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agosto 2015 - page 2

Non è estate senza verdure gratinate. Una ricetta semplice e sfiziosa

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D’estate in Italia esplodono pomodori, zucchine, melanzane e peperoni. Gli orti, generosi, aspettano solo di essere alleggeriti e raccolti. Cucinate insieme nella classica ratatouille sono ottime ma se accendete la griglia o il forno…e grattugiate, in modo grossolano, la mollica di pane secco che sta “oziando” nel cesto, potete preparare una ricetta unica e a tutto pasto. La crosta destinatela a qualcos’altro. Ma non alle verdure gratinate. La crosta, grattugiata fine, sarà ottima, appena scaldata, per saltare in padella formati di pasta vari. Usata al posto del più ricco parmigiano. Sembra facile fare le verdure gratinate? Il forno va tenuto caldo da quando cominciate a lavorarle. La mollica di pane va condita con aglio, a chi piace, prezzemolo, a chi piace (tanto il prezzemolo non sa di niente) erba cipollina (che sostituisce l’aglio), origano, menta, basilico e tutto quanto il vostro orto/terrazzo vi offre. Poco sale e olio evo. Tanto olio. La mollica deve risultare ben separata e non “ammallopparsi” come spesso accade alle verdure gratinate che compriamo al supermercato. Ecco, quelle sono proprio l’opposto di quelle che dico io.

Armatevi di carta da forno, tagliate le verdure a metà, se sono troppo grandi anche a tre, quattro strati, non togliete nulla, né acqua dai pomodori né semi, “mollicatele” senza pressione, senza fare quella sorta di mattonella unta, quella appunto dei supermercati, infornate a 160/180 gradi coprendo con la carta da forno. Aspettate di “sentirle” con la forchetta. Quando la forchetta si infilza senza difficoltà, togliete la carta da forno sopra e lasciate gratinare per un po’. Il vostro po’. Vi piacciono belle dorate? Vi piacciono quasi croccanti? Oppure appena bionde? Tanto la base è cotta.

Portatele a tavola subito calde o domani fredde. Sono buone sempre e fanno anche piatto unico con fette di pane appena scaldato, una bruschetta poco aggressiva, con verdure varie in insalata e vino bianco fresco.

Bella l’estate!

Carla Latini

Intervista a Pezzali: ecco come farò decollare l’astronave Max

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Grande attività promozionale per Max Pezzali pro “Astronave Max”. In attesa del tour che esordirà proprio da Ancona, venerdì 25 settembre, organizzato da Tyche Eventi. Lo raggiungiamo telefonicamente e trasformiamo un’intervista in una piacevole chiacchierata. Max offre risposte che riescono a descrivere il reale cambiamento della scena panoramica musicale e discografica degli ultimi anni.

Max, hai contribuito alla vendita di otto milioni di dischi. Ora il supporto è in estinzione e sta diventando virtuale. Non pensi che la mancanza fisica del disco possa essere stato un danno notevole per la musica?

<<Credo che la poetica dell’acquisto dei dischi e l’appagamento nell’avere l’oggetto fisico si siano un po’ perse già con l’avvento del cd. Un supporto apparentemente comodo e pratico che però ha tolto molto del piacere e del fascino di possedere musica. Ad un certo punto, a livello distributivo, si è deciso di puntare sulla scelta più comoda. Tutto ciò che è più agevole diventa quindi vincente. Oggi assistiamo alla tendenza a smaterializzare i contenuti. E’ capitato con la musica, adesso sta succedendo con film e telefilm. Quando viene smaterializzato un contenuto artistico questo è più facile da reperire sul mercato, ma così il fruitore si disamora più facilmente del contenuto stesso. Questo uso immateriale porta ad un consumo superficiale, quasi compulsivo. Una canzone va per uno, due, tre mesi e poi diventa vecchia. Non c’è voglia di approfondire la conoscenza di un artista ascoltando il suo album per intero>>.

Facciamo un’equazione musicale: Max Pezzali sta a Claudio Cecchetto come quelli di Amici stanno alla De Filippi. Cosa è cambiato nella musica?

