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agosto 2015 - page 3

A Cile’s il menu è servito: prima, adesso, quindi e per finire

in Senza categoria da

Cile’s è a Fano, vicino al mare, in via Dante Alighieri al numero 89. Un po’ Costa Azzurra, un po’ Provenza. Vi piacerà sia fuori che dentro. Non potrete fare a meno di emettere qualche “oh!” di meraviglia. Seduti al vostro tavolo, Cile vi porterà il menu che racconta di pescato del giorno, di verdure di stagione, di primi piatti colorati, di legumi e latticini freschi.

Qui tutto ha le sfumature del mare, del cielo e del corallo. I tavoli sono coperti da lunghe tovaglie di fiandra. I sotto piatti sono tono su tono. Chiudo gli occhi e mi immagino l’atmosfera della sera, quando le candele ai tavoli sono accese. Gli antipasti da Cile’s si chiamano “Prima di…”; i primi piatti “Adesso”; i secondi: “Quindi” ed i contorni (che bello trovare i contorni a menu!) “Insieme a quindi”; i dolci: “Per finire”. Fra gli “Adesso” mi salta all’occhio un piatto che mi ricorda un amico comune, Marco Bistarelli. Un cuoco di quelli della lista dei top 40 in Italia. Il piatto si chiama Spaghetti alla carbonara di pesce secondo Marco Bistarelli. Cile mi dice che è il loro piatto forte. Non posso non assaggiarlo. Anzi, visto che è la prima volta che sono qui, voglio assaggiare i piatti che identificano la filosofia del locale. Libero il grande tovagliolo color lavanda dall’abbraccio di una bianca stella marina, mi consulto con il mio accompagnatore e poi scegliamo di assaggiare due “Prima di…” un “Adesso” e un “Quindi”. Tartare di tonno con rametti freschi e croccanti di finocchio selvatico. Rosa e verde chiarissimo. Anche i cromatismi del piatto fanno pendant con l’ambiente. Percepisco in bocca sapore di alici. Chiederò a Susy dopo, quando la vedrò. Per il mio accompagnatore, invece, Flan di ricotta e gamberi con mazzancolle arrostite. Così mi rendo conto di come sono gli abbinamenti mare/latticini, tipici delle coste che hanno le montagne a pochi chilometri. Il Flan giustamente tiepido e perfetto nella sua sofficità. Ed ecco la Carbonara di pesce. Sono indecisa se svelarvi o no il mistero che si cela all’interno di questo bel piatto di spaghetti artigianali. Appena arrivano sembrano lavorati come per una carbonara a regola d’arte. Un movimento delicato con la forchetta ed ecco la sorpresa. Ho deciso. Non ve la svelo. Dovete andare da Cile’s e scoprirlo da voi. Vi concedo solo un aiuto. Come d’incanto gli spaghetti cambiano colore. Prima lentamente e poi, ad un certo punto, completamente. Devo fare i complimenti a Susy. Cile mi dice che non ama uscire dalla cucina. Ma io devo farle una foto! <<Sarà difficile>>. Mi fa preoccupare Cile. Sono molto brava a convincere le persone ma stavolta mi sembra dura. Il mio naturale pessimismo mi porta a fare tante foto al locale. Nell’ipotesi che non riesca a fotografare la cuoca insieme a Cile e alla figlia Alessandra che controlla e sovrintende la sala. Il nostro “Quindi” è il fritto misto tipico dell’Adriatico con le verdure tagliate a grandi ovali. Si presenta dentro una cassettina di legno che vien voglia di portare a casa. Ed è in verticale. Per cui si mangia scendendo. Anche qui c’è la sorpresa. In fondo ci sono i pescetti più piccoli. Croccante e classico. Uno dei migliori fritti di quest’anno per me. Esce Susy dalla cucina. Bella donna con piglio deciso. Ha già scelto dove vuole mettersi per la foto. Quindi la fa! Uno scoop questo per Tyche. Mentre non faccio altro che dire grazie, grazie, grazie… la convinco a rimanere con la bandana. È sicuramente un tocco di ‘cinema’ in più che non guasta mai. Faccio tanti scatti e li scegliamo insieme. Ed ora chiacchiere e racconti. I miei per loro e i loro per me. Susy mi fa leggere la recensione che le ha fatto una nota Guida. Non le è piaciuta. La capisco. Dopo tanta fatica e stanchezza dispiace passare per quello che non si è. In questi casi vale sempre la pena di dire la frase, scontata ma vera: l’unica vera guida sono i clienti con la loro fedeltà e i loro passaparola. E Cile’s è sempre pieno a pranzo e a cena. Prenotate che è meglio! Tornando al sapore di alici nella tartare di tonno Susy baciandomi nel salutarmi mi dice: <<Sì ci metto sempre un “soffio” di alici nella tartare. Mi piace di più. Accentua il mare>>.

