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agosto 2015

Chef Rubio addenta la cucina di strada marchigiana: “C’è tutto nella vostra terra!”

in Giornalista e dintorni/Mangiare e bere da

Fu mio figlio a segnalarmi Chef Rubio, un personaggio ad alto gradimento televisivo che si è imposto grazie ad un pubblico giovane ed alternativo sul canale DMAX. Non ho avuto tempo per contestare la sua scelta, mi sono ritrovato subito anche io nel club della “Rubiomania”. Simpatico, diretto, quasi un fumetto di quelli belli ed eroici che si materializza. Del resto i numeri dei social parlano chiaro sulla sua reale efficacia: 380mila followers su Facebook, 60mila su Twitter e oltre 50mila su Instagram. Insomma, un personaggio non creato dalla rete ma spontaneamente molto amato dal web. Chef Rubio si è aggiudicato nel 2014 il titolo di “Migliore Chef” ai Macchianera Italian Awards 2014 e anche i Tweet Award di Bologna. Nel 2015 è nell’olimpo della categoria cuochi per il premio “Italia a Tavola”. Ora Gabriele Rubini, questo il suo vero nome, sta per sbarcare con le storie del viaggio culinario, il terzo per la precisione, all’insegna dello street food con “Unti e Bisunti”. Sarà in prima tv esclusiva su DMAX dall’8 settembre, ogni martedì alle 21.10. Chef Rubio infatti è il rappresentante assoluto della cucina di strada, quella erroneamente considerata “sporca e cattiva”. Insomma, il mondo opposto dei ristoranti stellati. Costantemente alla ricerca e alla riqualificazione di piatti e ricette della tradizione di sempre, attraverso chioschetti e mercati rionali. Un’esplorazione gastronomica che lo vedrà questa volta anche protagonista nelle Marche, oltre che da quest’anno con puntate dedicate a Spagna, Germania e Francia. Lo intercettiamo telefonicamente per una di quelle interviste che inevitabilmente scivola nella piacevole chiacchierata fra amici.

Con “Unti e Bisunti” continui a raccontare ancora i piatti e la gente di strada dell’Italia e stavolta anche dell’Europa. Se con il cibo si identificano i territori e la tradizioni, la gente di strada è davvero così diversa da città a città e da nazione a nazione?

<<Il cibo stesso è identico nell’abitudine, ma sono gli interpreti che sono diversi. A causa del periodo sociale che vivono e soprattutto nel modo in cui il singolo si rapporta con l’elemento. Il cibo è così sempre versatile, mai noioso e si può parlare di lui senza mai arrivare ad una vera conclusione. Sono le persone che esprimono lo stesso ingrediente in maniera totalmente diversa. E’ un linguaggio della gente che mi piace>>.

Sei venuto nelle Marche. Siamo curiosi di avere delle tue impressioni. E meglio ancora se hai dei ricordi particolari della nostra terra e della nostra gente.

<<Non posso anticipare nulla della puntata ma posso dirvi che dal mare alla pianura, dalle colline alle montagne, le Marche ci hanno regalato un sacco di piatti di cui parlare. Abbiamo provato a fare un quadro a tutto tondo del panorama marchigiano, che parte dal crudo e dal bollito per arrivare all’arrosto e al fritto, cercando di essere il più possibile esaustivi nel raccontare un popolo e una terra interessante per la varietà offerta. Se ti dico che mi piace rischio di essere un ruffiano ma non è così. Siete una regione completa, avete tutto>>.

Chef Rubio in tv e Gabriele Rubini nel privato. Sicuramente riescono a convivere nella vita quotidiana. Ma non accade a volte, magari in casi eccezionali, di voler invertire i ruoli?  

<<Sono la medesima persona. A volte mi è capitato anche in interviste e quant’altro di poter far parlare Gabriele, non solo Chef Rubio. Siamo la stessa cosa: semplicemente Chef Rubio quando deve far passare meglio un messaggio a tutti usa l’escamotage della comicità, del cinismo e della strafottenza. Vie traverse per attirare l’attenzione>>.

Penso che tu sia consapevole di essere un simbolo, soprattutto per le nuove generazioni. I ragazzi ti vogliono bene e ti guardano con ammirazione. Non dico che rischi di avere delle responsabilità ma rappresenti ed esalti la periferia. In fondo trasmetti quel sano gusto della sfida e l’ironia dello sfottò. Cosa ti sentiresti di consigliare a loro per farli vivere meglio in una società che tanto giusta non è?