<<E’ cambiata l’equazione stessa. Cecchetto era ed è un produttore musicale che si occupava e si occupa solo di musica. Faceva televisione come dj e solo per quel tipo di programmi sulla musica. Ora con il talent è diverso: un contenitore televisivo molto importante diventa veicolo non solo di promozione ma anche di produzione musicale. Si è spostato l’asse, con la musica che è asservita alle necessità di spettacolo della televisione. Spesso la musica invece non è spettacolare perché è anche intima. Il processo più importante nella musica, per me, è quando si scrivono le canzoni. Un’operazione che è interiore, che spesso si fa dentro una stanzetta buia. Questo lavoro non si può raccontare in tv perché non è spettacolare. In televisione diventa necessariamente più importante l’aspetto scenico, la gran voce, i grandi sentimenti, ma difficilmente il processo creativo>>.

C’è chi ti considera il cantore delle storie di provincia degli anni Ottanta e Novanta. Ti ci senti? E nel 2015 chi ti senti di rappresentare?

<<In linea di massima credo che chi racconta qualcosa con delle canzoni racconta se stesso. C’è sempre una componente autobiografica. Magari c’è chi raccoglie qualcosa dalle storie degli altri, ma, almeno nel mio caso, parlo spesso dell’ambiente che mi circonda. Ho descritto gli anni Ottanta e Novanta seguendo il mondo che mi circondava, che era quello della provincia e dei luoghi in cui sono nato e cresciuto. E che continuo a vivere. Oggi, visti i cambiamenti che ci sono stati nella mia naturale evoluzione biografica ed anagrafica, credo sia normale che io parli di cose diverse, ma che sono sempre parte del mio vissuto. Chi rappresento al momento? Non so. Racconto delle cose. Poi le persone, magari di altre generazioni, possono condividerle o no. O magari le hanno vissute o le vivranno>>.

Inevitabile che ti chiediamo del nuovo tour. Cosa ci puoi anticipare? Insomma, delle buone ragioni per acquistare il biglietto.

<<La ragione principale è che deve piacerti quello che faccio. Chi ama, ha amato, o semplicemente si è divertito con le mie canzoni le troverà fondamentalmente tutte. Sono dell’idea che i tour non debbano essere troppo incentrati sulle dinamiche dell’ultimo album. Quando hai tanti anni di carriera devi fare quello che le persone vogliono sentirsi raccontare. Cioè in parte la colonna sonora dei loro anni. Cercheremo di farlo però con una nuova veste grafica e scenografica, prendendo dall’ultimo album il pretesto dell’idea dell’astronave. Il tema spazio è sempre divertente da affrontare e lo faremo con parti visive e grafiche di effetto>>.

Ci diamo appuntamento per un’altra chiacchierata e forse gli strapperemo una promessa prima del concerto. Seguiteci con fiducia che Max Pezzali non ci deluderà.

Kruger Agostinelli

Max Pezzali ad Ancona, venerdì 25 settembre 2015 ore 21,30 al PalaRossini. Infoline 0733 817259 – Prevendite online su TicketOne Ciaotickets

Per maggiori informazioni sul concerto di Max Pezzali ad Ancona consulta il nostro sito degli eventi.

Marco Santini va oltre la sviolinata

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<<Sai Kruger, ho deciso di chiedere pubblicamente alla mia fidanzata di sposarmi nel corso di uno spettacolo ad Osimo>>. Marco me l’aveva confessato, con una punta di legittima timidezza in redazione, nel pomeriggio in cui è stato ospite del Tyche Live (potete riviverlo QUI). Insomma niente a che fare con una “carrambata” televisiva: solo sentimento puro, condito dal frizzante piacere della sorpresa. <<Sono scelte che ti fanno diventare improvvisamente un principe azzurro per il pubblico femminile – mi racconta sorridendo – ma nel tempo stesso rischi di diventare un invadente esempio per la maggior parte del pubblico maschile>>.

Andiamo per ordine. Stiamo raccontandovi di Marco Santini, eccellente violinista, autore e direttore d’orchestra che alla fine del concerto di Ferragosto, all’interno del Duomo di Osimo, ha fatto una dichiarazione di matrimonio alla sua amata, Nicoletta Giorgi, di fronte ai 1200 intervenuti. Emozionata e felice, Nicoletta ha accettato l’anello che Marco, ovviamente inginocchiato di fronte a lei, ha donato come promessa d’amore.

Attenzione, non è stato uno show ma il gesto innamorato che Marco, dopo aver suonato per un’infinità di matrimoni, ha voluto dedicare a se stesso e alla loro futura vita insieme. << Un amore davvero nato per caso, durante un viaggio negli Stati Uniti, dove all’epoca Nicoletta, anche lei osimana, risiedeva>>.