Carla Latini

Tutti insieme appassionatamente sul palco del Summer Jamboree

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Tutti insieme, tutti in una volta. Al Summer Jamboree, sabato 8 agosto, è la serata della Rivista: sul Main Stage del Foro Annonario, la Abbey Town Jump Orchestra accompagnerà i grandi artisti che hanno partecipato al festival. Ci saranno Greg, Jackson Sloan, Tre Allegri Ragazzi Morti, Denis Mazhukolow, Miss T, Paolo Fioretti, Laura B, Ettore, Francesca Viaro, Egidio Ingala, Poison Ivies, Grizzo, Chiara Rosso, Maria Antonietta, Tommy “Ol’Boogies” e molti altri ancora. Un grande classico per la serata che anticiperà la chiusura dell’edizione numero 16. Si tratta di uno dei momenti più attesi dal pubblico, forse quello che rende il Jamboree “the hottest rockin’ holyday on heart”. Ad esaltare la Rivista (o la “Parade” per dirla nella lingua degli Usa), i 22 elementi che compongono la Abbey Town Jump Orchestra. A dirigerla, Kyle Gregory, trombettista statunitense già direttore della Third Eye Big Band di Verona che annovera tra le sue fila i migliori musicisti del nord Italia. Si indirizza verso le composizioni per Big Band tipicamente americane, sviluppando un repertorio che spazia dai classici di Duke Ellington e Count Basie a brani contemporanei come quelli del celebre compositore e sassofonista americano Bob Mintzer. Propone musica che prenda spunto da tutte le ramificazioni del jazz, dallo swing e dal be bop fino al latin e al funky. Divertimento garantito a partire dalle 21.

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Le parole di Valentina e il violino di Marco a Tyche Live

in Cultura/Libri da

Sotto i riflettori di Tyche Live in questa occasione vi proponiamo in redazioni le parole di Valentina Capecci e il violino di Marco Santini. Una puntata che permette a Valentina di raccontarci del suo mondo di sceneggiatrice televisiva e di scrittrice. Potete cercare qui i racconti che ha editato per Tyche. Marco invece ci parla delle sue esperienze internazionali e del “contatto” con Papa Francesco. Partendo da un brano ispirato ad un’isola lontana del nord fino alla sua orchestra per archi in Germania. Due esempi di marchigiani che riescono ad esportare fuori dai nostri spazi territoriali il loro indiscusso talento. Buon ascolto.

#TycheLive

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Irene Paoluzzi, ingegnere all’estero con un libro nel cassetto

in Cultura/Libri da

Un cervello all’estero per scelta, scrittrice per passione. Irene Paoluzzi ormai da diversi anni, pur essendo giovane, torna nella sua Civitanova solo per qualche periodo di vacanza. E’ ingegnere e lavora per una società svedese di sviluppo software che recentemente l’ha spedita a Manila, capitale delle Filippine, ma che solitamente la vede impegnata a Malta. <<Quando sono partita – dice – non era ancora un periodo così nero per il lavoro qui da noi. Ma ho scelto di lavorare all’Estero proprio per una mia crescita personale>>. Ma da quando aveva 20 anni, coltiva il sogno di diventare una scrittrice. Il suo romanzo, “L’innocenza del germoglio” ha passato la fase regionale del concorso letterario La Giara. Ora è alla ricerca di un editore che lo pubblichi. Irene si racconta a Tyche in questa intervista.

Kruger Agostinelli

in collaborazione con Emanuele Pagnanini

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Angelo Di Liberto racconta il Summer Jamboree: “E quella volta di Stand by me…”

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Angelo Di Liberto non è un organizzatore di eventi. E non è neppure un appassionato che voleva realizzare un desiderio. Angelo Di Liberto è semplicemente il Summer Jamboree. Lo stesso Alessandro Piccinini, suo ottimo complice, me lo conferma poco prima dell’intervista. A lui va il merito di aver imposto alla manifestazione un cliché per niente provinciale ma nel tempo stesso neanche globalizzato. Insomma un piccolo miracolo planetario sulla Riviera Adriatica. Ovviamente a tempo di autentico rock’n’roll. <<E quando Ben E. King cantò per la seconda volta Stand by me… >>, ci racconta nella gustosa e rumorosa intervista, quella che ascolterete nel video che abbiamo realizzato nel backstage del palco principale al Foro Annonario.

Un invito a vedere il Jamboree? D’accordo, c’è una drammatica ed insostenibile situazione cronica di assenza di parcheggi a Senigallia, ma organizzatevi e provate ad andare a questa stupefacente manifestazione. Non fate come me, che a causa della carenza di posti auto ho rinunciato puntualmente a farci una tappa. Proprio ora mi sono sentito telefonicamente con Max Pezzali, con cui stiamo programmando una chiacchierata, che presto leggerete. Appena saputo del mio Jamboree-desiderio, afferma senza mezzi termini: <<Fantastico, una della manifestazioni più incredibili che abbiano fatto negli ultimi trent’anni in Italia!>> Ecco, trovo ancora più legittima questa voglia di ritornarci.
Kruger Agostinelli