<<Che devono studiare, viaggiare, leggere. Solo così possono difendersi da un mondo che cerca di tendere sempre al ribasso, per far si che tutto sia sotto controllo e a vantaggio di quelli che noi chiamiamo (con accezione troppo pomposa) i potenti. Solo così i giovani avranno delle armi per combattere e per ritagliarsi un angolo di serenità>>.

Andiamo, solo per un po’ con leggerezza, sul pettegolezzo. Chef Rubio che piace alle donne è un fatto appurato. Merito dei tatuaggi, dell’atteggiamento spavaldo o dello sguardo in fondo un po’ avventuroso e romantico che hai? Insomma ti senti un oggetto del desiderio o piuttosto un uomo che non deve chiedere mai ?

<<Piaccio alle donne? Me lo dite ogni volta, ma è una questione che mi interessa fino ad un certo punto. Piaccio molto anche agli uomini ma non è questo l’obiettivo per cui mi metto in discussione. Mi fa piacere ma finisce nel momento stesso in cui me lo fate notare. Credo che l’interesse vari ogni volta da persona a persona. Può colpire la capacità di far ridere, la fisicità, il tatuaggio o quello che vuoi. Ogni cosa può colpire in maniera differente. Non siamo tutti attratti dalla stessa cosa. E questo è un bene>>.

Apprezzato nel rugby, chef vincente. Se ci fosse un sogno da realizzare quale sceglieresti? Protagonista in un film, cantante in una band di hard rock, dentro un’astronave verso Kepler 452b, il pianeta della nuova galassia che assomiglia alla Terra… Oppure scegli tu!  

<<Fare fotografie, recitazione o scrivere sono caratteristiche che posso coltivare e che sto coltivando. Sono assolutamente nelle mie corde. Magari cantare una canzone non più sotto la doccia ma di fronte a 100mila persone è un’altra cosa. Quindi direi che vorrei essere una rock star d’altri tempi>>.

Noi di Tyche ci stiamo impegnando per diventare influenti nei concerti quindi ti facciamo esibire noi!

<<Beh allora vi chiedo di costruirmi una macchina del tempo, così mi portate a vedere Bob Marley o Freddie Mercury a Wembley. Mi raccomando ricordati pure gli Ac/Dc in Australia>>.

Mensilmente facciamo filosofeggiare i nostri intervistati su una parola, questa volta tocca a TYCHE. Ti aiuto. Nella mitologia greca era la personificazione della fortuna. E allora la fortuna che ti fa venire in mente?  

<<La fortuna premia gli audaci, è cieca e “a chi tocca nun se ‘ngrugna”. Però tutto questo è affascinante. C’è chi si danna per arrivare ad un risultato e poi non ci arriva mai, chi ci arriva all’ultimo, chi nel momento più inaspettato. E c’è chi invece con il minimo sforzo fa jackpot. È il fascino di quello che viene chiamato Tyche>>.

Ultima domanda a proposito della parola TYCHE, quindi dedicata ai nostri lettori, chiediamo a Chef Rubio: che piatto ti viene in mente di dedicarci e ci offriresti da mangiare?

<<Non ho dubbi, vi preparerei una ricetta orientale. Un biscotto della fortuna fatto magari in casa, con una cialda doc a sorpresa al posto del bigliettino. In base al gusto del lettore>>.

Kruger Agostinelli

Ramona Ragaini, il mestiere di rendere bello un ristorante

in Mangiare e bere da

Una cena da Andreina, a Loreto, la consiglio a tutti. Assolutamente necessaria per farsi del bene e per fare del bene a chi amate. Le indubbie capacità di Errico Recanati, le sue versatili e tenere (per me) invenzioni sono note. Errico è un cuoco maturo e sicuro. Molto divertente. Perché la cucina, tolti i puristi angoscianti, è divertimento. E io, mentre mangio, voglio ridere. La moglie di Errico, nonché mamma di due cuccioli biondi, si chiama Ramona Ragaini. Ma questo lo sapete già. D’ora in poi, nel pezzo che sto scrivendo, sarà solo Ramona.