E poi? Un lungo applauso fra la sorpresa e la commozione della sua gente in quell’indimenticabile sera di Ferragosto. Un amore bello che si spera sempre possa essere contagioso.

Kruger Agostinelli

A Cagli c’è la Gioconda, quando il sorriso entra in cucina

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Scesi due gradini, Lei, la signora più fotografata della storia dell’arte, è lì. Gabriele Giacomucci confessa la sua passione e la circonda di Magnum di Champagne. Il locale di Gabriele sa di storia. I soffitti a volte raccontano il passato di Cagli.

Alle pareti, coerenti con l’amore per l’arte che identifica tutta la famiglia, ci sono quadri contemporanei in bella mostra. Anche il menu è una piccola opera d’arte. I piatti non sono descritti ma disegnati attraverso gli ingredienti che li compongono. Ad esempio per la carbonara di verdure ci sono gli spaghetti, una carota, una melanzana, un uovo, un pomodoro e un pezzo di cacio pecorino. Sono le 11. E’ presto per mangiare ma tardi per cucinare. Il privilegio più grande che possa regalarsi uno che ama mangiare e cucinare è quello di mimetizzarsi fra un frigorifero ed un abbattitore e origliare, in silenzio, gesti, frasi e suoni di un cuoco. Gabriele mi permette ciò e ne sono onorata. Stanno preparando il mojito che accompagna la macedonia di frutta. Zucchero, acqua, rum. Foglie di menta. Il tutto prima scaldato e poi messo a congelare in piccoli bicchieri neri che saranno portati in tavola belli ghiacciati. Gabriele ha un paio di aiuto cuochi e l’aiuto più prezioso: mamma Carla. Sorridente e bella come la Gioconda.

Gabriele e Carla per TycheMamma Carla sta preparando il condimento per gli spaghetti alla carbonara di verdure. Alcune stufate nel forno, altre saltate in padella. Il segreto di questa carbonara sta nella cottura del pomodoro che diventa quasi “conserva”. Unito all’uovo ne accentua il colore che è la sorpresa all’interno del piatto. Mi racconta che questo piatto raggiunge il suo apice nella stagione del tartufo nero. Non faccio alcuna fatica ad immaginarlo.

Qui si respira cultura di carne. Anche se la compagna di Gabriele è vegetariana. Poco importa. Gabriele e mamma Carla fanno dei polli al forno, delle faraone ripiene e delle costate che se solo volevate diventare vegetariani guarirete subito. Le carni sono assolutamente locali e estere di grande pregio. La capacità della frollatura e della cottura le esaltano. Gabriele mi ricorda le diverse cotture dei volatili divise per petto, ali e cosce. Durante l’inverno il menu della cacciagione è gaudente e succulento ed attira clienti dalla costa. Cagli è quasi al confine con Toscana e Umbria. Risente dell’influenza positiva delle due regioni culturalmente forti in fatto di territorio. Il turismo estivo, mi racconta Gabriele, è un turismo colto che viene, soprattutto, dal Nord Europa. Gode dell’aria frizzante della montagna e delle animazioni serali che accendono la notte. Le sale della Gioconda si prestano perfettamente a rievocazioni medievali. Sembra quasi che i muri, a mattoncini, siano intrisi di ricordi e di profumi. Quando non lavora, il lunedì, Gabriele scende verso il mare e va a trovare i suoi amici cuochi ed a scoprire talenti. Ben 10 anni di Gioconda sono un eccellente biglietto da visita. <<Dove vuoi farti fotografare? All’entrata sotto l’insegna? Accanto alla Gioconda? In cucina?>>. Per non sbagliare scatto fuori, dentro ed in cucina. Poi incrocio gli occhioni di mamma Carla e decido io per tutti. Due sorrisi, quelli che vedete in questa foto, che svelano l’amore per la materia prima e l’amore per come utilizzarla al meglio. Chi come loro lavora la carne e la cacciagione ha quella marcia in più che si chiama rispetto. Fatevi un paio di giorni a Cagli. Ogni stagione, in mezzo a queste montagne, ha il suo fascino. Ed una cena dalla Gioconda sarà il modo giusto per entrare nell’anima di questo affascinante territorio marchigiano.