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A Futura Festival si corteggiano vino e filosofia

in Mangiare e bere da

A Futura Festival il vino ha incontrato la filosofia. Non era certo la prima e non sarà l’ultima volta. Protagonisti dell’incontro, condotto con grande professionalità e divertimento da Valentina Conti, il filosofo Massimo Donà, il giornalista Carlo Cambi, i produttori marchigiani Angela Velenosi, Stefano Antonucci e Mosè Ambrosi. Cosa ha detto il vino alla filosofia e la filosofia al vino? Prima di tutto che si amano e che sono assolutamente complementari. Il vino rappresenta, dice Donà, il frutto della terra elaborato dall’uomo che più conserva e rivela storie, oggetti e passato che torna. Il vino gelosamente tiene dentro di sé il tempo e lo lascia andare ad ogni annata, ad ogni bicchiere, dice Carlo Cambi, noto giornalista, scrittore di enogastronomia. Quindi il vino fatto dall’uomo che fa “godere” gli uomini. Fino al penultimo bicchiere. Dopo l’ultimo c’è l’oblio. Ma se lo chiamiamo già penultimo difficile fermarsi. E’ un piacere ascoltare il duetto fra i due che diventa terzetto quando Valentina fa le sue battute colte ed acute. Poi la parola va ai vignaioli. Le domande che non sono retoriche, suonano così: che senso ha nel mercato globale aver ripreso vitigni autoctoni come la Rebona, aver creduto nel Verdicchio e nel Rosso Piceno, aver puntato su Pecorino e Passerina? Con quale filosofia aziendale si propongo al mondo i vini marchigiani? La bellissima Angela (ammazza, per lei il tempo non passa mai!) con la sua naturale e garbata gentilezza, spiega che sarebbe molto bello fare solo i vini che vengono dal cuore e dalla passione. Spiega, però, che i mercati cambiano. Prima nel mondo chiedevano quanto tempo di invecchiamento aveva un vino prima di comprarlo; oggi comprano subito, poco per volta. La domanda è per vini (lo scrivo io e non l’ha detto lei) internazionalizzati. Per cui fatto buon viso a cattivo gioco, si produce, anche volentieri, quello che chiede il mercato. Il conto economico è fondamentale. Insieme, però, per Angela c’è il fuoco, il calore di un vino che ama profondamente e che le dà grandi soddisfazioni che si chiama Roggio del Filare. Roggio vuol dire, appunto, fuoco, calore. Più lapidario, l’eclettico Stefano Antonucci, che Valentina presenta come un uomo molto originale. Afferma che i suoi vini li fa come piacciono a lui. Gli piace bere ed i vini vanno bevuti. Poi scopre un tenero lato umano quando racconta di come apprezza le visite di clienti che si fanno 700/800 km per arrivare da lui in cantina ad assaggiare i suoi vini. Sincero come sempre si meraviglia perché, dice: in fondo vicino a me ci sono solo Uliassi e Cedroni… scusate se è poco, aggiungo io. Mosè Ambrosi è il più giovane dei tre produttori invitati da Valentina. Giovane nel senso che è giovane la sua produzione. Lui produce Rebona. Mai assaggiata la Rebona, mi manca. Ma poi rimedierò a questa mia mancanza. Mosè viene da un altro mondo che è quello delle calzature. La terra lo ha chiamato a sé. Ne ha respirato l’odore e si è “imbarcato” nel rutilante mondo del vino. Ringrazia con devozione i due big a suo fianco, Angela e Stefano, e ammette che nei suoi primi viaggi all’estero, i loro vini sono quelli che si trovano di più nelle carte dei ristoranti. Donà, a questo punto, torna sui temi mitologici e ricorda le Baccanti e Dioniso, la divinità bella e delicata che scatena le più profonde trasgressioni in donne che in quell’epoca lì avevano il preciso ruolo di mogli e di madri. Quindi il vino che ti porta ad essere te stesso. Non a trasformarti ma essere te stesso, conferma Carlo Cambi. E da qui in poi ricomincia il duetto colto che incanta la platea. Stanno per concludere quando Valentina tocca il tasto del vino biologico. Angela nel suo ruolo di madrina di Expo per la Regione Marche, conferma l’impegno di tutti i produttori marchigiani verso una conversione al biologico o comunque verso una coltivazione della vigna che rispetti l’ambiente. Stefano Antonucci, non avevo dubbi, confessa che sta facendo anche lui un bio, che in pratica ci è stato quasi costretto, ma afferma che, siccome lui i suoi vini vuole berli e lui beve sempre bene, il suo bio non avrà “puzzette” e torbidezze. Si ride. Ma è vero. Categorico invece è Carlo Cambi: no al biologico, è solo una moda. Come tante. Un vino bio non invecchierebbe mai. E’ l’uomo che fa il vino dalla vigna. In conclusione ci fa schiattare d’invidia dicendoci che qualche sera fa si è bevuto un Biondi Santi di prima del 1900. Un’emozione unica. Scende il sipario sul palco ma si apre a sinistra della platea un tavolo dove classici bicchieri da Chardonnay, che vanno bene per qualsiasi vino, aspettano di essere riempiti dai prodotti che i vignaioli sul palco ci hanno raccontato. E si finisce bene. Senza tarallucci ma con tanto vino di assoluta grande qualità marchigiana.

Carla Latini 

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