Bella, elegante nel portamento, sorridente senza invadenza, bionda con labbra rosso corallo. Sobria nel vestire. Competente ed intelligente nel consigliarvi, coccolarvi, indicarvi verso la scelta del vino giusto. Durante il Congresso Identità Golose di quest’anno, Ramona ed altri suoi colleghi che si definiscono “noi in sala o quelli della sala”, hanno cercato di far notare ad un pubblico molto preparato, quello appunto di un congresso gastronomico, l’importanza della sala. Quando arrivate in un ristorante “famoso, premiato dalle guide e stellato” vi accoglie il cuoco? No. Vi accoglie il Maitre, il sommelier, il cameriere. Ramona, che sarebbe Maitre e sommelier insieme, con me gioca e si definisce “cameriera”. Mi sta bene. Grande onore anche a chi fa “solo” il cameriere o la cameriera. Mi domando, e con Ramona abbiamo discusso di questo, ma ci rendiamo conto noi clienti di quanto, qualche volta, siamo difficili da servire?

Così l’altra sera, appunto da Andreina, mentre gustavo il menu “Errico” che è come farsi rincorrere dal Bian Coniglio e pescare nella baia nell’Isola che non c’è, sentivo, involontariamente, commenti e consigli, esperienze e sicurezze, nostalgie e falsi miti, della bella clientela. Ramona innamorata del marito, dei loro piccoli, del lavoro e del vino, si sveglia ogni mattina conscia si essere l’assist con il quale Errico farà sempre canestro. Un grande cuoco, e non lo dico solo io, ha sempre bisogno di qualcuno in sala che racconti il suo piatto. Che trasmetta le emozioni e gli odori della cucina. La sala è il 60% del successo di un ristorante. Forse anche di più. Ovvio quando il cuoco esce la standing ovation è per lui. Ma chi per tutto il tempo ha curato il servizio, cambiato le posate, controllato la temperatura dei vini, riportato tovaglioli caduti, tolto cloche come fosse una danza, sorriso ai mille cambiamenti al momento dell’ordinazione del dessert merita un “posto al sole”. Soprattutto mentre gli state raccontando di tutti gli altri stellati che, beati voi, vi siete mangiati e di come vi siete trovati ecc… Per cui la prossima volta che vi fate un viaggio per andare da un cuoco big ricordatevi della sala. Un sorriso di Ramona, come quello dei suoi colleghi professionisti, ha un grande valore. Che completa in toto la vostra esperienza.

Carla Latini

Fiorella Mannoia e lo Sferisterio, in una notte di fine agosto

in Senza categoria da

Fiorella Mannoia Sferisterio MacerataLei canta “Le notti di maggio” e noi descriviamo una notte di fine agosto nel suggestivo palcoscenico di Macerata. Fiorella Mannoia è leggera, profonda ed incantevole. La stupefacente maturità dei suoi anni si nasconde nell’inebriante frutto del suo mestiere. Una gioia incontenibile per il numerosissimo pubblico che applaude mentre lei canta, che canta mentre lei balla e alla fine? Eh già, proprio quel finale entusiasmante in cui Fiorella cerca e trova un autentico bagno di folla. Il suono che fa da cornice è perfetto, come un abito aderente. A volte sensuale, altre volte elegante e all’occorrenza scatenato. Ci vuole questo per una voce come quella Mannoia. Interprete raffinata come poche al mondo. E fa bene a ringraziare Enrico Ruggeri che per primo la testò come interprete della musica d’autore italiana. Questa regina dai capelli rossi rende tutto magico e le canzoni di Claudio Baglioni, Ivano Fossati, Francesco De Gregori, Enzo Jannacci, Paolo Conte, Vasco Rossi e Renato Zero guadagnano sempre qualcosa in più. Abbiamo sentito la mancanza di un omaggio a Pino Daniele che lei conosceva bene. Ma non si può volere tutto e poi, a dire la verità, ormai lo fanno quasi tutti. Fiorella brilla e accende la notte. C’è temperamento e rivoluzione dentro di lei. Non fa comizi ma l’impegno c’è e l’attenzione pure. E per dirla con delle parole che ci cantato “Ho imparato a sognare e ho iniziato a sperare che chi c’ha avere avrà. Ho imparato a sognare quando un sogno è un cannone, che se sogni ne ammazzi metà”. Sembra proprio di essere con Fiorella nel mondo delle meraviglie…

Kruger Agostinelli

 