Carla Latini

Michele Biagiola e gli spaghetti da leggere e da gustare

in Libri da

 

La naturale conoscenza della terra, di erbe aromatiche, misticanze e di quanto un orto (preferisco dire campo) ci può offrire in fatto di ricchezza di sapore e di verde, è il tesoro che fa grande la cucina di Michele Biagiola. Non un recupero di ricordi, permettimi Michele, ma un mantenere sempre vivi i ricordi. Io la vedo così.

A Futura Festival, in un incontro condotto da Valentina Conti, Michele prima di tutto ha parlato di portulachia, che si chiama così perché era l’erba che infestava i gradini dell’entrate dei portoni delle case di campagna. L’anno scorso avevo la portulachia in terrazzo, trapiantata in un grande vaso. L’avevo presa dal campo ma lei ha preferito tornare sul campo. Selvaggia come deve essere. Confermo, per chi non l’ha mai mangiata, che è un erba saporitissima con foglie carnose e “cicciotte”. Ottima da fare in insalata insieme a tante altre erbe spontanee ed aromatiche oppure anche cotta. Saltata in padella con cipolle, carote, peperoncino e dei ciliegini. Con la portulachia Michele Biagiola fa gli spaghetti più buoni del mondo. Spaghetti artigianali marchigiani con tante erbe diverse, cotte o crude, e fiori eduli. Il libro di Michele si intitola proprio “Spaghetti”. Perché sono gli spaghetti italiani ad essere conosciuti al mondo e non la “generica pasta”. In Giappone per dire pasta si dice ‘Spaghetti’.

Nel libro ci sono i segreti per riconoscere gli spaghetti artigianali da quelli industriali. Consigli per la cottura (che condivido appieno!) e ricette più o meno facili. Sicuramente ri-fattibili.

Valentina, che ammette di riuscire a far seccare anche il cactus che ha in balcone, è molto incuriosita: <<Tu sei magro Michele e mangi tanta pasta?>>. <<Si mangio spaghetti tutti i giorni. Ma la pasta non ingrassa>>. Da qui in poi, se prima mi era piaciuto molto, ora non posso non fare un solitario applauso spontaneo!

Michele sfata il “mito” della pasta risottata. Racconta che diverse sue amiche/clienti risottano la pasta pensando di fare una cosa intelligente. La pasta risottata trattiene tutti gli amidi e diventa troppo pesante da digerire. Basta una semplice mantecatura di uno, massimo due minuti, nel condimento ben caldo e fuori dal fuoco. Se gli spaghetti sono scolati ben al dente e sono dei grandi spaghetti artigianali il gioco è fatto. Concordo.

<<Come vedi il futuro del mondo della cucina?>>. Michele ammette che per fortuna se ne fa un gran parlare. Un fenomeno mediatico che non finirà presto. Ma oggi abbiamo tutti poco tempo a disposizione e finiamo sempre nel solito supermercato. Nemmeno lui che è un ricercatore di “cose buone” qualche volta riesce ad andare dal produttore a fare due parole per imparare ancora e crescere. <<Sei pessimista?>> gli chiede Valentina. <<No sono realista>>. Michele vorrebbe che la sua portulachia diventasse il simbolo della terra che vince sul consumismo e sulle leggi di marketing.

Per me lo è già diventata.

E quando Valentina gli domanda quale ricetta cucinerebbe alla persona che ama, risponde serio:

<<I miei spaghetti con verdure cotte, fiori e verdure crude. Stasera quando andate a casa raccogliete le erbe del vostro balcone, cucinate dei buoni spaghetti artigianali, conditeli con olio extra vergine e con tutte le erbe. Non importa in che percentuale. Fatelo. Sarà un piatto magnifico per la persona che amate>>.

Abbiamo toccato il cuore del nostro chef. Michele qual è il tuo piatto della memoria? Michele non esita e subito risponde: <<L’insalata di cetrioli e pomodori che mi facevano quando ero piccolo. Ancora sento quel sapore in bocca>>.

La mia storia dedicata a Michele Biagiola per Futura Festival finisce qui.

Ora vado a casa a farmi una profumata insalata di cetrioli e pomodori, quest’anno, come conferma anche Michele Biagiola, sono buonissimi. E voi che mi avete letto ora dovete assolutamente andare da Michele nel Ristorante Le Case in Contrada Mozzavicci a Macerata.

