Parliamo di ironia. Gli italiani sono ironici?
<<Mah, ci sono per fortuna parecchi italiani che amano la satira e ridere, altri che sono di una tristezza sconfinata. Sicuramente siamo un popolo che ha una grande tradizione del comico, probabilmente un nostro punto di forza. Però poi se non avessimo tante figure tristi non avremmo tutte quelle difficoltà che abbiamo oggi>>.
La domanda sul “sono il figlio di”. Cosa comporta “essere figli di” a livello artistico?
<<Resta nella tua storia. Io ho avuto la fortuna di essere figlio di persone famose non imbecilli. Sono cresciuto con persone con un profondo livello di umanità, di gentilezza, che mi hanno trasmesso il valore del lavoro, il senso di professionalità, il dover portare a termine le cose che si vogliono fare, di mantenere la parola data. Poi, il senso dell’onore. Cose che a sinistra sono sempre state un po’ schifate ma nella mia famiglia sono state colonne portanti. E’ importante dare un senso alla vita>>.
Che rapporto hai con le Marche?
<<Ho tantissimi amici nella zona e ho fatto anche vacanze sul Conero. Siete molto cortesi e avete una civiltà che ha una storia millenaria>>.
Anche se siamo stati sotto il Papa un po’ troppo.
<<Quelli sono stati dei passaggi dolorosi (ride), avete sofferto quando avevate dei Papi un po’ terribili. Oggi abbiamo un Papa rivoluzionario, ecologista, che dice che per fermare il terrorismo bisogna fermare la miseria e il sottosviluppo del terzo mondo>>.
La parola del mese di Tyche Magazine è ARDORE. Se ti dico ARDORE cosa ti viene in mente?
<<Oggi la malattia di tantissimi italiani, e giovani in particolare, è la mancanza di ardore. La scuola non insegna più la passione, la Tv non sprona ad appassionarsi. Ci sono solo Talent, che comunque sono un passo in avanti rispetto agli altri programmi. C’è un progresso tra un’Isola dei Famosi che seleziona le persone per loro grande imbecillità e un format che chiede alle persone di mostrare i propri talenti. Vedo che milioni di italiani vivono in una situazione di disperazione, ma stanno succedendo cose importanti in Italia e nel mondo. Basta pensare che noi siamo uno dei paesi al mondo con il più alto numero di volontari e che, secondo una statistica di cui si parla poco, una famiglia italiana su cinque ha adottato un’altra famiglia. Cosa sarebbe stata la crisi in termini di disastro umano senza questo esercito di persone che hanno donato amicizia, tempo, denaro, affetto, ascolto alle persone in difficoltà?>>
Insomma un incontro in cui pensieri e parole sono belli quasi quanto una canzone di Lucio Battisti.
Kruger Agostinelli
Foto Federico De Marco