Carla Latini di nuovo con le “mani in pasta”: è nata 600.27

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Carla Latini è collaboratrice d’eccezione di Tyche Magazine e amica storica dal tempo delle radio private, quando alla fine degli anni Settanta erano davvero libere. Il suo grande amore e, aggiungo, la sua grande competenza nel mondo della pasta artigianale la porta di nuovo ad una stimolante avventura imprenditoriale. Per dirla con le sue parole, <<dopo 25 anni di “mani in pasta” ho accettato volentieri questa scommessa>>. E’ recente, infatti, il lancio della sua nuova linea di pasta, il cui nome è 600.27. Il 600 sta per le varietà di grano duro che ha conosciuto nella sua attività artigianale e 27 sta per i tipi di spaghetti diversi che nel tempo ha saputo creare. Un cammino professionale che ora la vede protagonista con la famiglia Stoppani, nome storico nell’enogastronomia meneghina, conosciuta a livello nazionale e internazionale per aver condotto dal 1970 al 2013 il food-store e i ristoranti Peck di Milano. Un’azienda da sempre leader nella selezione di materie prime di assoluta eccellenza.

Carla, istruzioni per capire e gustare al massimo la tua pasta artigianale marchigiana?

<<Sicuramente bisogna mettere in moto i sensi. Quindi la vista può catturare il giallo oro, che aiuta a dare la percezione che sono state usate varietà di grano duro colorite e saporite. Poi, indispensabile l’olfatto: quindi, appena aprite il pacchetto, annusatelo immediatamente e potrete sentire il profumo della farina. Per l’udito invece cito il mio amico Gianfranco Vissani: anni fa, mi disse che la buona pasta artigianale si sente anche dal “rumore che fa quando la spezzi”. Infatti se prenderete un mio spaghetto 600.27 vi accorgerete che spezzandolo si sentirà un suono netto, preciso. Mentre la pasta industriale ha un rumore di rottura simile a un filo di plastica. Poi si conclude finalmente con il tatto e il gusto. E lì spero che l’innamoramento prenda forma… >>

Una delle paste è firmata da Gualtiero Marchesi

<<Sono i trucioli di Gualtiero Marchesi. Marchesi, oltre ad onorarmi della sua preferenza, mi ha chiesto di non farli ruvidi, utilizzando delle varietà antiche di semola di grano duro italiano. Lui ha poi sovrapposto al candore e alla levigatezza del truciolo il nero dei chicchi di riso croccanti e pepati condendo alla milanese, con una salsa a base di burro e di zafferano. I trucioli restano al dente, tengono benissimo la cottura grazie alle dimensioni della “cartella” che all’interno della trafila determina lo spessore della pasta>>.

E invece per i comuni mortali, come evitare il pericolo di scuocere gli spaghetti?

<< Posso raccontarti che in fase di test della nostra pasta con un grande chef abbiamo appurato che gli spaghetti grandi, ad esempio, cuociono perfettamente per 9 minuti in acqua, più 4 in padella. Inoltre con le cucine professionali, grazie alla tenuta ottimale della cottura, si possono anche allungare i tempi. Gli spaghetti poi resistono benissimo all’attesa, anche se serviti dopo un po’. Questo avviene grazie ad un’attenta essiccazione a bassa temperatura della semola con le classiche trafile di bronzo. Un modo che permette di proteggere le caratteristiche nutrizionali, organolettiche e proteiche dei grani duri. Insomma, potete stare tranquilli>>.

Quindi come facciamo innamorare il pubblico di questa pasta 600.27?

<<Direi che è semplice. Quando bolle l’acqua gettate la pasta,  poi copritela un istante per far riprendere il bollore. Perché questa operazione? Permetterà, una volta scoperchiata la pentola, di sentire il profumo che solo una buona pasta artigianale riesce ad esprimere. Un odore che mi ricorda la mollica di pane caldo. E tanto per dirla come una canzone che amavamo quando eravamo disc jockey “tu chiamale se vuoi… emozioni”>>.