C’è anche una pizza che non avete mai mangiato…

Carla Latini

Ad Ascoli un Renzo Arbore ad “Alto Gradimento”

in Senza categoria da

Renzo Arbore ci fa un volante saluto prima del concerto, con un bacio a Carla Latini e uno scatto con il terzo numero cartaceo di Tyche Magazine, che riporta la sua intervista. Non nasconde gli acciacchi che i suoi 78 anni rendono legittimi, ma quando sale sul palco ridiventa un leone. La goliardia di sempre, quell’irresistibile umorismo del sud che la “erre” moscia rende aristocratico. Il tutto condito da tanta, ottima nostalgica musica italiana con la predilezione alla componente partenopea. Più che un concerto quello con l’Orchestra Italiana è un programma. Uno di quei suoi programmi che in radio e tv sono riusciti ad infrangere gli schemi classici del comunicare.

Lui, amante del rock’n’roll e dello swing, in fondo è il più italiano di tutti. Gioca con i suoi talentuosi musicisti e li rende personaggi con e senza lo strumento. Un menestrello che prende spunto con ironia della vecchiaia per alleggerire l’umore del numeroso pubblico intervenuto anche “in Ascoli”. Un ottimo banco di prova per l’organizzazione Tyche Eventi, in questa occasione impeccabilmente supportata dalla Simbiosi Marketing. Una menzione poi per il giovane sindaco di Ascoli, Guido Castelli, rivelatosi un buon corista. Una serata in definitiva, tanto per dirlo alla sua maniera, ad “Alto Gradimento”.

Kruger Agostinelli

Foto di Federico De Marco

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Gino Paoli allo Shada, il sapore di mare e di cose “non” perdute…

in Eventi/Shada Civitanova da

Gino Paoli cambia le carte di in tavola e sostituisce un brano del bis, “Quattro amici al bar” con la ripetizione di “Sapore di sale”. Ma come dargli torto? I quattro amici si sono trasformati allo Shada di Civitanova in oltre ottocento persone. E il sapore di sale ha un senso in riva al mare e soprattutto per dirlo alla sua maniera “di cose perdute”. Poi il cantautore genovese lo aveva anche ricordato durante il suo concerto: <<Ci sono canzoni scritte da noi che ormai appartengono al pubblico e può farne ciò che vuole>>.

Gino Paoli ci consegna ancora le sue immortali turbolenze d’amore. Proprio quelle canzoni che per molti di noi sono state non solo colonne sonore sentimentali ma proprio mezzi di comunicazione per far breccia sui cuori fertili degli amanti. Record dei record per “Legati ad un granello di sabbia”, il venerdì notte ideato da Aldo Ascani. Grazie all’autore de “Il cielo in una stanza” la notte civitanovese più esclusiva della Riviera Adriatica ha superato tutte le presenza delle precedenti cena spettacolo.

Gino Paoli e Marco ChiattiUn veloce scambio di battute a fine spettacolo con il collega Marco Chiatti che gentilmente ci concede per Tyche Magazine.

Lei ha ancora voglia di scrivere: è in preparazione un suo nuovo disco, ce ne anticipa qualcosa?

<< Il tema di fondo di questo lavoro è il rifiuto del “definitivo”. Siamo abituati a considerare le cose che succedono come immutabili e tendiamo a essere schiavi del “sempre” e del “mai”. Invece per me la chiave di tutto sono le domande, la ricerca: il mondo è in eterno cambiamento, e così anche noi siamo sempre in evoluzione. Ogni cosa, ogni azione umana, è il seguito di una domanda. Le domande sono un atto di opzione, di speranza, di ricerca. E a questa ricerca corrisponde una ricerca musicale, che nel disco si sviluppa in tante maniere>>.

Ma secondo lei, esistono ancora oggi canzoni d’amore?

<<Le canzoni d’amore esistono, sono sempre esistite ed esisteranno sempre. È il modo di esprimere l’amore che nel tempo è cambiato, la maniera di parlarne che è diversa, così magari una persona di una certa età fa fatica a comprendere le espressioni di un giovane. Ma il sentimento è uguale, è sempre lo stesso. Anzi, di più: è il motore che ispira ogni tipo di artista, chi scrive, chi dipinge, chi fa musica>>.

Ha ricordi, aneddoti, episodi, persone che la legano alla nostra regione, le Marche… 

<<Oltre a fare musica io dipingo e delle Marche mi ha sempre colpito la “pittoricità”. Mi spiego meglio: guardandosi intorno in queste terre sembra che sia già perfetto. Le masse, i sassi, sono talmente messi bene e con i colori giusti che non c’è bisogno di spostare nulla. È tutto talmente preciso che a chi guarda non resta che tradurre il tutto sulla tela. Perché è già tutto fatto>>.