L’avventura per Carla è iniziata. Per soddisfare la curiosità di volerla cucinare voi e soprattutto di trovarla, provate a contattare via mail a info@pasta60027.it, oppure visitando  www.pasta60027.it

Kruger Agostinelli

Gvstibvs a Osimo, per apprezzare i sapori marchigiani anche con la complicità di Vissani

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De Gustibus non est disputandum. Così la pensavano gli antichi romani. In pratica, sui gusti non si discute. Ognuno ha i suoi. Ed io, quando ho il piacere di stare nella mia piccola Osimo (un paese incantevole che qualche volta vorrei visitare da turista) mi fermo a mangiare qualcosa di buono ed a bere bene da Gvstibvs. Con le u alla romana, cioè v. Abbiamo inaugurato Gvstibvs – scrivo abbiamo perché ho seguito con vicinanza e affetto tutto il lavoro fatto per arrivare fino a qui – tanti anni fa. Il destino aveva voluto che anche Gianfranco Vissani fosse con noi. Ma chi sono i Gvstibvs? Nunzia a Iva Marchegiani, rispettivamente sorella maggiore e minore, seguono la sala, il servizio ed il bar. Nunzia si dedica ai vini che qui hanno etichette locali importanti. Da Gvstibvs si beve molto bene. Luca Zamperini è il cuoco, nonché marito di Nunzia. Una mano benedetta che molte volte ha toccato la tentazione di cucine stellate. Una mano culinaria molto corteggiata dai grandi. Non a caso Vissani passava spesso di qua. Luca è sommelier, cuoco diplomato, pasticcere, gelatiere. E sa fare con grazia e inventiva ogni cosa. Che sia un coniglio in porchetta o un knoedel. Nunzia ha lavorato come sommelier in trentino prima di conoscere Luca e tornare all’ovile. I knoedel sono uno sei simboli del loro amore. A pranzo da Gvstibvs, che sta nella piazza principale del paese, si mangia anche velocemente e tradizionale. La sera Luca tira fuori la sua fantasia ed il menu a carta è intelligente e stimolante. Uomo dalle tante virtù Luca trova anche il tempo di allevare ed addestrare cani di razza perché siano utili amici a chi è meno fortunato di noi. La passione per queste deliziose bestiole e l’amore in genere per ogni tipo di animale ha contagiato l’intera famiglia Gvstibvs. Ieri a pranzo mi sono fatta fare: spaghettini con moscioli, capperi e pomodorini, tortillas con verdure (croccantissime all’interno!), brasato al vino rosso con purea di zucchine e carote. La carne era “un burro” e le due purea una bella idea come contorno. In cucina insieme a Luca ci sono due giovanissimi cuochi, Lorenzo Baleani e Enrico Maria Re. In sala con Nunzia e Iva c’è il sorriso delizioso di Caterina Busilacchi. Già laureata in lettere, per l’estate, cameriera tutto fare. La clientela di Gvstibvs non è solo osimana, nessuno è profeta in patria, ma viene da fuori e ritorna. Ci sono turisti dal mare che la sera fanno qualche minuto di macchina per mangiare al fresco della fontana. Magari dopo aver visitato le grotte. 9 chilometri di tufo sotto terra. Una meraviglia storica che testimonia il passaggio in città di vite umane sin dall’anno mille. Religiosi, templari, guerrieri, banditi, soldati, sfollati e miti. Da visitare assolutamente. Nunzia è ormai un oracolo della città e conosce e consiglia ogni posto da andare a vedere. Per fare due passi osimani dopo o prima di mangiare da Gvstibvs…

Carla Latini

 