Kruger Agostinelli

Intervista gentilmente concessa da Marco Chiatti

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Arcimboldo, “gustose passioni” nel libro di Ketty Magni

in Cultura/Libri da

Ketty Magni è una mia cara amica. Una scrittrice di gran talento e di “gustosa passione”. Complice Valentina Conti, sono stata coinvolta nella presentazione del suo ultimo libro dedicato ad Arcimboldo in occasione di Futura Festival.

Arcimboldo è il “pittore fruttivendolo”, tanto famoso durante il Rinascimento e poi dimenticato, perché forse non capito. La sua fama riprenderà con i surrealisti. <<Ma quanto è attuale oggi Arcimboldo?>>. Valentina inizia con la domanda di rito. E Ketty ci racconta di quest’uomo irruento e passionale. Pieno di energia, intraprendenza e generosità. Un uomo che era riuscito a ritrarre Rodolfo II, l’imperatore degli Asburgo, con una pera al posto del naso. Arcimboldo si vantava di entrare a Palazzo ad ogni ora del giorno e della notte. Aveva l’amore della donna più corteggiata e ambita del momento, Ludovica Crivelli, che morirà presto, lasciandolo nella disperazione. Era ambizioso a dismisura. Amava ostentare la sua arte. Fu molto popolare all’epoca. Divenne ricco con la sua arte. <<Attuale ora sicuramente si! Arcimboldo è uno dei simboli di Expo. È la natura che entra dentro l’uomo e lo fa diventare immortale>>. Ketty è innamorata della storia del suo Arcimboldo. Lo accarezza con le parole e lo protegge. È tenera quando racconta di come si innamorò di una povera fruttivendola e di tutto quello che fece per renderla felice. Nel libro sono descritti i pranzi sontuosi e le ricette pregiate che ne facevano parte. Erano tempi in cui le portate erano assolutamente ben confezionate. <<Si mangia prima con gli occhi. Ne sa qualcosa il nostro amico Gualtiero Marchesi>>. <<Ma come hai fatto a elaborare le ricette del tempo?>>. <<Segreto professionale. Ho le mie fonti. All’epoca si mangiava dolce, si condiva con miele, formaggi, frutta e verdura. Si cominciava già a bere del vino freddo. Erano molto bon vivant, gaudenti>>. Da qui in poi lasciamo Arcimboldo ai suoi teneri ricordi e parliamo di oggi. Ketty come me conosce tanti cuochi importanti. Quelli televisivi per intenderci. Quelli mediatici capaci di far diventare un piatto a tre stelle una semplice patatina fritta confezionata. Concordiamo, da sagge visionarie del fenomeno che c’è troppa esposizione. Sono anni che lo diciamo e anni che è sempre così. Anzi aumenta. Tutti oggi sono esperti di cibo e fotografano i piatti al ristorante. Lo faccio anch’io, lo ammetto. Ma perché sto lavorando. E mi vergogno anche un pochino. Però non annuso i piatti. Quello proprio no. Dal pubblico in fondo arriva un no tassativo riguardo il naso su i piatti. C’è un pubblico attento e critico al Futura Festival. Un pubblico che con il caldo che faceva è arrivato puntuale ed ha apprezzato la storia di Arciboldo raccontata da Ketty. Valentina le domanda che libro ha sul comodino. Che libri, mi correggo. <<Non te lo dico>>. I libri sul comodino di uno scrittore, di solito, svelano la trama del suo prossimo libro.

Carla Latini

Il Summer Jamboree merita la patente di festival internazionale

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Summer Jamboree in attesa di diventare maggiorenne? No perché, come in America, al suo 16° anno merita già la patente, avendo dimostrato di saper guidare una macchina che continua a piacere. Sapete cosa convince di più? E’ la sua autorevolezza nel sapersi presentare come un festival che nasce da un territorio bello come quello di Senigallia ma ripulendosi da qualunque vizio provinciale. C’è il senso internazionale del sapersi proporre, si respira aria nuova e lo stesso pubblico è curioso e divertito senza bisogno di “vizi” da aggiungere. Lo sballo è nell’atmosfera che si respira e nella curiosità di vedere quello che succede, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Ad Angelo Di Liberto e Alessandro Piccinini, i due instancabili e gloriosi organizzatori, va dato il merito di aver saputo mantenere il livello artistico sopra la media. Nulla al caso, scelte intelligenti e condivisibili. Di quel poco che siamo riusciti a vedere, vogliamo sottolineare l’entusiasmante performance di Ondrej Havelka and His melody Makers senz’altro la novità più brillante dell’intero cast. A cui vanno aggiunti, e non spirito campanilistico, i Cialtrontrio BigBanda. Di quello che vi abbiamo detto vi invitiamo a vedere i nostri video in allegato.