Il rito del cibo d’asporto a Cingoli, tradizione e sorprese

in Senza categoria da

Il Tetto delle Marche, il giorno dopo Ferragosto Più su sempre più su… Cingoli si arrampica fino a guardare negli occhi il San Vicino. La domenica dopo ferragosto oscurano il cielo nuvole nere cariche di pioggia. Sono davanti al Ristorante dei Conti. Da qui si vede che a Senigallia piove a dirotto. L’Hotel che ospita il Ristorante al piano di sotto è fermo nel tempo. Elegante e sofisticato come qualche decina di anni fa. Un grande giardino pieno di alberi da frutto e piante esotiche lo circonda. Qua e là ombrelloni e tavoli ricordano che si pranza e si cena all’aperto. Cingoli per me vuol dire agnello alla brace (mi perdonino i vegetariani), coniglio ripieno, funghi, tartufo. Tagliatelle e tortelli ripieni. Ciambelle e anisetta. Quasi sotto l’Hotel c’è un’importante pista da motocross. Ci fanno gare nazionali. Le moto ronzano come zanzare impazzite saltando da un ponte all’altro. Mi faccio impacchettare qualcosa e la porto via. Coniglio ripieno di delicatezze aromatiche. Leggero e profumato. Ora la mia macchina sa di bosco e di arrosto. Scendo verso la città. Se Cingoli è alta più di 600 metri il Ristorante dei Conti supera i 700 sicuro. Parcheggio per godere della passeggiata e della vita di paese divisa fra abitanti e villeggianti abituali. Sono anziani, molto anziani, famiglie con bambini, coppie di mezza età. Tanti ciclisti. Scambio due parole con delle signore in un bar accanto ad una rosticceria pizzeria che, anche oggi che è domenica, emana freschi odori di cucinato. Le Signore mi consigliano di fermarmi anche la sera. C’è Calici di stelle e tanti piccoli produttori locali. Qui intorno c’è una comunità di sardi che da anni alleva pecore e produce dell’ottimo pecorino. Anche lo yogurt! Mi informo se la rosticceria pizzeria ce l’ha. Mi dicono di si. Forse il coniglio che ho preso per pranzo è un po’ poco… forse. Sono curiosa di vedere cosa propone questa rosticceria ferma nel tempo come il Ristorante di cui sopra. Vincisgrassi sia bianchi che rossi. Cannelloni sia bianchi che rossi. Polli arrosto al forno ed allo spiedo. Patate. Verdure grigliate e fritte. Olive ripiene e cremini. Immagino che starete pensando: “Che noia le solite cose. Manca il vitell tonné e ci siamo tutti’ Invece il vitell tonné non c’è ma un c’è un arrotolato di vitello tipico di queste parti. Fatto solo con verdure strapazzate. Ne prendo qualche fetta insieme alle patate che sembrano buonissime. Mezza pizza di formaggio che è più formaggio che pizza. Una forma di pecorino stagionato. Mentre scelgo la strada più breve per rientrare a casa si è già fatta quasi l’una. Lentamente tutti i ristoranti della zona si riempiono di gente. Anche il mio Dei Conti era già sold out. Mi vengono in mente i pranzi di una volta. Tavolate di antipasti, primi, secondi, contorni, e dolci. I classici mari e monti. A casa, mentre mi guardo Valentino Rossi, assaporo con calma i miei “cibi comprati”. Sono buoni. Molto buoni. Come se li avessi fatti io. Il pecorino supera ogni aspettativa e mi fa sentire a casa ancora di più. In fondo sono marchigiana adottiva. Ed è Cagliari la città che porto nel cuore. Devo tornare e farmi accompagnare direttamente da qualche pastore e casaro… poi, come al solito, vi racconterò…

Carla Latini

I vincitori del Gelato Festival e i segreti per riconoscere un buon prodotto

in Mangiare e bere da

Leonardo Paialunga Il Pinguino di SenigalliaEstremamente dolce il confino fra vincitori e vinti al Gelato Festival di Senigallia. Noi di Tyche Magazine eravamo in giuria. Diciamo subito chi si è aggiudicato il primo premio? Giovanna Bonazzi, unica non marchigiana fra i cinque concorrenti. Rappresentava infatti la gelateria La parona del gelato di Verona, con il suo Cappuccetto Rosso. Gli ingredienti del successo sono stati latte, panna, zucchero, esse di bosco, croccante (biscotti), lamponi e come optional una pipetta con rosolio di lamponi. Mentre la nostra giuria tecnica ha premiato Leonardo Paialunga, della gelateria Il Pinguino di Senigallia, con il gusto in gara Tramonto di ponente. A basi di cioccolato, amarene e granella di amaretti.

Giuria Gelato Festival Senigallia 2015Far parte della giuria diventa paradossalmente un impegno, perché questo “lavoro” si consuma in un goloso assaggio, che deve essere diviso in tanti piccoli ma indispensabili giudizi. Ci piace descriverlo, per rendere più professionale la degustazione su coppetta o su cono, grazie alla spiegazione di Antonio Mezzalira, direttore di Gelato Festival . Come partenza va detto che si è in grado di dare un giudizio dopo tre palettate: la prima per raffreddare il palato, la seconda per comprendere la consistenza del gelato ed infine per affrontare l’analisi del gusto. Sono otto i quesiti che permettono di determinare la qualità di un buon gelato artigianale:

1) Coerenza del colore con il gusto; ovvero il colore deve risultare verosimile al gusto dichiarato.

2) Comprensione immediata del sapore; se il gelato è buono e genuino, più è facile identificarne ogni diverso sapore e percepire l’equilibrio degli aromi.

3) Livello di dolcezza; ovvero, per quanto sia un parametro personale, il gelato deve avere un equilibrio di dolce. Poiché se eccessivo risulta stucchevole.