Ma andiamo con i numeri stratosferici per la sedicesima edizione del Summer Jamboree che si è aèèena conclusa. Stimate, secondo il sindaco di Senigallia Maurizio Mangialardi circa 400 mila presenze nei 9 giorni del festival (più uno di anticipazioni).   Impressionanti anche i dati della rete: la pagina Facebook ufficiale ha superato i 100 mila fan mentre i post sul Summer Jamboree hanno raggiunto una copertura di oltre 700 mila contatti. Sul lato artistico 40 concerti che hanno visto protagonisti 194 tra artisti e dj. Tuttavia, a rendere l’idea del livello raggiunto dalla manifestazione è stata una frase, più che un elenco di dati. “Non ho mai visto tanta gente felice tutta insieme. Girando ad ogni angolo della città tutti hanno il sorriso in volto”. Parole pronunciate da Gary US Bond, uno dei big che si sono esibiti quest’anno. Ma dall’impeccabile organizzazione, si insiste ancora sulla quantificazione numerica della portata dell’evento: 6 i palchi utilizzati per gli spettacoli dal vivo, per allestire i quali sono statiimpiegati 18 mixer, 120 tra microfoni e radiomicrofoni, 78 casse acustiche, 370 altoparlanti, pilotate da oltre 180 amplificatori, e oltre 3 km di cavi per audio e luci. Infine 10 le “piazze” in cui si sono svolti i dj contest e 120 le persone che hanno lavorato all’evento (escludendo il personale dei fornitori del Festival). Tra gli eventi più partecipati del dopo festival, vanno menzionati il Burlesque Show di Eve La Plume e Grace Hall che ha riempito gli 800 posti disponibili del teatro La Fenice, e il Big Hawaiian Party sulla spiaggia di velluto di Senigallia in cui hanno ballato circa 20 mila persone. Un bel regalo, a sorpresa, agli organizzatori Angelo Di Liberto e Alessandro Piccinini dal palco (Main Stage Foro Annonario) del Rock’n’Roll Revue di sabato notte insieme è arrivato da Renzo Arbore. (l’11 agosto in scena con l’Orchestra Italiana al campo sportivo Squarcia di Ascoli in un concerto della Tyche Eventi).

Kruger Agostinelli

QUI TUTTI GLI ARTICOLI TYCHE SU SUMMER JAMBOREE 2015

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Roberta Schira, con sette regole vi aiuta a riconoscere dove si mangia bene