4) Livello di cremosità; una sensazione indispensabile. Guai se si avverte untuosità eccessiva o una consistenza troppo acquosa.

5) Percezione di freddo; l’impatto termico con il palato non deve mai essere eccessivo.

6) Presenza di cristallizzazione; ovvero se avvertite dei cristalli di ghiaccio è chiaramente un difetto. Come del resto la sabbiosità di cristalli di zucchero o di lattosio.

7) Persistenza del sapore; il gusto del gelato deve rimanere presente in bocca per qualche istante. Se invece sparisce subito, o se resta troppo a lungo, non è un buon segno.

8) Velocità di fusione; se è troppo rapida dimostra una bilanciatura imperfetta degli ingredienti. Se invece non si scioglie, ciò potrebbe essere segnale della presenza di ingredienti ambigui per un gelato artigianale.

Ed ora buon gelato e permettetemi di citare, anche se non ha vinto ma è stato molto di mio gradimento, quel Mare di Inverno ispirato ad Enrico Ruggeri, proposto da Joseph Guerrera, della gelateria Joseph di Marotta. In linea con gli altri partecipanti, un gelato composto rasentando la filosofia della pasticceria. A base di latte, panna, mascarpone, noci e addensanti naturali. E comunque siano i vostri gusti, sempre viva il gelato artigianale italiano.

Kruger Agostinelli

Drigo: “il rock italiano del futuro? Ancora i Negrita”

in Senza categoria da

Negrita Tour 2015 approda ancora una volta in terra marchigiana, toccando la provincia di Ascoli Piceno e precisamente Centobuchi di Monteprandone. Un appuntamento che i fans dello storico gruppo toscano, quasi 25 anni di attività, non si sono lasciati sfuggire. Nessuno spazio per le sedie e tutti in piedi a cantare e a ballare. E tutti si sintonizzano con “Radio Conga” e con le altre hit che scorrono veloci e per dirla con le loro parole “E vivere una notte lunga una vita… avere il suo profumo ancora tra le dita…”

Drigo dei Negrita e Kruger AgostinelliNel dopo concerto ci intratteniamo con Drigo, che insieme a Cesare e Pau, sono l’anima della band.

Ciao Drigo quasi 25 anni di carriera con i Negrita e il passaggio dal fisico cd al virtuale I Tunes e Spotify delle vostre opere discografiche. Ci perde un po’ la musica in tutto questo?

<< Siamo osservatori anche noi di questo cambiamento. Quello che è importante per una band come noi, è avere la possibilità di poter continuare la nostra attività live. Del resto è la nostra primaria risorsa e anche il più grande divertimento per verificare lo stato di gradimento della nostra musica>>.

Prima l’era dei Litfiba, poi voi e ora il rock chi lo rappresenta in Italia?

Sorride e aggiunge <<Vedo, ancora, noi>>.

Drigo, ho letto di una tua partecipazione artistica, in passato, con Francesco Renga. Qualche altro nome con cui vorresti collaborare?

<<Non sono uno che va alla ricerca di questo ma se capita non mi tiro indietro. Eppure ti confesso che un grande rammarico ce l’ho. Quello di aver conosciuto Pino Daniele e di aver parlato con lui di possibili cose da fare insieme. Ma non c’è stato il tempo. Ecco, questo mi manca>>.

Leggevo che tuo fratello, per fortuna, ti ha iniziato con Black Sabbath e Led Zeppelin al rock ed in effetti il tuo stile di chitarrista è solidamente rock. Ce la fai una lista di chitarristi preferiti di ieri e di oggi?

<<Non suonerei in questo modo se non avessi ascoltato, prima di tutti, Mark Knopfler, perché suono con le dita. Poi degli storici preferisco Eric Clapton, Dave Gilmour, Jimi Hendrix, BB King, Ry Cooder, George Harrison e Steve Ray Vaughan. Mentre dei più rcenti, il chitarrista che stimo tantissimo è The Edge degli U2. E’ innovatore, direi che ha cambiato il modo di fare musica in tutto il mondo. E poi mi piace molto Josh Homme dei Queens of the Stone Age>>.

Sei legato da qualche ricordo o aneddoto alle Marche, come luoghi o come persone?

<<Come raccontai nel mio libro “Rock Notes”, Una volta presi un sasso da una spiaggia di sassi. Su una faccia, con un pennarello feci un disegno, sull’altra scrissi: io porto fortuna e lo rimisi pressappoco dove l’avevo trovato. Questa volta l’ho fatto nelle Marche>>.