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Paolo Paciaroni Roberta Schira Carla Latini Tre giorni con la Schira. Sembra il titolo di un film. “Le Schiriadi” è il titolo del suo nuovo programma televisivo in onda il 12 Agosto sulla rete Blastingnews.com e poi, a settembre, sui canali tradizionali. Epocali punti di vista da Schira. Si comincia con Expo. Ma ora torniamo nelle Marche. Roberta Schira è con me per tre giorni. Paolo Paciaroni (ricordate il mio cuoco felice di Tolentino?) le ha trovato un luogo, chiamarlo location sarebbe offensivo, per presentare il suo libro “Mangiato bene? Le 7 regole per riconoscere la buona cucina”. Siamo a San Marcello, a cavallo fra verdicchio e lacrima. Vigne, girasoli e ulivi. Aria fresca e tramonto prenotato. Non credo che Roberta abbia mai avuto palcoscenico più bello. Non credo che Roberta abbia mai avuto la traduzione simultanea in tedesco. A Tenuta San Marcello, Massimo e Pascal producono Verdicchio da 9 anni. Durante prima e dopo la presentazione assaggiamo le annate, prima per caricarci e dopo fra un piatto e l’altro di Paolo Paciaroni. La cena si intitola: il Verdicchio incontra il tartufo. Ed è sold out da giorni. Roberta Schira, per chi ancora non la conoscesse, è una delle scrittrici italiane più lette tra quelle che si occupano di critica eno-gastronomica. “Mangiato bene?” è il suo decimo libro. Un’idea geniale, come lei stessa ammette, applicabile a qualsiasi business al di là di cibo e vino. In un mondo in cui tutti ormai si sentono sicuri del proprio palato, prenotano i ristoranti consultando guide e tripadvisor, cucinano per gli amici e criticano conti e prezzi dei vini, come facciamo a capire se abbiamo mangiato bene oppure no? Il sole sta tramontando e ci tinge tutti di arancione. Chef Paolo è con me e Roberta sul prato. Di fronte a noi più di 40 persone. 12 sono stranieri per cui una bella cameriera aiutata da un signore olandese che poi scopriremo chiamarsi Daniel, traduce in tedesco. Affrontiamo subito il concetto di buono. <<Per affermare che questo verdicchio è buono – dice Roberta – devo almeno averne assaggiati altri 10>>. Paolo conferma la versione di Roberta. Il palato va esercitato. Così come l’olfatto e l’odorato. Nel libro mi piacciono molto le pause di riflessione che la Schira ci obbliga a fare. A non oltrepassare l’ostacolo. Insomma, bisogna cominciare il gioco e finirlo. La prima regola è la materia prima. Non esiste ristorante o qualsiasi altro esercizio commerciale che non investa nella materia prima. Che sia ricca o che sia povera deve essere fresca e di buona qualità. Seconda regola è saperla manipolare. Saper usare la tecnica. Nel rispetto della sua tradizione. Diffidate da un pasta scotta, da un risotto mal mantecato, da una carne troppo cotta e tagliata male. Fin qui dice Paolo ci siamo. Poi ecco la regola numero tre. Il Genio con la G maiuscola. Il cuoco che va al di là e crea una nuova strada. Genio è Gualtiero Marchesi. Genio è Ferran Adria. Massimo Bottura. Al numero quattro si parla di equilibrio e armonia. Facile a dirsi. Difficile da mantenere. Roberta, che prima di scrivere di cibo è andata a scuola di cucina da un grande che si chiama Claudio Sadler, ha imparato a riconoscere gli ingredienti in un piatto solo guardandolo. Bastano 3 ingredienti principali che siano in equilibrio e armonia. La regola del 3 di Riccardo Agostini. Il punto cinque ci trova tutti d’accordo. Intanto la giovane cameriera aiutata da Daniel traduce e diverse sono le interruzioni e le domande. Il punto cinque è l’atmosfera che è fatta da sedie comode, non troppo caldo non troppo freddo, né troppa né poca luce, musica in equilibrio e armonia con l’ambiente. Cameriere presente ma non insistente. Insomma la sfera che ci circonda quando siamo in un ristorante od anche in un semplice frutta e verdura che cucina per noi. E magari cucina verdure recuperate nella memoria e segna anche la storia.

Perché il punto numero sei è, come dice Paolo quando lavora i prodotti della sua terra maceratese, il progetto. Nascondere dentro un piatto la storia della terra che si vive, il rilancio o anche il lancio di prodotti locali, nella stima e nel rispetto del lavoro degli altri. Come fa Paolo quando utilizza la zafferanella o come Alex Atala che ci cucina il platano in tutte le sue sfaccettature. La settima regola è quella che ci permette di riconoscere il food cost del piatto, la scelta delle materie prime, la ricerca che c’è dietro quel piatto, il servizio e la cura che si mette nel ricevere. Ho speso il giusto è la risposta che dovremmo riuscire a darci. Potremmo dilungarci ancora un po’ ma la cena ci aspetta. E così in 42 seduti ad un tavolo imperiale godiamo delle delizie che Paolo Paciaroni ha creato per noi con il tartufo nero fresco. Cominciando con un bignè di bufala affumicata, un carpaccio di carne di vitello, un uovo pochè con crema di patate, continuando con i trucioli di Gualtiero Marchesi e tartufo nero, la carne di vitello arrosto con timo selvatico e rosmarino e il semifreddo alla vaniglia con tartufo strezeul alla nocciola. Avevo promesso a Roberta che le avrei fatto vedere le Marche, quelle vere. Il giorno dopo per andare a Tolentino da San Marcello passiamo nell’interno. Qualche curva di troppo ma che meraviglia. ‘Sono innamorata delle Marche.’ Roberta lo dice anche al fraticello che ci accompagna durante la visita alla Basilica di San Nicola a Tolentino. Una delle meraviglie della nostra terra. Da visitare appena potete. Un po’ di Marche anche nelle Schiriadi? Chissa?

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