Mensilmente facciamo filosofeggiare i nostri intervistati su una parola, questa volta tocca a Tyche. Ti aiuto. Nella mitologia greca era la personificazione della fortuna. E allora la fortuna che ti fa venire in mente?

<< La mia fortuna è di essere in una band che è al tempo stesso un gruppo di amici. Non potevo chiedere di più>>

Kruger Agostinelli

 

Che profumo è Mauro Uliassi? Un’essenza creata da Ilde Soliani

in Moda da

Succede che una signora “naso” – il suo è piccolo ma molto allenato e sensibile ai profumi ed ai sapori della cucina – capiti spesso nelle Marche perché innamorata del “naso culinario” di Mauro Uliassi. Così tanto innamorata da dedicargli un video, unico nel suo genere, nel quale Mauro, addirittura, canta. E pure molto bene. Ilde Soliani è una mia buona e cara amica, l’avete capito, e nella vita crea profumi che poi vende nelle più chic boutique del mondo. Nel suo piccolo tour nelle Marche, ha sostato da Ramona ed Errico al ristorante Andreina, da me allertati sulla qualità e sulla sincerità del personaggio (Ilde dice sempre, veramente, quello che pensa). Dopo la cena si sono intrattenuti fino alle 4 della mattina. A parlare di quello che uno che si siede a tavola e l’altro che cucina e l’altro ancora che serve, vorrebbero dalla vita. Dalla vita professionale che si intreccia e non si slegherà mai con quella personale. Il giorno dopo carico Ilde sulla mia piccola macchina e torniamo a Loreto. Alle 4 della mattina la Basilica era chiusa. La porto nella Sala del Pomarancio a conoscere il “mio ciuchino”. Il ciuchino più bello della storia dell’arte. Almeno per me. Entrate, alzate gli occhi verso sinistra. I suoi occhioni azzurri vi guarderanno in ogni luogo voi siate. Immagino di averlo già scritto e, se l’ho fatto, chiedo scusa. Io ed Ilde siamo lì mentre il suo cameraman, nonché fotografo, cerca di cogliere qualcosa di buono in una luce rarefatta. È quasi l’una. Il sole dalle finestre ovali della Basilica entra a picco e rende tutto senza contorni. Anche noi. Une breve visita alla Casetta di Maria e poi, a proposito di contorni, ci viene fame. Sono le due. Decido che qualcuno dei miei amici cuochi a Portonovo riuscirà ad accogliere “tre pellegrini” come noi. Due pescetti fritti non si negano a nessuno. Detto ma non fatto.

Mentre con Ilde ricordiamo delle idee di Uliassi che ci emozionano, come Bagnasciuga e il burro con l’acqua di ostriche; mentre ricordiamo l’oliva da ricomporre di Errico, mi trovo a discutere, senza metterci troppo tempo, con i parcheggiatori di Portonovo che, capisco siano in “alta stagione esagerata”, ma non offrono un minimo di collaborazione. Vabbè! È <<alta stagione esagerata!>>. Ai miei amici propongo due bolle locali, due tipi di ciasculi diversi e due spaghetti a casa mia quando, miracolo, un parcheggiatore, complice un amico cuoco, ci fa “poggiare” la macchina. Che è molto diverso da parcheggiare. Due spaghetti con i moscioli e due pescetti fritti ci fanno dimenticare che c’è un esercito di automobilisti che deve parcheggiare. Ilde a fine serata mi fa annusare i suoi nuovi nati. Profumi che sanno di sapori e luoghi. Sapori e luoghi che profumano? Decidete voi. Uno sa di ciliege si chiama: una tira l’altra. Uno è dedicato a Mauro Uliassi: burro e acqua di ostriche. Un altro sa dell’aria notturna dell’esterno di una discoteca vicino Modena. Un altro ancora sa di cespuglio mediterraneo con origano, rosmarino, menta, salvia, basilico, pomodoro e si chiama Buon Appetito. L’ultimo è Peccatrice. Un peccato di gioventù che mi spruzzo molto volentieri. In questi giorni so di ciliegia. Poi vedremo. Volete sapere dove è andata a cena Ilde quella sera? Indovinate… Per saperne di più su di lei, i suoi profumi e i suoi video, c’è un sito e la sua pagina Facebook.

Carla Latini

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